Opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti

Lunella Caradonna
19 Novembre 2019

Il sistema sanzionatorio in tema di sostanze stupefacenti è stato oggetto di significative modifiche con la legge 21 febbraio 2006, n. 49 attraverso una complessiva rivisitazione degli illeciti di rilievo amministrativo.
Inquadramento

Il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, recante “Disposizioni in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione ai sensi dell'art. 54 della legge 69 del 18 giugno 2009” ha individuato tre modelli unitari cui ricondurre i riti speciali esistenti nell'ambito civile: il rito del lavoro, il rito sommario di cognizione e il rito ordinario di cognizione.

Così facendo il legislatore è riuscito a razionalizzare la normativa processuale riportando in un unico testo normativo tutte le disposizioni speciali che disciplinavano i vari riti creando una coerenza del sistema processuale molto utile per tutti gli operatori del diritto.

Si è operato in tal modo un cambio di prospettiva, che nel passato vedeva privilegiare la natura della controversia che giustificava, per ciò solo, una specifica disciplina e che trovava, secondo autorevole dottrina, il suo fondamento nei principi di uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2, Cost.) e in quello di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24, comma 1, Cost.), in applicazione dei quali, si afferma, la tutela “differenziata” assicurava una tutela giurisdizionale effettiva.

Critiche sono sorte in relazione ai criteri seguiti per la ricognizione dei procedimenti che sono stati assoggettati al rito del lavoro, caratterizzati dalla concentrazione processuale o dell'ufficiosità dell'istruzione, così come è stato ritenuto poco chiaro la previsione del rito del lavoro (piuttosto che di quello ordinario) con riferimento ai procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali e a quelli di opposizione a sanzione amministrativa e di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada.

I riti semplificati, in ogni caso, ricondotti al rito del lavoro, oltre all'opposizione a sanzioni in materia di stupefacenti, sono l'opposizione a sanzione amministrativa; l'opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada; l'opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato; i procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice della privacy; le controversie agrarie; l'impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti.

L'articolo 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309

Il sistema sanzionatorio in tema di sostanze stupefacenti è stato oggetto di significative modifiche con la legge 21 febbraio 2006, n. 49 attraverso una complessiva rivisitazione degli illeciti di rilievo amministrativo.

Il riferimento specifico è, pertanto, agli artt. 75 e 75-bis del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

L'art. 75-bis richiamato è stato, poi, dichiarato costituzionalmente illegittimo, dai giudici delle leggi con sentenza 6 maggio 2016, n. 94.

In evidenza

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), come convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49, che ha introdotto l'art. 75-bis del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), affermando che l'esame del contenuto della disposizione impugnata denotava la palese estraneità delle disposizioni censurate, aggiunte in sede di conversione, rispetto ai contenuti e alle finalità del decreto-legge in cui sono state inserite, in modo da evidenziare, sotto questo profilo, una violazione dell'art. 77, comma 2, Cost. (Corte cost., sent.,6 maggio 2016, n. 94).

Si tratta di un modello (già conosciuto nel nostro ordinamento giuridico in materia di violenza sportiva) caratterizzato da un sistema di sanzioni che viene attribuito alla competenza del prefetto, al quale si affianca, in tema di impugnazioni, il giudice di pace.

Per quanto concerne la disciplina normativa, premesso che l'art. 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è stato pensato dal legislatore “per esclusione” rispetto all'ambito di operatività delle sanzioni penali (nel senso che sussiste illecito amministrativo, laddove non rilevano condotte penalmente rilevanti), la finalità perseguita è stata quella di prevedere un meccanismo che potesse funzionare da deterrente sul soggetto che facesse uso di sostanze stupefacenti, ma che non commettesse alcun illecito penale.

Parimenti rilevante è stata l'esigenza di tutela della collettività nei confronti delle persone che assumono sostanze stupefacenti ed integrano illeciti amministrativi.

