L'egoismo del macellaio e il conflitto di interessi nel concordato

Pier Giorgio Cecchini
07 Novembre 2019

Scriveva oltre 200 anni fa Adam Smith ne La ricchezza delle nazioni: “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro interesse personale”. L'economista teorizzava che nel mercato opera una mano invisibile, grazie alla quale la ricerca egoistica del proprio interesse da parte degli imprenditori e consumatori conduce al benessere della società.
Premessa

Scriveva oltre 200 anni fa Adam Smith ne La ricchezza delle nazioni: “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro interesse personale”.

L'economista teorizzava che nel mercato opera una mano invisibile, grazie alla quale la ricerca egoistica del proprio interesse da parte degli imprenditori e consumatori conduce al benessere della società.

Perché questa regola dell'economia di mercato, generalmente accettata nel mondo occidentale, non dovrebbe applicarsi anche all'esercizio del voto nel concordato preventivo?

Perché, dunque, il creditore non può perseguire liberamente il proprio egoistico tornaconto, ad esempio votando contro una proposta concordataria al solo scopo di escludere un concorrente in crisi dal mercato, oppure votando a favore per evitare il rischio di azioni revocatorie?

Il conflitto secondo il Codice

Il D.Lgs 14/2019 ( “Codice”) opta invece per una visione dirigista, escludendo esplicitamente dal voto e dal computo delle maggioranze il creditore in conflitto d'interessi; e ciò tanto nel concordato preventivo quanto nella liquidazione giudiziale (ultimo periodo degli artt. 109, comma 5 e 243, comma 5).

Conflitto con chi, il Codice non lo precisa. Ma il legislatore deve aver avuto senz'altro in mente il conflitto fra il singolo creditore e la massa dei creditori. In tal senso deponevano la prima bozza di Codice nonché la successiva sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 17186/2018, che ha preceduto di poco l'emanazione del D.Lgs 14/2019 e che ha postulato un “interesse comune” di tutti i creditori che trascende quello del singolo, ed al quale quest'ultimo deve essere asservito. Peraltro la rilevanza ai fini del voto del conflitto di interessi fra creditori è sostenuta anche da una parte della dottrina (Fabiani, Sacchi, D'Attorre e, recentemente, Guiotto).

Certamente il conflitto è sempre presente tra i creditori di una società in concordato, poiché in presenza di risorse scarse ognuno di essi ha interesse ad accaparrarsene la maggior parte possibile a discapito degli altri, e comunque, richiamando gli esempi svolti in premessa, ha interesse ad ottenere il maggior vantaggio e il minor danno possibili dalla crisi o insolvenza del debitore. Mi pare però discutibile che si reprima per via legislativa un comportamento competitivo che è invece ritenuto normale in altri campi della vita economica.

È qui interessante tracciare un parallelismo con il diritto societario, ove la giurisprudenza, per rendere annullabili le deliberazioni adottate da uno o più soci con lo scopo di danneggiare altri soci (non la società, quindi) e nell'impossibilità di applicare gli artt. 2373 e 2479-ter c.c., ha fatto ricorso all'abuso del diritto di voto per violazione del principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.).

Ma, in questi casi di abuso di maggioranza o di minoranza, l'affermazione di una regola di condotta fra soci paciscenti la cui violazione comporti l'annullamento della decisione societaria si giustifica, in quanto essi sono legati da un vincolo contrattuale: il contratto di società.

Non così è nel rapporto tra creditori di società in concordato: il creditore non ha alcuna obbligazione derivante da contratto, da fatto illecito o da altro atto o fatto (cfr. art. 1173 c.c.) che lo costringa a tenere una determinata condotta nell'interesse comune di tutti i creditori; né è egli tenuto ad un comportamento ispirato a buona fede e correttezza nei loro confronti, posto che l'art. 4 del Codice confina tali obblighi unicamente ai suoi rapporti con il debitore e con gli organi della procedura.

Riassunto efficacemente da Cass. n. 3274/2011, ogni creditore è legittimamente homo homini lupus. E, d'altronde, chi può dire se per il sistema economico nel suo complesso sia più vantaggioso, in termini di ricchezza ed occupazione creata, il prevalere dell'interesse dell'uno o dell'altro creditore?

Casi effettivi di conflitto

Nel concordato è fisiologico che anche debitore e creditori, oltre che i creditori tra loro, presentino interessi contrapposti: quello al minimo esborso il primo, al massimo soddisfacimento i secondi. Nessuno di questi conflitti ha di per sé rilevanza, perché è connaturato al sistema.

