Contributo unificato

Antonio Scalera
25 Novembre 2019

Il contributo unificato, introdotto con la legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 9, ha sostituito, dall'1.3.2002, il previgente sistema di imposizione basato sul bollo e sulla tassa di iscrizione a ruolo, oltre che sui diritti di cancelleria.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Il contributo unificato, introdotto con la legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 9, ha sostituito, dall'1.3.2002, il previgente sistema di imposizione basato sul bollo e sulla tassa di iscrizione a ruolo, oltre che sui diritti di cancelleria

Il contributo unificato, ora disciplinato dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico in materia di spese di giustizia), art. 9, è un tributo.

Esso, infatti, ne presenta le caratteristiche fondamentali: la doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti, nonché il collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante.

Prova ne è, come visto, che il contributo unificato ha sostituito, per ragioni di semplificazione, "le imposte di bollo, la tassa di iscrizione a ruolo, i diritti di cancelleria, nonché i diritti di chiamata di causa dell'ufficiale giudiziario", mantenendo le medesime esenzioni fiscali.

La doverosità della prestazione deriva dalla stessa legge: seppur, in origine, fosse prevista l'irricevibilità dell'atto, qualora la parte non avesse assolto preventivamente l'onere tributario, tale disposizione, data la sua dubbia legittimità costituzionale, è stata sostituita dalla riscossione coattiva.

Il collegamento tra contributo giudiziario e spesa pubblica emergeva invece dal già citato art. 9, che era appunto rubricato "Contributo unificato per le spese degli atti giudiziari".

L'assenza di sinallagmaticità, invece, è conseguenza delle regole di determinazione del quantum del tributo giudiziario, fondate sul valore (economico) della controversia e non sul costo del servizio reso.

Dall'indubbia natura tributaria del contributo unificato deriva, innanzitutto, che le controversie in materia rientrano nella giurisdizione delle Commissioni tributarie.

L'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 dispone infatti che «appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie».

L'appartenenza alla giurisdizione tributaria delle liti in materia di contributo unificato è oggi confermata dall'art. 11, comma 2, del citato d.lgs., a norma del quale «stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli Uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato».

L'omesso versamento del contributo unificato, o un versamento inferiore al dovuto, non è oggetto di accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate, bensì da parte dell'Ufficio del Ministero di Giustizia (o della segreteria delle Commissioni tributarie).

Di conseguenza, come recentemente confermato dalla giurisprudenza di legittimità, l'invito al pagamento emesso, ai sensi dell'art. 248 del Testo Unico delle spese di giustizia, dalla cancelleria di un ufficio giudiziario, con il quale è chiesto il contributo non versato o versato in misura inferiore a quella dovuta, costituisce "avviso di accertamento", autonomamente impugnabile ai sensi del citato art. 19.

Se tale atto non è impugnato, si consolida la pretesa fiscale, non potendo il contribuente impugnare le successive iscrizione a ruolo e cartella di pagamento (se non per vizi propri).

Se impugnato, invece, si forma, innanzi alla Commissione tributaria, un giudizio che prosegue autonomamente rispetto a quello che ha dato luogo al contributo unificato e che richiede, a sua volta, il versamento di un contributo unificato.

La natura

Il tributo, al cui interno è annoverato il contributo unificato, è una categoria che comprende imposte, tasse e contributi. Anche il contributo unificato va, dunque, inquadrato entro questa tripartizione.

La tassa ha come presupposto l'emanazione di un provvedimento o lo svolgimento di un servizio pubblico, specificamente riguardanti un determinato soggetto.

Il contributo (o "tributo speciale") ha come presupposto l'arricchimento che determinate categorie di soggetti ritraggono dall'esecuzione di un'opera pubblica destinata, di per sé, alla collettività in modo indistinto.

Avendo quale presupposto il servizio giudiziario (conseguenza della costituzione in giudizio), il contributo unificato, indipendentemente dal nomen juris, è una tassa.