Ciò posto, l'art. 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, disciplina le condotte che configurano illeciti amministrativi e dispone l'applicazione di specifiche sanzioni amministrative , per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a un anno, nei confronti di chi illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 73, comma 1-bis, o medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezioni B e C, fuori delle condizioni di cui all'art. 72, comma 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

Le sanzioni previste sono la sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla; la sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla; la sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli e la sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

Il procedimento prevede che gli organi di polizia, dopo avere accertato i fatti di cui alle condotte sopra descritte, procedono alla contestazione immediata e riferiscono, senza ritardo e comunque non oltre dieci giorni, con gli esiti degli esami tossicologici sulle sostanze sequestrate effettuati presso le indicate strutture pubbliche, al prefetto che applica le sanzioni previste dalla legge e formula l'invito a seguire un programma terapeutico e socioriabilitativo o altro programma educativo e informativo personalizzato predisposto dal servizio pubblico per le tossicodipendenze competente per territorio o da un struttura privata autorizzata.

Il prefetto che applica le sanzioni è quello competente per territorio in relazione al luogo di residenza o, in mancanza, di domicilio dell'interessato e, ove questi siano sconosciuti, in relazione al luogo ove è stato commesso il fatto,

L'inosservanza del termine dei dieci giorni non produce effetti sul procedimento avente natura meramente ordinatoria, e quindi non è di per sé idonea a legittimare eventuali impugnazioni.

Il prefetto, se ritiene fondato l'accertamento, entro quaranta giorni dalla segnalazione ricevuta, adotta un'ordinanza con la quale convoca l'interessato o un suo delegato per valutare, dopo un colloquio, le sanzioni amministrative da irrogare e la loro durata.

L'interessato può avvalersi delle facoltà previste dall'articolo 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dettato in materia di sanzioni amministrative pecuniarie.

In questo caso o nel caso in cui non venga emessa un'ordinanza motivata di archiviazione degli atti, il prefetto provvede a convocare la persona segnalata e contemporaneamente pronuncia l'ordinanza con cui ritiene fondato l'accertamento.

Quest'ultima ordinanza viene adottata entro centocinquanta giorni dalla ricezione degli scritti difensivi ovvero dallo svolgimento dell'audizione ove questa sia richiesta dalla persona interessata.

Se il soggetto interessato è un minore di età, il prefetto convoca i genitori o chi esercita la potestà genitoriale, ma soltanto quando ciò non contrasti con le esigenze educative del minore.

La persona interessata può chiedere di prendere visione e di ottenere copia degli atti di cui al presente articolo che riguardino esclusivamente la sua persona, ma se gli atti riguardano più persone, egli può ottenere il rilascio degli estratti delle parti che lo riguardano.

Nei confronti dell'ordinanza con la quale il prefetto ritiene fondato l'accertamento e convoca la persona segnalata può essere proposta opposizione al giudice di pace, entro il termine di dieci giorni dalla notifica all'interessato.

Se si tratta di minori l'opposizione va proposta al tribunale per i minorenni.

Ancora può essere proposta opposizione, entro il termine di dieci giorni dalla notifica stessa, avverso il decreto con il quale il prefetto irroga le sanzioni e formale eventualmente l'invito a seguire un programma terapeutico e socioriabilitativo o altro programma educativo e informativo.

L'opposizione si presenta davanti al giudice di pace, e nel caso di minorenne, al tribunale per i minorenni.

Il provvedimento, che viene comunicato anche al questore, ha effetto, per espressa previsione normativa dal momento della notifica all'interessato.

In evidenza

Nel caso di opposizione proposta dalla persona interessata avverso l'ordinanza con la quale il prefetto ritiene fondato l'accertamento e convoca la persona segnalata la verifica che compie il giudice di pace è di legittimità formale del procedimento posto in essere dal prefetto e le norme del procedimento a cui dovrà attenersi il giudice di pace sono quelle degli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, a cui pertanto si rinvia.

