Osservazioni sul regime di tutela applicabile ai “riders” (e agli altri gig workers)
14 Novembre 2019
Abstract
L'avvento e la diffusione della gig economy ha colto per gran parte impreparati i sistemi lavoristici, scatenando un acceso dibattito in relazione al regime di tutela applicabile al gig worker. In Italia, il dibattito si è principalmente sviluppato attorno alla disciplina lavoristica applicabile alla specifica categoria dei riders, complice anche la battaglia giurisprudenziale dei riders della piattaforma Foodora, che ha avuto grande eco mediatica. La prima giurisprudenza in materia ha escluso la riconduciblità di tale ipotesi al lavoro subordinato, ammettendo al più la riconducibilità alla nozione di etero-organizzazione. Il recente intervento legislativo, da un lato facilita la riconduzione del lavoro tramite piattaforma digitale alla nozione di etero-organizzazione; dall'altro predispone un sistema di tutele minimali per la specifica categoria dei riders puramente autonomi. L'intervento legislativo, tuttavia, pur apprezzabile nell'intento di colmare un vuoto legislativo in uno dei settori più deboli del mercato del lavoro moderno, non può considerarsi un intervento di sistema e non individua una disciplina generalmente applicabile a tutta una serie di rapporti di lavoro, ormai ampiamente diffusi, afferenti alla gig economy. La gig economy e il diritto del lavoro tradizionale
Nel mondo attuale è sempre più diffusa la sharing economy, ossia l'economia della condivisione. Si tratta di un concetto molto ampio e di difficile definizione il cui cuore, comunque, risiede nella condivisione di beni, servizi o conoscenze. Con una certa approssimazione può affermarsi che lo sviluppo della sharing economy si basi essenzialmente sull'utilizzo di “piattaforme digitali” (ossia luoghi virtuali ove i soggetti interagiscono) che pongono a disposizione della “community” una serie di beni, servizi o altre utilità in maniera più vantaggiosa rispetto ai sistemi tradizionali. Si pensi, ad esempio, ai servizi di car sharing o ai servizi finalizzati alla condivisione di alloggi privati. In tale contesto si è sviluppata la cd. gig economy che, tecnicamente, consisterebbe nella condivisione di occasioni di lavoro saltuarie e non qualificate (i cd. “lavoretti”). In brevissimo tempo, tuttavia, le piattaforme digitali della gig economy hanno avuto uno sviluppo tale per cui hanno finito per divenire dei veri e propri colossi globali dell'e-commerce. Parallelamente, complice senza dubbio la crisi economica, i gig-workers ad esse afferenti sono divenuti rapidamente una “categoria” di lavoratori, sconosciuta al diritto del lavoro tradizionale, ma che avanzava richiesta di tutele. Se nell'archetipo summenzionato della gig economy, il gig-worker è una sorta di lavoratore a tempo perso, che svolge un “lavoretto” saltuario e spesso pagato a cottimo, nell'economia reale egli è ben presto divenuto un “vero” lavoratore. E', cioè, diventato una persona che mette a disposizione della “piattaforma” la totalità delle proprie energie lavorative, in posizione di assoluta dipendenza economica. Per converso, la “piattaforma” ha iniziato ad operare con logiche sempre più imprenditoriali e, al fine di garantire al cliente l'eccellenza dei servizi, ha iniziato a sviluppare sistemi di controllo sempre più pregnanti e capillari delle prestazioni, spesso esercitate tramite applicazioni installate direttamente sugli smartphone dei gig-workers stessi. L'avvento e la diffusione della gig economy ha colto per gran parte impreparati i sistemi lavoristici preesistenti, scatenando un acceso dibattito pubblico di dimensioni globali relativamente al regime di tutela lavoristica applicabile al gig-worker (per uno sguardo comparato si veda, ad es. Employment Appeal Tribunal England and Wales, 10 novembre 2017, Uber v. Aslam Y e altri; Cour d'Appel de Paris, 22 novembre 2017, YZ v. Deliveroo, entrambe in Riv. it. dir. lav., 2018, II, 63 ss.). Per quanto attiene l'Italia, secondo alcune ricerche i gig-workers sono circa 800 mila (cfr. G. Santoro Passarelli, Sul nomen Juris e le possibili tutele del rapporto di