E ciò vale anche se il contributo è quantificato sulla base del valore della controversia, in quanto, per determinarne la natura di tassa, conta solo il fatto di essere dovuto in relazione ad un servizio pubblico o ad una attività resa dall'ente pubblico all'obbligato normalmente su domanda e nei riguardi esclusivi di quest'ultimo.

Del resto, la giustificazione logica del contributo unificato è data proprio dall'espletamento di un servizio pubblico richiesto dalla parte attrice e non dalla mera partecipazione quale parte in giudizio.

La qualificazione come tassa del contributo unificato non è priva di conseguenze.

Per la Corte costituzionale, infatti, il principio di capacità contributiva non si applica alle tasse, ma solamente alle imposte. E, indirettamente, lo afferma proprio in tema di tributi giudiziari (Corte cost. 2 aprile 1964, n. 30, e poi nuovamente in successive pronunce, ex multis, Corte cost. 29 dicembre 1966, n. 128; Corte cost., 17 aprile 1968, n. 23; Corte cost., 6 dicembre 1984, n. 268).

In sintesi, secondo la Corte costituzionale, premesso che, come si desume, a contrario, dal terzo comma dell'art. 24 Cost., «non v'è norma costituzionale che garantisca la prestazione gratuita del servizio giudiziario», (...) «risponde ... ad un principio di giustizia distributiva che il costo del processo sia sopportato in definitiva da colui ha reso necessaria l'attività del giudice ed ha perciò occasionato la spesa implicata dal suo svolgimento».

Ancora, «l'art. 53 ... non si riferisce ai tributi giudiziari. Avendo fatto richiamo alla capacità contributiva e alla progressività rispettivamente come indice di imponibilità e come criterio di imposizione, è intuitivo che esso ha avuto riguardo soltanto a prestazioni di servizi il cui costo non si può determinare divisibilmente. Non concerne perciò quelle spese giudiziarie la cui entità è misurabile per ogni singolo atto, e che quindi possono gravare individualmente su chi vi ha dato occasione; ed è richiamabile solo per la spesa della organizzazione generale dei servizi giudiziari, che è sostenuta dallo Stato nell'interesse indistinto di tutta la collettività, e che, di conseguenza, indistintamente su tutta la collettività deve gravare, in proporzione della capacità contributiva di ognuno dei suoi membri» (Corte cost. 2 aprile 1964, n. 30).

Insomma, per la Corte, il principio di capacità contributiva non si applica ai tributi (tra cui le tasse), ove è identificabile il singolo fruitore del servizio pubblico, ma solo ai tributi (le imposte), dove il fruitore non è identificabile.

Ciò in quanto, per la Corte, occorre distinguere tra spese divisibili e indivisibili.

Nelle tasse, contrariamente a quanto avviene nelle imposte, è identificabile colui che ha dato luogo alla spesa pubblica, fruendo dello specifico servizio pubblico: si tratta, dunque, di una spesa divisibile, e tale connotazione giustificherebbe la non applicazione del principio di capacità contributiva, ma l'applicazione di un criterio di giustizia distributiva basato sul costo del servizio.

Tale conclusione è conseguenza della concezione della capacità contributiva quale idoneità di un soggetto a corrispondere l'obbligazione tributaria, che si pone in relazione non con le concrete capacità di ciascun contribuente, ma con il presupposto al quale la prestazione stessa è collegata e con gli elementi essenziali dell'obbligazione tributaria.

Sono, pertanto, esclusi dal principio di capacità contributiva tutte le forme di prelievo fiscale non commisurate ad una manifestazione di ricchezza del prelievo, quali le tasse.

L'art. 53, comma 2 Cost., che richiede la progressività del sistema tributario, non impone però che ogni singolo tributo sia progressivo, ma che, come deciso anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 29 dicembre 1966, n. 128), il "sistema tributario", nel suo complesso, sia informato a criteri di progressività.

Pertanto, il contributo unificato non si pone in contrasto con il principio di progressività dell'imposizione, in quanto la progressività del sistema è oggi garantita (o dovrebbe esserlo) dall'imposta personale sul reddito.