Nel caso di accoglimento dell'opposizione si ferma l'ulteriore corso del procedimento.

Nell'ipotesi in cui l'interessato si sia sottoposto, con esito positivo, al programma terapeutico e socioriabilitativo o altro programma educativo e informativo, il prefetto, con provvedimento, revoca le sanzioni e ne dà comunicazione al questore e al giudice di pace competente.

In evidenza

Se con riferimento ai fatti commessi, nel caso di particolare tenuità della violazione, ricorrono elementi tali da far presumere che la persona si asterrà per il futuro, dal commetterli nuovamente, in luogo della sanzione, e limitatamente alla prima volta, il prefetto può definire il procedimento con il formale invito a non fare più uso delle sostanze stesse, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danno.

L'opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti

L'art. 8 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, inserito nel capo II, rubricato “Delle controversie regolate dal rito del lavoro”, disciplina l'opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti prevedendo che le controversie previste dall'art. 75, comma 9, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sono regolate dall'articolo 6 del presente decreto.

La competenza è del giudice di pace e, nel caso in cui il trasgressore sia un minorenne, il tribunale per i minorenni del luogo ove ha sede il prefetto che ha pronunciato il provvedimento impugnato (art. 8, comma 2, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150).

In particolare, avuto riguardo alle sanzioni amministrative di cui all'art. 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il potere applicativo è previsto in capo al prefetto del luogo di residenza del trasgressore.

Con riferimento alla competenza del giudice di pace, il giudice competente è necessariamente quello del luogo in cui ha sede l'ufficio di governo che ha applicato le sanzioni amministrative.

Il giudice di pace è, infatti, giudice delle impugnazioni rispetto ai provvedimenti prefettizi assunti in materia.

In sede di impugnazione il giudice di pace compie, innanzi tutto, una verifica di legittimità del provvedimento impugnato, avuto riguardo per esempio al rispetto dei termini a difesa, se richiesti o dell'esercizio delle facoltà difensive.

Il prefetto verifica anche la gravità delle violazioni poste in essere (che possono essere applicate congiuntamente) e la personalità del trasgressore e la proporzionalità delle sanzioni applicate in ragione degli individuati parametri.

Ancora il giudice di pace accerta, su specifiche censure della parte opponente, se che il procedimento doveva concludersi con un provvedimento di archiviazione degli atti per l'insussistenza dell'illecito amministrativo o con l'invito al soggetto interessato a non fare più uso di sostanze stupefacenti.

Il procedimento e il rito del lavoro

L'art. 6, comma 1, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, che tratta specificamente dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione, precisa che le controversie previste dall'articolo 22 della legge 24novembre 1981, n. 689, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni dello stesso articolo.

L'opposizione si propone davanti al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione e si propone davanti al giudice di pace, fatte salve le competenze stabilite da altre disposizioni di legge.

In evidenza

Ai fini della competenza territoriale relativa ai procedimenti d'appello avverso le sentenze emesse dal giudice di pace in materia di opposizione a sanzioni amministrative, non si applica la regola del “foro erariale” stabilita nell'art. 7 R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, relativa alle controversie in cui sia parte un'Amministrazione dello Stato (Cass. civ., ord., 6 marzo 2018, n. 5249)

Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale.

L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa se richiesto e sentite le parti, con ordinanza non impugnabile, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.

In caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, la sospensione può essere disposta con decreto pronunciato fuori udienza. La sospensione diviene inefficace se non è confermata, entro la prima udienza successiva, sempre con ordinanza non impugnabile.

La sospensione dell'efficacia del provvedimento amministrativo impugnato è disciplinata in via autonoma dall'art. 5 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, che prevede che la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale è disposta, sentite le parti, con ordinanza non impugnabile quando ricorrono «gravi e circostanziate ragioni da indicare esplicitamente in motivazione».