Tuttavia in questo rapporto tripartito (debitore/singolo creditore/massa) il conflitto inficia il voto quando il debitore ed il singolo creditore non presentano più interessi contrapposti bensì un interesse comune, in conflitto con quello degli altri creditori: offrire loro il minor soddisfacimento possibile. In tal caso è come se il debitore partecipasse in modo strisciante alla votazione tramite l'interposta persona del singolo creditore, falsandone gli esiti.

È di tutta evidenza che il conflitto di interessi come sopra illustrato ha più probabilità di verificarsi nel concordato in continuità, ove il debitore è legittimato a trattenere risorse per la prosecuzione dell'attività; meno, invece, in quello liquidatorio, ove egli non può ragionevolmente sottrarsi all'obbligo di mettere a disposizione tutto l'attivo per il soddisfacimento dei crediti, né, domani (e neppure oggi, secondo la tesi minoritaria di Trib. Trento, 10 giugno 2016 recepita dall'art. 115, comma 2 del Codice), i suoi organi potranno più sfuggire all'esercizio dell'azione di responsabilità eventualmente esercitata dal liquidatore.

Il D.Lgs. 14/2019 disciplina già esplicitamente tre casi di conflitto, ricalcando sostanzialmente l'attuale legge fallimentare.

Il primo è il caso del creditore legato al debitore da un rapporto di coniugio, di parentela o di partecipazione allo stesso gruppo societario, oppure dall'aver acquisito il credito da meno di un anno; qui la soluzione è radicale: il Codice esclude, con presunzione assoluta, tale soggetto dal voto e dal computo delle maggioranze (primo periodo degli artt. 109 c. 5 e 243 c. 5).

Il secondo è quello del creditore o di altra società del suo gruppo che formuli una proposta concorrente nel concordato preventivo oppure una proposta di concordato nella liquidazione giudiziale. In tal caso gli artt. 109 c. 6 e 243 c. 6 non comminano la sua esclusione dal voto, bensì ne prevedono l'inclusione in una classe a sé stante.

Nel corso dei lavori preparatori sia il Consiglio di Stato che attenta dottrina avevano segnalato il paradosso di un sistema nel quale la situazione di conflitto viene risolta talora con l'esclusione dal voto, talaltra con la suddivisione in classi. Tuttavia le commissioni parlamentari hanno giustificato il diverso e più favorevole trattamento del proponente col fine di non disincentivare la presentazione di proposte alternative; l'inclusione forzosa in una classe gli consente infatti di esprimere il proprio voto, ma, avendo egli interesse a formulare una proposta al ribasso, consente allo stesso tempo al creditore dissenziente di (altra) classe dissenziente di attivare il cram down (art. 112). La conclusione cui sono giunte le commissioni è assolutamente condivisibile.

In questo contesto è utile segnalare che la Dir. (UE) n. 2019/1023 non lascia spazio ad ipotesi generiche di conflitto di interessi, ricollegandole unicamente all'esistenza di una correlazione tra creditore e debitore (art. 9). Proprio su quest'ultimo punto la riforma mostra semmai un eccesso di timidezza: nel non aver esplicitamente escluso dal voto tutte le parti correlate del debitore e nel non aver obbligato al classamento tutte le parti correlate del proponente il concordato nella liquidazione giudiziale, sì da impedire elusioni della disciplina da parte di soggetti diversi da quelli espressamente indicati negli artt. 109 e 243. Eppure indicazioni in tal senso erano pervenute proprio dalla citata Cassazione SS.UU. n. 17186/2018.

Va invece osservato che nel caso delle proposte concorrenti il Codice ha previsto l'obbligo di classamento per tutte le parti correlate (art. 85 c. 5).

Il terzo caso di conflitto è quello del mercato dil voto, cioè del “voto contro compenso”, penalmente sanzionato dall'art. 339 e 341 c. 2 del Codice.

Osservo incidentalmente che il Codice introduce ulteriori strumenti a tutela della massa, sebbene non mirati specificamente a prevenire il conflitto di interessi: la formazione obbligatoria delle classi per altre tre tipologie di crediti (art. 85 c. 5), affinché i creditori dissenzienti di ogni classe dissenziente, sia quella interessata dal classamento che tutte le altre, possano chiedere al tribunale la verifica della convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale, nonché il requisito addizionale della maggioranza per teste per l'approvazione del concordato nel caso in cui un creditore sia titolare di oltre il 50% dei diritti di voto, affinché questi non abusi della sua posizione dominante (art. 109 c. 1).

I tre precedentemente citati mi paiono essere gli unici casi di conflitto di interessi aventi rilevanza giuridica nel concordato.