lavoro dei riders, in giustizia civile.com, n. 4/2019) e costituiscono una categoria assolutamente eterogenea. Quanto alle mansioni, esse spaziano dai servizi di pulizia, alla programmazione informatica, al facchinaggio, ai servizi di trasporto, consegna e così via. Quanto all'inquadramento contrattuale, larga parte dei gig-workers nostrani sarebbe inquadrato come collaboratore occasionale o co.co.co. E diversificati sarebbero anche i diritti e i doveri intercorrenti fra lavoratore e “piattaforma”, come molto diversi sarebbero i compensi, sia nelle modalità (orari o a cottimo), sia nell'ammontare complessivo. Il dibattito italiano si è concentrato, in maniera assolutamente predominante, su una specifica categoria di gig-workers, costituita da circa 10 mila addetti (cfr. G. Santoro Passarelli, cit.): i riders. La peculiare disciplina di tale tipologia di gig-workers, la battaglia giudiziale e taluni tragici eventi (segnatamente casi di morte sul lavoro del rider), hanno finito per rendere ancora più evidente l'insufficienza del criterio di imputazione delle tutele lavoristiche basato sulla secca distinzione fra subordinazione e autonomia. Ed è a tale conclamata insufficienza che il Legislatore ha tentato di porre rimedio attraverso le modifiche di cui al d.l. n. 101 del 2019, conv. nella l. n. 128 del 2019. Il dibattito attorno alla disciplina lavoristica applicabile ai riders è esploso definitivamente a seguito della sentenza del Tribunale di Torino, 7 maggio 2018, n. 778 (su cui v. i commenti di F. Meiffret e M. Giardetti in questo portale). Nel caso di specie, diversi “riders” avevano chiesto al Giudice di accertare la natura subordinata del contratto di collaborazione sottoscritto con la piattaforma Foodora. Trattasi di piattaforma che permette alla propria community di ordinare cibo on line da una serie di ristoranti convenzionati, che verrà recapitato a domicilio dai riders. I ricorrenti deducevano che la piattaforma esercitasse un reale potere direttivo attraverso un'applicazione che doveva essere necessariamente installata sugli smartphone dei prestatori. Tale applicazione era in grado di tracciare la posizione del rider ed ordinare allo stesso il percorso da seguire per effettuare la consegna. La piattaforma convenuta negava la sussistenza del potere direttivo, sostenendo che, non esistendo alcun obbligo in capo ai ricorrenti di accettazione della consegna, la stessa fosse necessariamente da qualificarsi come una prestazione volontaria. Il Giudice di primo grado ha fatto propria la prospettazione della piattaforma e valorizzando la natura volontaria della prestazione, ha escluso la sussistenza della eterodirezione e, dunque, della subordinazione in senso classico. Peraltro, il Giudice di prime cure aveva escluso finanche la riconducibilità della fattispecie all'ipotesi di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 che, come è noto, nella versione vigente all'epoca dei fatti, estendeva le tutele del lavoro subordinato anche ai “rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”. Riteneva infatti il Giudice che la volontarietà della prestazione escludesse anche l'applicabilità del regime delle collaborazioni etero-organizzate qualificando il rapporto di lavoro quale lavoro autonomo tout court. L'intero percorso argomentativo è stato fatto proprio anche dal Tribunale di Milano che, chiamato a decidere su fattispecie analoga coinvolgente la multinazionale spagnola di food delivery Glovo, ha reso pronuncia del tutto in linea con quella appena esaminata (cfr. Trib. Milano, 10 settembre 2018, n. 1853). Tali pronunce, come già accennato, hanno scatenato un profondo dibattito sia mediatico sia dottrinale. Secondo un primo orientamento le due sentenze erano corrette in quanto la prestazione era – appunto – volontaria e comunque discontinua: i riders altro non sarebbero che dei liberi professionisti della consegna a domicilio, e spesso lavorerebbero per più piattaforme. Secondo altro orientamento la “volontarietà” della prestazione sarebbe puramente apparente. La dipendenza economica del rider lo porrebbe in una situazione di svantaggio tale per cui