Per come strutturato, il contributo unificato non contrasta nemmeno con il diritto dell'Unione Europea ed, in particolare, con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, consacrata dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che dispone che «ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice».

In tal senso, con riguardo al peso del contributo unificato italiano nei processi amministrativi di appalto, la Corte di Giustizia (CGE, 6 ottobre 2015, causa C-61/14, punti 55-65) ha avuto modo di decidere che tale tributo, non essendo superiore al 2% del valore dell'appalto, non è tale «da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione Europea in materia di appalti pubblici».

In altre parole, per la Corte di Giustizia, il contributo unificato non limita il diritto di difesa, per tre ragioni:

  • il contributo è imposto indistintamente, quanto alla sua forma e importo, nei confronti di tutti i contribuenti che intendano porre in essere la stessa azione;
  • la partecipazione di un'impresa ad un appalto pubblico presuppone una capacità economica e finanziaria adeguata;
  • la parte soccombente è tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice.

In evidenza

Corte cost., 11 febbraio 2005, n. 73

La natura di “entrata tributaria erariale” del predetto contributo unificato si desume infatti, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che lo disciplina:

a) dalla circostanza che esso è stato istituito in forza di legge a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi erariali gravanti anch'essi su procedimenti giurisdizionali, quali l'imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, oltre che dei diritti di cancelleria e di chiamata in causa dell'ufficiale giudiziario (art. 9, commi 1 e 2, della legge n. 488/1999);

b) dalla conseguente applicazione al contributo unificato delle stesse esenzioni previste dalla precedente legislazione per i tributi sostituiti e per l'imposta di registro sui medesimi procedimenti giurisdizionali (comma 8 dello stesso art. 9);

c) dalla sua espressa configurazione quale prelievo coattivo volto al finanziamento delle «spese degli atti giudiziari» (rubrica del citato art. 9);

d) dal fatto, infine, che esso, ancorché connesso alla fruizione del servizio giudiziario, è commisurato forfetariamente al valore dei processi (comma 2 dell'art. 9 e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata.

Il contributo ha, pertanto, le caratteristiche essenziali del tributo e cioè la doverosità della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale è quella per il servizio giudiziario (analogamente si sono espresse, quanto alle caratteristiche dei tributi, le sentenze n. 26/1982, n. 63/1990, n. 2/1995, n. 11/1995 e n. 37 del 1997), con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante.

Il contributo unificato nel processo civile

a. Ambito di applicazione

L'ambito generale entro cui opera il contributo unificato è quello del procedimento giurisdizionale.
Tale assunto è confermato dal combinato disposto dell'articolo 9 del d.P.R. n. 115/02 (Testo unico in materia di spese di giustizia), secondo il quale «è dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale, e di volontaria giurisdizione, e nel processo amministrativo, (...) salvo le esenzioni previste dall'articolo 10» e dell'articolo 3, comma 1, lettera o) del medesimo Testo normativo, secondo il quale «processo è qualunque procedimento contenzioso o non contenzioso di natura giurisdizionale».

II legislatore, pertanto, non facendo distinzione tra i termini "procedimento" e processo" ha inteso subordinare tutti gli atti e i provvedimenti dei procedimenti giurisdizionale al pagamento del contributo unificato.

In evidenza

L'ambito di applicabilità del contributo unificato risulta limitato ai procedimenti previsti dalla legge e agli atti ad essi necessariamente connessi, con esclusione di tutti quegli affari che anche se espletati davanti ad un ufficio giudiziario non sono correlati ad alcun procedimento e sono destinati a realizzare esigenze e finalità estranee all'attività processuale (Circolare 13 maggio 2002 n. 1465/02/4, Min. Giust. Dip. Aff. Giustizia).

b. Esenzioni

Nel processo civile il pagamento del Contributo Unificato è dovuto al momento dell'iscrizione a ruolo della causa.

