In assenza di condominio, non è possibile aprire delle vedute sul cortile comune
20 Novembre 2019
Tizia convenne in giudizio Caio e Sempronio, proprietari di immobile confinante a quello dell'attrice, domandandone la condanna alla riduzione in pristino di una serie di costruzioni realizzate in violazione delle distanze legali. Anche i convenuti, in riconvenzionale, ne domandarono la condanna alla riduzione di pristino del tetto e del solaio modificati, di due lucernai, di una copertura del balcone. In primo grado, il giudice adito accolse parzialmente entrambe le domande delle parti in causa. Pronunciando sull'appello principale di Caio e Sempronio e sull'appello incidentale di Tizia, la Corte territoriale condannava solo gli Caio e Sempronio a ripristinare lo stato del loro fabbricato nelle condizioni antecedenti agli interventi compiuti. Avverso tale decisione, quest'ultimi hanno proposto ricorso in Cassazione eccependo, tra i vari motivi, la falsa applicazione degli artt. 905, 1102 e 1139 c.c., non operando nella fattispecie di causa l'art. 905 c.c., quanto l'art. 1102 c.c. in tema di uso di bene comune in ambito condominiale. I ricorrenti sostenevano l'errore della Corte d'Appello, in quanto l'art. 1102 c.c. è applicabile al condominio, in forza dell'art. 1139 c.c., ed è comunque applicabile alla comunione. Nel giudizio di legittimità, la S.C. conferma il ragionamento espresso nel provvedimento impugnato. Difatti, ove sia accertata, come nel caso in esame, la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi (ed allorché, come nella specie accertato in fatto, fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialità dell'area scoperta, ai sensi dell'art. 1117 c.c.), l'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c. Pertanto, il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell'immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., il quale non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato rigettato. |