la possibilità di rifiutare una consegna sarebbe esclusivamente teorica e il lavoratore, nella realtà pratica, non potrebbe fare altro che sottostare alle pressanti richieste della piattaforma, richieste peraltro esercitate tramite un'applicazione sullo smartphone che rende costantemente reperibile il prestatore. Diverso approccio è stato invece seguito nella terza pronuncia in materia. La Corte d'appello di Torino (cfr. C. app. Torino, 4 marzo 2019, n. 26; v. il relativo commento di F. Meiffret in questo portale, L'appello di Torino sul caso dei riders di Foodora: la terza via tra autonomia e subordinazione), in riforma della prima sentenza esaminata, pur riconoscendo l'autonomia del rapporto discendente dalla volontarietà della prestazione, ha effettuato una distinzione fra momento genetico del rapporto di lavoro e sua esecuzione. Una volta instaurato il rapporto, infatti, esso sarebbe comunque organizzato dal committente, anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro, e dunque ricadrebbe nella nozione di etero-organizzazione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015. Ciò implica che il lavoratore rimarrebbe tecnicamente autonomo “ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza”il rapporto sarà regolato dalla normativa in materia di lavoro subordinato. Tuttavia, vi è nella ricostruzione della Corte d'appello, un apparente limite: “posto che non vi è riconoscimento della subordinazione”, non potrebbe trovare applicazione la tutela relativa ai licenziamenti illegittimi. Al pari delle precedenti, anche quest'ultima pronuncia ha scatenato un acceso dibattito. In particolare relativamente al fatto che, non solo non vi è ancora una reale definizione dei criteri della etero-organizzazione e della sua differenziazione dalla eterodirezione; ma nemmeno vi è certezza in merito alla disciplina applicabile al rapporto etero-organizzato. Dal punto di vista letterale, la norma sembrerebbe essere chiara nell'estendere tutta la disciplina del lavoro subordinato al lavoro etero-organizzato, non prevedendo limiti espressi (recita l'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2015: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato” anche ai rapporti di collaborazione etero-organizzata). Tuttavia, secondo alcuni, essa sottintenderebbe che la disciplina del lavoro subordinato è applicata anche a tale tipologia di lavoro autonomo “se compatibile”. In alternativa, non vi sarebbe alcuna ragione per differenziare le due fattispecie. La Corte d'appello di Torino, secondo alcuni, ha seguito quest'ultimo filone ed avrebbe escluso la configurabilità in capo ai riders della tutela in materia di licenziamento illegittimo (anche se, ad onor del vero, nel caso di specie i rapporti di lavoro si erano risolti per scadenza del termine e non a seguito di recesso unilaterale da parte del datore di lavoro/committente: conseguentemente, non avrebbe potuto comunque trovare applicazione l'apparato sanzionatorio legale del licenziamento illegittimo). Le modifiche legislative: il d.l. n. 101 del 2019 conv. nella l. n. 128 del 2019
L'atteso, e da molti auspicato, intervento legislativo in materia è parso recepire, quantomeno in parte, l'impostazione seguita dalla Corte d'appello di Torino. La prima modifica introdotta è inerente all'art. 2, comma1, d.lgs. n. 81 del 2015 e riguarda l'applicazione della nozione di etero-organizzazione non più alle prestazioni “esclusivamente” personali, ma “prevalentemente” personali. In secondo luogo, e più specificamente relativamente al tema di questo scritto, la novella all'art. 2 ha specificato che “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme digitali” ed ha espunto dal testo della norma la precisazione per cui le modalità di organizzazione della prestazione debbono essere esercitate dal committente “anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”. Soprattutto, però, è stata introdotta una intera disciplina specifica volta a tutelare i cd. riders non etero-organizzati che assurgono quindi a categoria di lavoratori speciale, riconosciuta e tutelata dall'ordinamento, ed ormai emancipatasi dalla