Non è, tuttavia, soggetto al contributo unificato il processo già esente, secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore, dall'imposta di bollo o da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, nonché il processo di rettificazione di stato civile, il processo in materia tavolare, il processo di cui all'articolo 3, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (art. 10, punto 1, t. u. spese di giustizia).

Non è soggetto al contributo unificato il processo, anche esecutivo, di opposizione e cautelare, in materia di assegni per il mantenimento della prole, e quello comunque riguardante la stessa.

Non sono soggetti al contributo unificato i processi di cui al libro IV, titolo II, capi II, III, IV e V del codice di procedura civile.

c. L'importo del contributo unificato

L'importo del Contributo Unificato è disciplinato dall'art. 13 del T.U. ed è scaglionato per importi variabili dipendenti dal valore della domanda.

L'art. 306 della legge n. 311/2004 (finanziaria 2005) ha soppresso l'esenzione del pagamento del contributo per i procedimenti ordinari di valore inferiore ad € 1.100,00 ed ha rideterminato gli importi del Contributo Unificato.

Il valore della domanda si determina sommando la sorte capitale e gli interessi maturati al momento della proposizione della domanda.

Il valore dei processi di sfratto per morosità si determina in base all'importo dei canoni non corrisposti alla data di notifica dell'atto di citazione per la convalida e quello dei processi di finita locazione si determina in base all'ammontare del canone per ogni anno.

Nell'ipotesi di proposizione della domanda riconvenzionale l'importo del Contributo Unificato dovrà essere integrato solo nell'ipotesi in cui il valore della domanda riconvenzionale superi il valore della domanda originaria. L'integrazione del Contributo Unificato sarà pari alla differenza tra l'importo già pagato e quello risultante dal valore maggiore introdotto con la domanda riconvenzionale.

Il contributo è ridotto alla metà per i processi speciali previsti nel libro IV, titolo I, del codice di procedura civile, compreso il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, salvo quanto previsto dall'articolo 9 comma 1-bis, introdotto dal decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011,così come modificato in sede di conversione con la legge n. 111 del 16 luglio 2011 che così recita: «Nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonchè per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, superiore tre volte l'importo previsto dall'articolo 76, sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all'articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 3, salvo che per i processi dinanzi alla Corte di Cassazione in cui il contributo è dovuto nella misura di cui all'articolo 13, comma 1».

Nell'ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo con contestuale proposizione di domanda riconvenzionale, vi è chi ritiene che l'importo del Contributo Unificato è dovuto per intero qualora il valore della domanda riconvenzionale superi il valore della domanda introdotta con giudizio monitorio.

Per alcuni procedimenti l'importo del Contributo Unificato è predeterminato prescindendo dal valore della causa.

In particolare le modifiche introdotte dal decreto legge n. 98/2011 hanno inciso su alcuni procedimenti che in precedenza erano esenti o determinati in misura fissa:

  • Processi esecutivi mobiliari di valore inferiore ad € 2.500,00: il contributo unificato è fissato in € 37,00
  • Procedimenti sommari: il contributo unificato è dovuto nella misura fissata secondo il valore della causa ridotto alla metà. Per il procedimento sommario di cognizione, nel caso il procedimento prosegua con rito ordinario, sarà necessaria l'integrazione del contributo fino a coprire la misura ordinaria.
  • Procedimenti per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubbico impiego: il contributo unificato è dovuto nella misura fissata secondo il valore della causa ridotto alla metà salvo quanto previsto dal comma 1-bis dell'articolo 9.
  • Procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo e di opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento: il contributo unificato è dovuto nella misura fissata secondo il valore della causa ridotto alla metà.
  • Procedimenti per regolamento di competenza e giurisdizione: il contributo unificato è dovuto secondo il valore della causa.
  • Procedimenti di opposizione ad ordinanze ingiunzione ex art. 23 l. n. 689/81: il contributo unificato è dovuto secondo il valore della controversia benchè non sia dovuto il diritto di copia ex art. 10 comma 6-bis T.U. così come integrato dalla legge finanziaria.
  • Procedimenti in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria: il contributo unificato è dovuto nella misura di € 37,00. salvo quanto previsto dal comma 1-bis dell'articolo 9.
  • Procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione: il contributo unificato è dovuto secondo il valore della causa, con l'aggiunta di un importo pari all'imposta fissa di registrazione dei provvedimenti giudiziari.
  • Procedimenti in materia di locazione, comodato, occupazione senza titolo e di impugnazione delibere condominiali: il contributo unificato è dovuto secondo il valore della causa

