Permesso di soggiorno per motivi umanitari: il decreto Salvini non è retroattivo

Redazione scientifica
14 Novembre 2019

Il d.l. n. 113/2018, conv. in l. n. 132/2018 (c.d. decreto Salvini), non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge. Tali domande dovranno essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in caso di sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, dovrà essere rilasciato il permesso di soggiorno per “casi speciali” di cui all'art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.

Lo hanno affermato le Sezioni Unite, decidendo sul ricorso proposto dal Ministero dell'Interno avverso la sentenza con cui la Corte d'appello di Firenze aveva riconosciuto la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno richiesto da un cittadino bengalese per motivi umanitari. In particolare, la decisione era fondata sull'indipendenza economica e personale acquisita dal richiedente che risultava dunque aver conseguito un'integrazione sociale utile ai fini del rilascio del permesso.
Con il ricorso proposto dal Ministero, è stata sollevata, da un lato, la questione della configurabilità del permesso per seri motivi umanitari e, dall'altro, quella dell'individuazione della rilevanza in tal senso dell'integrazione sociale.
Nelle more del procedimento di legittimità è entrato in vigore il d.l. n. 113/2018, conv. in l. n. 132/2018 (c.d. decreto Salvini) e la questione circa il regime temporale di applicazione della nuova disciplina è dunque giunta all'attenzione del Supremo Collegio.

Permesso di soggiorno per motivi umanitari.Le Sezioni Unite ripercorrono le modifiche normative susseguitesi in materia e gli orientamenti giurisprudenziali, sia a livello interno che comunitario, affermando che il diritto alla protezione, quale espressione del diritto costituzionale di asilo, sorge al momento dell'ingresso nel nostro Paese in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali. Sulla base di tale premessa, viene però precisato che, in tema di successione delle leggi nel tempo, è la presentazione della domanda volta ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari che «attrae il regime normativo applicabile». Di conseguenza, la normativa introdotta dal cd. decreto Salvini, nella parte in cui ha modificato la preesistente normativa di cui all'art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 e delle altre disposizioni consequenziali, «non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 113/2018, conv. in l. n. 132/2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall'art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge».
La sentenza precisa infine che «in tema di protezione umanitaria, l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d'origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza».
Il ricorso trova dunque accoglimento: le Sezioni Unite cassano la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it