E tuttavia, oltre al procedimento di sospensione ordinario, adottato nel contraddittorio delle parti, è prevista la possibilità che la sospensione sia disposta con decreto pronunciato inaudita altera parte fuori udienza dal giudice adito quando vi sia un “pericolo imminente di un danno grave e irreparabile”.

Tale sospensione, tuttavia, deve essere confermata, a pena di inefficacia, entro la prima udienza successiva, con la prescritta ordinanza (art. 5, comma 2, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150).

La norma, all'evidenza, richiama il procedimento dettato dall'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., in materia di procedimento cautelare uniforme.

Il legislatore, in tal modo, ha dettato una disciplina che trova applicazione, salva diversa disposizione, in tutti i procedimenti di opposizione disciplinati dal d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, significativamente innovativa sotto il profilo dei termini, dei presupposti e della procedura, che ha suscitato forti dubbi in termini di eccesso di delega, poiché è stato previsto un vero e proprio sub-procedimento di natura cautelare, connesso a quello principale.

Con il decreto di cui all'articolo 415, comma 2, c.p.c. il giudice ordina all'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell'udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all'opponente e all'autorità che ha emesso l'ordinanza.

Nel giudizio di primo grado l'opponente e l'autorità che ha emesso l'ordinanza possono stare in giudizio personalmente.

L'autorità che ha emesso l'ordinanza può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati.

Il giudice, già alla prima udienza, se il ricorso è proposto oltre i termini di legge, lo dichiara inammissibile con sentenza.

Nell'ipotesi in cui l'opponente o il suo difensore non compaiono all'udienza fissata e non adducono alcun legittimo impedimento, il giudice di pace convalida con ordinanza appellabile il provvedimento opposto e provvede sulle spese.

Se, tuttavia, l'autorità che ha emesso l'ordinanza abbia omesso il deposito di copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, alla contestazione o notificazione della violazione o altro profilo di illegittimità risulti dalla documentazione allegata dall'opponente, il giudice di pace accoglie l'opposizione.

Parimenti accoglie l'opposizione quando non vi siano prove sufficienti che l'opponente abbia commesso l'illecito amministrativo che gli viene contestato, ovvero quando non vi è prova della responsabilità dell'opponente.

Con la sentenza che accoglie l'opposizione il giudice può annullare in tutto o in parte l'ordinanza o modificarla anche limitatamente all'entità della sanzione dovuta, che è determinata in una misura in ogni caso non inferiore al minimo edittale.

In evidenza

Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità possono, ai sensi dell'art. 339, comma 3, c.p.c., soltanto formare oggetto di ricorso per cassazione e sono, pertanto, inappellabili.

L'inammissibilità dell'appello, attenendo ai presupposti dell'impugnazione, è rilevabile anche d'ufficio in sede di legittimità (Cass. civ., sent., 25 settembre 2017, n. 22256)

Nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace non si applica l'articolo 113, comma 2,c.p.c., con il conseguente corollario che il giudice di pace non può decidere secondo equità.

Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede duemilacinquecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'art. 1342 c.c., ovvero mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali.

In evidenza

In seguito all'abrogazione dell'ultimo comma dell'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, intervenuta con il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, la sentenza che definisce il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, compresa quella del giudice di pace, è soggetta all'appello e non al ricorso per cassazione. L'appello per le cause di valore non superiore a euro 1.100,00, non è sottoposto alle limitazioni di cui all'art. 339, comma 3, c.p.c. poiché, per espressa disposizione dell'art. 23, comma 11, della legge citata, come modificato dall'art. 99 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, non è applicabile l'art. 113, comma 2, c.p.c., sicché non è possibile una pronuncia secondo equità (Cass. civ., ord., 22 ottobre 2018, n. 26613).

Riferimenti
  • Carratta A., in Mandrioli, C.- Carratta, A., Come cambia il processo civile, Torino, 2009;
  • Proto Pisani, Tutela giurisdizionale differenziata e nuovo processo del lavoro, in Foro it., 1973, V.
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