Nessuna conseguenza per il protrarsi delle verifiche fiscali oltre i termini previsti dalla legge

15 Novembre 2019

Ho subito una verifica fiscale, durante la quale i giorni di effettiva permanenza dei verificatori sono stati superiori a quelli previsti dalla legge: in specie, la verifica è durata dal 22 gennaio al 2 agosto 2019. Durante tale verifica, sono stati acquisiti documenti e raccolti elementi: chiedo se il protrarsi della verifica oltre i trenta giorni stabiliti dalla legge possa avere qualche conseguenza (ad esempio, non utilizzabilità del materiale raccolto).

Ho subito una verifica fiscale, durante la quale i giorni di effettiva permanenza dei verificatori sono stati superiori a quelli previsti dalla legge: in specie, la verifica è durata dal 22 gennaio al 2 agosto 2019. Durante tale verifica, sono stati acquisiti documenti e raccolti elementi: chiedo se il protrarsi della verifica oltre i trenta giorni stabiliti dalla legge possa avere qualche conseguenza (ad esempio, non utilizzabilità del materiale raccolto).

Al fine di fornire una risposta al quesito, occorre, necessariamente, prendere le mosse dalla lettura del dato normativo.

Ai sensi dell'art. 12, comma 5, Legge n. 212/2000, “La permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni. Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l'eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell'arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente”.

Una tra le più rilevanti critiche che sono state mosse alla norma in esame è legata alla mancata previsione delle conseguenze giuridiche derivanti dall'inosservanza, da parte degli organi di controllo, dei limiti temporali ivi previsti.

La giurisprudenza di merito (CTR Lombardia, sentenza dell'8 agosto 2013, n. 84; CTR Lazio, sentenza dell'8 ottobre 2013, n. 610) ha pressoché costantemente affermato l'annullabilità dell'avviso di accertamento, valorizzando, alternativamente, il principio dell'invalidità derivata e quello della inutilizzabilità degli elementi irritualmente acquisiti.

La giurisprudenza di legittimità ha, invece, assunto un orientamento finalizzato a salvaguardare l'utilizzabilità delle prove irritualmente acquisite, negando di fatto ogni riflesso sostanziale alla violazione del termine di permanenza dei verificatori.

Recentemente sul punto si è pronunciata la Suprema Corte con sentenza n. 9448 del 18 aprile 2018, la quale ha statuito che “in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto art. 12, comma 5, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, ispettivo, né l'invalidità degli atti compiuti o l'inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati”.

Appare dirimente in proposito osservare che, alla violazione del termine di permanenza, non è ricollegata dalla legge alcuna delle conseguenze (inutilizzabilità delle prove raccolte; nullità degli atti di accertamento compiuti) attesa, da un lato, la mancanza di una specifica norma sanzionatoria, e dall'altro, la compiuta disciplina dettata dalla L. n. 212/2000, art. 12, comma 6, con riferimento ad eventuali irregolarità commesse dai verificatori durante la ispezione. Ed infatti, in tali ipotesi - tra cui deve ricomprendersi anche la ingiustificata protrazione delle operazioni di verifica - il contribuente, oltre a formulare a verbale osservazioni e rilievi (art. 12, comma 4), può rivolgersi al Garante (art. 12, comma 6) che, in seguito alla segnalazione, esercita i poteri istruttori richiesti dal caso (art. 13, comma 6), richiamando "gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli artt. 5 e 12 della presente legge" (art. 13, comma 9), ed ove rilevi comportamenti che "determinano un pregiudizio per i contribuenti o conseguenze negative nei loro rapporti con l'amministrazione", trasmette le relative segnalazioni ai titolari degli organi dirigenziali "al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare" (art. 13, comma 11).

Né in contrario depongono la disciplina, contenuta nella L. n. 212/2000, art. 12, comma 5 - della proroga del termine di permanenza nei locali, prevista solo nei casi di particolare complessità della verifica fiscale, e la formula lessicale del divieto utilizzata nella disposizione ("la permanenza...non può superare i trenta giorni") che appare analoga a quella impiegata nel comma 7 del medesimo articolo ("l'avviso...non può essere emanato prima della scadenza...") in relazione al termine dilatorio di sessanta giorni previsto, dopo la consegna del Processo Verbale di Constatazione, per la emanazione dell'atto impositivo onde consentire la comunicazione di osservazioni e chiarimenti da parte del contribuente, ipotesi quest'ultima la cui violazione dà luogo alla invalidità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza.

Non può, infatti, istituirsi una diretta corrispondenza tra le fattispecie contemplate dalle disposizioni del comma 5 e del comma 7 del medesimo art. 12, essendo diversi gli "oggetti" (provvedimento tributario; comportamento materiale dei funzionali pubblici) su cui spiegano effetto i rispettivi divieti e la rilevanza degli interessi sostanziali ad essi sottesi (corretta formazione del rapporto tributario; interesse negativo del soggetto alla presenza di soggetti estranei nei locali in cui si svolge l'attività economica).

Nella ipotesi disciplinata dal comma 7, il divieto si riflette, infatti, sullo stesso esercizio della potestà impositiva, rimanendo questo impedito prima della scadenza del termine (l'avviso non può essere emanato, e se emanato è da ritenersi invalido, difettando il presupposto legale cui è subordinato l'esercizio del potere in concreto).

Diversamente nella fattispecie contemplata nel comma 5, non viene in questione una attività provvedimentale, ossia la adozione di un atto con la connessa categoria della invalidità (non occorre definire il corretto inquadramento dogmatico del vizio, ossia definire se trattasi di inesistenza, nullità od annullabilità), ma un mero comportamento materiale tenuto dai funzionari che effettuano la verifica mediante accesso nei locali in cui si svolge l'attività economica, in relazione al quale non ha senso invocare le categorie della invalidità degli atti e dei negozi giuridici, atteso che la difformità della condotta dallo schema legale viene a configurare in un illecito che, se produttivo di danno, determina la correlativa responsabilità patrimoniale, fatta salva sempre la eventuale responsabilità disciplinare del funzionario pubblico.

La differente rilevanza degli interessi presi in considerazione dalle disposizioni della L. n. 212/2000, art. 12, commi 5 e 7, giustifica razionalmente, peraltro, la scelta del Legislatore di non ricollegare alla violazione del termine del permanenza nei locali la sanzione di invalidità dell'atto impositivo, non incidendo la violazione della durata della verifica su diritti costituzionalmente tutelati riferibili al contribuente.

Sul punto, è intervenuto anche il Comando Generale della Guardia di Finanza con Circolare n. 1 del 2018, il quale ha riportato quanto precisato dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 10481 del 27 aprile 2017, ovvero che “il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione”.

Ne consegue, quindi, che la permanenza dei verificatori nei locali oltre i termini indicati nella Legge n. 212/2000, art. 12, comma 5, non preclude l'utilizzo dei documenti, delle informazioni e degli altri elementi probatori, acquisiti oltre la scadenza dei predetti termini, i quali, quindi, possono essere ben posti a fondamento della pretesa fiscale.

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