Conformità all'art. 36 Cost. della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva: il crisma della rappresentatività non è sufficiente

Teresa Zappia
11 Novembre 2019

Il trattamento retributivo stabilito in sede di contrattazione collettiva, dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, si presume essere proporzionale ed adeguato ai sensi dell'art. 36 Cost. Tuttavia è necessario, al fine di valutarne l'effettiva conformità al dettato costituzionale, tenere conto anche del contenuto globale del C.C.N.L. applicato, nonché delle ragioni esterne che hanno indotto le parti a prevedere una retribuzione inferiore, rispetto a quella applicata nel settore di riferimento, ed eventualmente idonee a costituirne fondamento giustificativo...
Massima

Il trattamento retributivo stabilito in sede di contrattazione collettiva, dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, si presume essere proporzionale ed adeguato ai sensi dell'art. 36 Cost. Tuttavia è necessario, al fine di valutarne l'effettiva conformità al dettato costituzionale, tenere conto anche del contenuto globale del C.C.N.L. applicato, nonché delle ragioni esterne che hanno indotto le parti a prevedere una retribuzione inferiore, rispetto a quella applicata nel settore di riferimento, ed eventualmente idonee a costituirne fondamento giustificativo.

Il caso

Il ricorrente alle dipendenze della società convenuta aveva svolto le medesime mansioni presso il precedente appaltatore, lamentando la diminuzione retributiva subita nonostante l'identità della prestazione sia dal punto di vista qualitativo che orario. Chiedeva l'applicazione della clausola di armonizzazione di cui all'art. 27 della sezione Servizi Fiduciari del C.C.N.L. Vigilanza, con condanna della controparte al pagamento delle differenze retributive.

In via subordinata lamentava inoltre la percezione di una retribuzione inferiore rispetto a quella prevista in C.C.N.L. similari, risultando il valore netto più basso rispetto al tasso soglia di povertà assoluta per l'anno di riferimento (2015), con conseguente violazione dell'art. 36 Cost. Il lavoratore, previa declaratoria di invalidità dell'art. 23 della sezione Servizi C.C.N.L. Servizi, chiedeva pertanto l'adeguamento della propria retribuzione a quella prevista dal CCNL proprietari di fabbricati (o Multiservizi) per il livello D1, con condanna della società datrice al pagamento delle conseguenti differenze.

La società eccepiva l'inapplicabilità dell'art. 27 della sezione Servizi Fiduciari del C.C.N.L. Vigilanza, non essendo verificatesi alcuna procedura di cambio appalto con la precedente datrice di lavoro del ricorrente che era stato, dunque, assunto ex novo. La convenuta aveva inoltre eccepito di non essere iscritta ad alcuna associazione sindacale stipulante il C.C.N.L. Multiservizi o Terziario, bensì all'UNIV, la quale aveva sottoscritto il C.C.N.L. Vigilanza Privata. Quest'ultimo, essendo stato stipulato con le oo.ss. maggiormente rappresentative a livello nazionale, sarebbe presuntivamente conforme al dettato costituzionale in materia di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione.

La questione

Entro quali limiti il trattamento economico fissato in sede di contrattazione collettiva può dirsi conforme al dettato costituzionale di cui all'art. 36 Cost.?

La soluzione

Il Tribunale ha dichiarato infondata la domanda principale.

Il tenore letterale dell'art. 27 ha consentito di affermare che la norma fosse destinata ad evitare che il passaggio di un'impresa alla sezione Servizi Fiduciari del C.C.N.L. Vigilanza determinasse un abbassamento della retribuzione per coloro che ne fossero già dipendenti e che, fino a quel momento, avessero percepito una retribuzione superiore in forza del contratto collettivo in precedenza applicato.

Le parole “prima applicazione del presente contratto” non avrebbero potuto essere interpretate come includenti ogni occasione di ingresso nell'area di applicazione della sezione Servizi Fiduciari del CCNL Vigilanza di un lavoratore che, fino a quel momento, avesse svolto le medesime mansioni percependo la più alta retribuzione prevista da altro contratto collettivo, ergo anche in un momento successivo a quello di adozione generalizzata della stessa da parte del datore di lavoro. A tale fine sarebbe stata necessaria un'espressione di collegamento della “prima applicazione” del contratto al singolo lavoratore che si trovasse in tale situazione e/o alle vicende di subentro negli appalti in cui essa si verifica.