Si tratta, giova ribadirlo, dei casi in cui il singolo creditore e il debitore sono interessati a che quest'ultimo subisca il minor esborso possibile, e gli altri creditori, all'opposto, a massimizzare la soddisfazione dei loro crediti. Se di casi ne esistono altri, chiedo scusa, non li vedo.

Eppure, trattandosi di ipotesi già regolamentate, non può essere ad esse che il Codice fa riferimento introducendo il generico conflitto di interessi di cui all'ultimo periodo dell'artt. 109 c. 5 e 243 c. 5, bensì ad altre ipotesi non predeterminate; a tale conclusione conduce il principio di sopravvivenza del risultato interpretativo utile delle norme di legge.

In questa indeterminatezza legislativa, i casi di conflitti di interessi ipotizzabili in astratto diventano innumerevoli (come osservato dalla citata Cass. 17186/2018), con altrettante innumerevoli possibilità di contestazioni in sede di omologazione.

Ritengo che l'introduzione nel Codice della disciplina sul conflitto di interessi così formulata rappresenti un caso di eccesso di reazione del legislatore, il quale, per rimediare a precedenti riforme che si erano rivelate troppo liberali nei confronti del debitore, invece di limitarsi a introdurre norme più restrittive verso quest'ultimo, sceglie di interferire nella libertà, anche di iniziativa economica, delle sue controparti; e lo fa imponendo una visione per così dire istituzionalista, in cui il singolo deve conformare le proprie scelte al superiore interesse comune dei creditori.

A me pare che questa scelta legislativa sia improntata ad una ideologia lontana dal nostro comune sentire. E allora, ideologia per ideologia, mi piace ricordare che in occidente esiste una forma di dirigismo economico che è tollerato, ed anzi socialmente incoraggiato: è quello dei kibbutz israeliani, in cui hanno prestato volontariamente servizio anche molti leader politici dello stato ebraico. Ebbene, la percentuale di cittadini che hanno vissuto e lavorato nei kibbutz non ha mai superato il 5% della popolazione di Israele, ed attualmente è inferiore al 2%. Questa percentuale rappresenta una stima attendibile della parte della popolazione che, in occidente, è disponibile a tollerare l'interventismo nella vita economica.

In conclusione, la nuova disciplina del conflitto di interessi lede la libertà di iniziativa economica privata e dovrebbe essere eliminata dal Codice.

Difficoltà di applicazione

Vi sono altresì considerazioni di ordine pratico che rendono la nuova disciplina di difficile applicazione.

In primo luogo, la norma non consente di individuare quale sia l'interesse comune dei creditori che deve prevalere su quello individuale.

Certo, pare scontato identificarlo col migliore soddisfacimento; ma per quale motivo questo canone dovrebbe vincolare il voto di un creditore, se non obbliga neppure il debitore a formulare la migliore soluzione regolatoria della crisi?

In secondo luogo, l'esclusione del creditore in conflitto dal voto e dal computo delle maggioranze risponde alla logica di consentire che il voto venga espresso unicamente da coloro che perseguano l'esclusivo interesse della massa dei creditori. Essa opera sottraendo i voti in conflitto non soltanto al numeratore (dai voti favorevoli) ma anche al denominatore (dai voti complessivamente esercitabili) del quoziente di calcolo della percentuale dei favorevoli.

Tuttavia si presenta la problematica, già nota nel diritto societario con riferimento all'art. 2368 c. 3 c.c., per cui un soggetto può consentire o impedire l'approvazione del concordato col suo semplice voto (o non voto) determinante, non accompagnato dalla dichiarazione sulla effettiva situazione di conflitto di interessi.

Si consideri il seguente caso di concordato senza classi:

  • creditori: € 100 (€ 97 esercitabili + € 3 in conflitto)
  • votanti favorevoli: € 51 (€ 48 esercitabili + € 3 in conflitto)
  • votanti contrari: € 49 (tutti esercitabili)

L'esito del voto cambia radicalmente a seconda che i creditori in conflitto tacciano o meno tale circostanza: la proposta ottiene il 51% a favore nel primo caso e 49,5% nel secondo (cioè 48 diviso 97). Nel primo caso il concordato è illegittimamente approvato; nel secondo è giustamente respinto.

Qualora i creditori tacciano della loro situazione (ed il loro silenzio antidoveroso non è sanzionato), precisa la relazione che l'accertamento del conflitto è rimesso al giudice delegato prima, ed al tribunale in sede di omologazione poi; ma è un compito tutt'altro che facile: troppi i creditori, spesso centinaia, talvolta migliaia, di cui nulla si sa, con conflitti potenziali che neppure lo sguardo occhiuto del più attento commissario giudiziale potrà cogliere.