generica categoria dei gig-workers. Ad essi è dedicato il nuovo capo V bis del cd. Testo Unico dei contratti (d.lgs. n. 81 del 2015) che, nonostante il titolo “tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”, limita il proprio ambito di applicazione ai “lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore”, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 1: in poche parole, ai “riders” non etero-organizzati. La disciplina introdotta può sintetizzarsi come segue. È introdotta la forma scritta ai fini della prova e un obbligo di informazione in materia di sicurezza e sui diritti dei lavoratori, obblighi presidiati dalla previsione di una sanzione pecuniaria determinata equitativamente in relazione alla gravità della violazione (nella misura massima dei compensi ricevuti nell'ultimo anno). È demandata ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative la possibilità di definizione del compenso complessivo. In difetto della disciplina contrattuale è comunque escluso che la retribuzione possa essere corrisposta unicamente “a cottimo” ma, anzi, deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti, oltre che un'indennità integrativa non inferiore al 10% per le prestazioni svolte in condizioni di disagio (di notte, in periodo festivo, in presenza di condizioni meteo particolarmente sfavorevoli). Tale indennità deve essere meglio definita dai contratti collettivi o, in difetto, sarà stabilita da decreto del Ministero del lavoro. Le previsioni in materia di compenso entreranno in vigore dal 2 novembre 2020. È poi previsto il divieto di discriminazione, con espressa previsione del divieto di esclusione dalla piattaforma o riduzione delle occasioni di lavoro in caso di mancata accettazione della prestazione. Da ultimo sono espressamente estese le normative in materia di protezione dei dati personali, di copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (quest'ultima entrerà in vigore dal 2 febbraio 2020), oltre che un organismo di monitoraggio e valutazione indipendente della disciplina introdotta. In conclusione
È difficile effettuare una valutazione della normativa introdotta, principalmente perché essa va ad innestarsi in quel concetto ancora di difficile definizione che è l'etero-organizzazione, espressamente estesa oggi anche alle modalità di lavoro tramite piattaforma. Al paragrafo 2 di questo scritto si sono evidenziati i problemi scaturenti dall'affidamento a simile criterio. È evidente che la tutela del gig-worker sarà tanto più estesa tanto più si estenderà, non solo il concetto di etero-organizzazione, ma anche, se dovesse venir confermato quanto precisato dalla Corte d'appello di Torino, il novero delle norme lavoristiche applicabili al lavoro etero-organizzato. La primissima giurisprudenza in materia, invero, non sembra superare il dualismo fra autonomia/subordinazione e così propendere per l'applicazione generalizzata delle tutele lavoristiche all'area grigia del lavoro “etero-organizzato” (o parasubordinato). Quanto alla disciplina di tutela minima introdotta dal nuovo capo V del d.lgs. n. 81 del 2015, a tutela del rider “puramente” autonomo, non può che osservarsi criticamente che essa non riguarda i gig-workers autonomi nella loro complessità, ma unicamente la categoria dei “riders”. Tale riforma parziale può essere salutata con favore là dove la si interpretasse come una misura d'urgenza destinata a “tamponare” l'esistenza di un vuoto legislativo in uno dei settori più deboli del mercato del lavoro moderno, ma si ritiene che non possa in alcun modo essere considerata risolutiva. Sarebbe necessaria una riflessione di sistema, sulla persistente attualità della dicotomia fra autonomia e subordinazione incentrata sull'elemento della eterodirezione, nonché la predisposizione di tutele più ampie a tutta una serie di rapporti di lavoro, ormai largamente diffusi, afferenti alla gig economy (e alla sharing economy) ove il lavoratore, come l'esperienza dimostra, si trova spesso in una condizione di estrema debolezza, non poi così diversa dal lavoratore subordinato “classico”.
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