Veniva invece accolta la domanda subordinata. Il ricorrente non chiedeva l'applicazione del CCNL Multiservizi, bensì di percepire una retribuzione non inferiore a quella prevista da tale contratto. Nel caso di specie, l'art. 7, comma 4, d.l. n. 248 del 2007, conv. con modif. in l. n. 31 del 2008, costituisce applicazione dell'art. 36 Cost. relativamente allo specifico ambito delle società cooperative, con l'obiettivo di impedire l'applicazione di contratti collettivi stipulati da oo.ss. non rappresentative. Tuttavia non esaurisce la portata del precetto costituzionale e, dunque, anche ove tale articolo venga rispettato, il giudice ha comunque il potere-dovere di verificare se il trattamento retributivo determinato dalla contrattazione collettiva, pur dotato del crisma della rappresentatività, possa risultare in concreto lesivo del principio di proporzionalità e/o di sufficienza. Il lavoratore ha l'onere di indicare gli elementi dai quali risulta l'inadeguatezza, ossia fornire la prova contraria alla presunzione di conformità delle previsioni collettive ai principi costituzionali.

Ciò era avvenuto nel caso in esame. L'accertato scostamento del trattamento retributivo concretamente percepito dal lavoratore rispetto a quello che lo stesso avrebbe ottenuto svolgendo le medesime mansioni, con lo stesso orario lavorativo, in forza di altri contratti collettivi applicabili (differenza in media di oltre un quarto), è stato considerato idoneo a far cadere la suddetta presunzione di conformità all'art. 36 Cost.

Sebbene l'accertamento giurisdizionale debba estendersi anche ad ulteriori aspetti del trattamento economico e normativo previsto in sede di contrattazione collettiva, eventualmente compensativi dell'inadeguatezza della retribuzione, nel caso di specie al lavoratore venivano applicati solo gli artt. 23, 24 e 25 della sezione Servizi Fiduciari del C.C.N.L. Vigilanza, regolando ogni altro profilo del rapporto in base ad uno specifico regolamento sociale, sicché lo stesso non avrebbe potuto beneficiare di eventuali ulteriori previsioni idonee a giustificare il livello retributivo fissato.

L'incertezza circa il procedimento che aveva condotto alla determinazione della retribuzione prevista dall'art. 23 prefato, nonostante l'audizione degli informatori sindacali, comportava l'impossibilità di comprendere le ragioni e valutare la congruità di una così significativa decurtazione anche rispetto al C.C.N.L. meno favorevole (proprietari di fabbricati).

La retribuzione (base) adeguata è stata individuata dal Tribunale in quella applicata per il livello corrispondente alle mansioni svolte dal lavoratore nel C.C.N.L. proprietari dei fabbricati, indicato dal medesimo ricorrente nella verifica della proporzionalità del trattamento economico, con condanna della convenuta al pagamento delle differenze conseguenti.

Osservazioni

L'art. 36 Cost. consente di riequilibrare l'asimmetria di potere economico insita nel contratto di lavoro, individuando, mediante i criteri di proporzionalità e sufficienza, il livello di tale riequilibrio. Più specificamente, il criterio della proporzionalità può essere inteso nell'ottica dello scambio (c.d. valore di mercato della prestazione) e, dunque, in un senso strettamente sinallagmatico. Diversamente la sufficienza è da riconnettere alla funzione sociale della retribuzione, costituente per il lavoratore il principale mezzo per il soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, suscettibili di mutare con l'evoluzione dei rapporti economico-sociali, sicché la sufficienza costituisce un concetto relativo. In sede di negoziazione collettiva le soluzioni alle quali giungono le parti sociali prescindono, per definizione, dai bisogni e dalle esigenze individuali del lavoratore, tenuto conto dell'impraticabilità di un aggiustamento ad personam della retribuzione. Preferibile sembra tuttavia quell'orientamento secondo il quale i due principi espressi dall'art. 36 Cost. debbano operare congiuntamente ed in modo simultaneo, sicché la “giusta retribuzione” non potrebbe che essere quella che soddisfi contemporaneamente entrambi i requisiti: la sufficienza consente di calibrare in senso sociale l'entità della retribuzione che deve comunque essere determinata in proporzione alla quantità e qualità del lavoro concretamente svolto o, in ogni caso, previsto dal contratto.