I due aspetti evidenziati nel presente capitolo mostrano le difficoltà di applicazione della nuova disciplina.

Trattandosi di argomento limitrofo, segnalo che occorrerebbe attribuire valore unicamente al voto espresso da chi mostri un concreto interesse ad esercitarlo, e quindi dovrebbe essere impedito ai non votanti di “governare con l'assenza”, escludendoli dal voto e dal computo delle maggioranze.

Il voto negativo ed il danno potenziale

Nel Codice non esiste una disciplina positiva dell'annullamento della votazione (da non confondere con l'annullamento del concordato, che è tutt'altra cosa) quale quella prevista in tema di decisioni societarie dagli artt. 2377 e 2479-ter c.c..

Pare dunque logico che, quando il creditore che sia parte correlata del debitore (casi di cui al quinto comma degli artt. 109 e 243) non comunichi il conflitto, il giudice delegato prima, ed il tribunale in sede di omologazione poi, debbano unicamente proclamare il risultato corretto della votazione escludendo i crediti di cui egli sia portatore sia dal voto che dal calcolo delle maggioranze.

Quind,i in caso di voto (o non voto) determinante del creditore in conflitto, si dovrà dichiarare come rigettata una proposta approvata, nonché approvata una proposta rigettata.

Riguardo a quest'ultima ipotesi di conversione, non mi pare sussistano i dubbi di legittimità avanzati nella corrispondente ipotesi di delibera negativa di assemblea di società di capitali (cioè di una delibera rigettata dall'assemblea col voto determinante di un socio in conflitto di interessi) ove invece la tesi prevalente è che il suo annullamento non può comportare che la si possa dichiarare approvata: a prescindere dalle motivazioni (non facili da afferrare) di tale giurisprudenza societaria, non traslabili al diritto concorsuale, va ribadito che nel concordato non esiste una disciplina dell'annullamento della votazione, e pertanto non si pone il dubbio se sia possibile o meno togliere effetto ad una decisione dei votanti che per sua natura non l'ha.

Pertanto, quando la proposta sia stata rigettata a causa del voto contrario o dell'astensione di un creditore in conflitto, il giudice delegato o il tribunale dovranno dichiararne l'approvazione.

Nel caso invece del creditore che sia parte correlata di colui che propone una domanda di concordato (qui il riferimento non è più al quinto bensì al sesto comma degli artt. 109 e 243) e che non comunichi l'esistenza del conflitto, mi pare appropriata la sua ricollocazione forzosa, ad opera del giudice delegato o del tribunale, nella stessa classe a cui già appartiene il proponente, come avvenuto nel caso trattato da Trib. Milano, 15 novembre 2018, anziché la sua esclusione dal voto. Sarebbe infatti incongruo impedire l'esercizio del voto alla parte correlata del proponente e consentirlo invece a quest'ultimo.

Nella disciplina societaria del conflitto di interessi tra soci (cfr. art. 2373 c.c.) si richiede anche, ai fini dell'impugnazione, che il voto viziato sia determinante e che possa cagionare un danno.

Quanto al primo aspetto, pare logico ritenere che anche nel diverso contesto concorsuale vi siano spazi di impugnazione in sede di omologazione solo quando sia vinta la prova di resistenza, visto che in caso contrario l'impugnazione non produrrebbe effetti utili. Peraltro la prova di resistenza non è ignota al Codice, che ne impone già la verifica in caso di opposizione all'omologazione da parte del creditore contestato non ammesso al voto (art. 109).

Viceversa qualunque valutazione sul danno potenziale, o più precisamente sulla convenienza per i creditori della proposta approvata o non approvata, compete unicamente ai creditori, mentre è preclusa al tribunale, cui è consentito pronunciarsi sulla convenienza solo in sede di cram-down (ma di diverso avviso Calandra Bonaura). Pertanto il tribunale non potrà esimersi dal rettificare l'esito della votazione anche qualora esso appaia egualmente o maggiormente conveniente per i creditori rispetto alla opposta alternativa.

Conclusioni

In occasione del prossimo intervento correttivo del Codice è auspicabile che venga soppressa la previsione, contenuta nell'ultimo periodo del quinto comma degli artt. 109 e 243, che prevede l'esclusione dei creditori in conflitto di interessi dal voto e dal computo delle maggioranze, poiché mina principi consolidati e poiché il Codice reprime già adeguatamente eventuali abusi del voto.

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