In mancanza di accordi tra le parti, l'art. 2099, c.c., consente al giudice un intervento correttivo sulla retribuzione, finalizzato al riequilibrio del sinallagma secundum legem, il che può avvenire anche qualora essa sia stata stabilita in sede di contrattazione collettiva ma in contrasto con la Carta Costituzionale. In tale attività di determinazione il giudice può fare riferimento ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi di categoria dello stesso settore produttivo. Ciò non costituisce tuttavia un obbligo, sicché la disciplina negoziale in punto trattamento economico costituisce un valore esclusivamente orientativo.

Non poche sono le criticità. Innanzitutto la selezione del contratto collettivo da assumere come parametro: il datore può adottarne uno (prospettandosi l'applicazione degli artt. 1419, comma 2, c.c. e art. 1339, c.c., piuttosto che l'art. 2099, c.c.) o non applicarne nessuno. Nel primo caso il lavoratore potrebbe appellarsi ad un contratto collettivo diverso non già per ottenerne l'applicazione, ma solo come termine di riferimento per la determinazione della giusta retribuzione. La stessa inadeguatezza del contratto collettivo applicato potrebbe d'altronde essere valutata solo mediante la comparazione con altri accordi applicabili al medesimo settore.

Nella seconda ipotesi il giudice non è tenuto ad assumere come criterio di riferimento un contratto collettivo piuttosto che un altro, sebbene venga preferito quello di settore. In ipotesi di compresenza di più contratti collettivi, il giudice farà riferimento a quello che, secondo il proprio prudente apprezzamento, risulti prevedere un trattamento economico più vicino al concetto di “giusta retribuzione”, nonché più prossimo alle esigenze del contesto produttivo considerato. Solo ove manchino contratti collettivi nel settore considerato, si potrebbe dunque fare riferimento a quelli previsti per categorie affini. Il giudice considera, in ogni caso, solo il c.d. minimo costituzionale, ossia la retribuzione base, l'indennità di contingenza e la tredicesima mensilità, non invece quegli emolumenti che sono collegati a particolari caratteristiche della prestazione ovvero qualità personali del lavoratore (diversamente: Cass. n. 19578 del 2013) Non è escluso, inoltre, che il giudice si discosti, anche in pejus, dalle previsioni negoziali (Cass. n. 10260 del 2001) in considerazione dell'ambiente socio-economico e del costo della vita, fornendo comunque un'adeguata motivazione sul punto. La diminuzione rispetto ai minimi contrattuali nazionali, infatti, potrebbe ritenersi legittima solo ove il giudice sia in grado di dare una specifica indicazione delle ragioni che spieghino la diversa misura fissata, ritenuta conforme ai criteri di proporzionalità e sufficienza posti dalla norma costituzionale.

Nel caso esaminato acquista particolare rilievo la relatività della presunzione di adeguatezza della retribuzione determinata in sede negoziale, anche ove le parti sociali coinvolte siano dotate di rappresentatività. Il giudice esce dai confini convenzionali, conservando una prospettiva più ampia e rifiutando eventuali automatismi applicativi. In attesa di un definito intervento normativo in materia di minimo salariale, l'orientamento espresso nella sentenza commentata sembrerebbe dunque confermare la maggiore libertà del giudice ed il carattere (meramente) orientativo della contrattazione collettiva.

Per approfondire.

Pascucci Paolo, Giusta retribuzione e contratti di lavoro: verso un salario minimo legale?,Milano, 2018;

Bellomo Stefano, Retribuzione sufficiente e autonomia collettiva, GiappichelliEditore, Torino,2002;

Stassano Giuseppe, La retribuzione: legislazione, giurisprudenza, dottrina, Pirola, Milano, 1973.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.