L'art. 14 del T.U. impone l'obbligo di indicare con apposita dichiarazione contenuta nelle conclusioni dell'atto introduttivo ovvero dell'atto con il quale si propone domanda riconvenzionale, il valore della domanda.

La mancata indicazione del valore non determina l'improcedibilità della domanda ma determina l'obbligo del pagamento del Contributo Unificato nel suo importo massimo

Il Cancelliere è tenuto a verificare se è stata resa la dichiarazione prescritta dall'art. 14 del T.U. e se l'importo pagato sia corrispondente a quello effettivamente dovuto.

Nell'ipotesi di omesso o insufficiente versamento del Contributo Unificato l'art. 248 del T.U. stabilisce che l'Ufficio entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo, notifica alla parte ai sensi dell'art. 137 c.p.c. l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra la dichiarazione resa ed il corrispondente scaglione dell'art. 13 o ai sensi dell'art. 13 comma 6, con espressa avvertenza che procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese.

Il decreto legge n. 98/2011 ha introdotto una pesante penalizzazione, consistente nell'aumento della metà del contributo unificato, per il professionista che ometta di indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata ed il proprio numero di fax ai sensi dell'art. 125, comma 1 c.p.c. e 16 comma 1-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Ai sensi della Circolare 29 settembre 2003, n. 1/12244/15/44 del Min. Giustizia, Dir. Gen. Giust. Civ., Uff., in relazione alla dichiarazione di valore della causa resa successivamente al deposito dell'atto introduttivo del giudizio, deve ritenersi che, seppure l'art. 14 del testo unico faccia espresso riferimento alla «dichiarazione resa nelle conclusioni dell'atto introduttivo», possa considerarsi valida la dichiarazione di valore del procedimento resa al di fuori dell'atto introduttivo, purché la medesima sia antecedente all'iscrizione a ruolo della causa e sia sottoscritta dal difensore. Ciò, in considerazione del fatto che, come si evince anche dalla relazione all'art. 13 del testo unico – che determina gli importi del contributo unificato – la ratio della norma è quella di determinare «la misura del contributo unificato in relazione al valore dei processi»; conseguentemente, sembra evidente che l'effetto sanzionatorio della presunzione di valore di cui all'art. 13, sesto comma, del testo unico si riferisca soltanto alle ipotesi in cui non venga presentata, sia pure successivamente all'atto introduttivo, alcuna dichiarazione sul valore della causa. Diversamente, la precisazione sul valore della causa formulata successivamente all'atto introduttivo, purché sottoscritta dal difensore e presentata al momento dell'iscrizione a ruolo, deve considerarsi come una formale integrazione dell'atto introduttivo del giudizio e, come tale, validamente preordinata ad individuare lo scaglione di valore del processo al fine di determinare l'importo del contributo unificato da versare. La predetta dichiarazione deve, ovviamente, essere inserita nel fascicolo d'ufficio (art. 168 c.p.c.).

Ai sensi della Circolare 29 settembre 2003, n. 1/12244/15/44 del Min. Giustizia, Dir. Gen. Giust. Civ., Uff., in relazione alla dichiarazione di valore della causa, il processo «si presume» di valore superiore ad euro 516.457,00 e, dunque, soggetto al pagamento del contributo unificato nella misura massima, pari ad euro 930,00 (ora 1.686 Euro) art. 13, sesto comma, del testo unico (vedasi anche circolare 13 maggio 2002 n 1465/02/4).

d. Soggetti tenuti al pagamento

Ai sensi dell'art. 14 t.u. spese di giustizia, «La parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione o la vendita dei beni pignorati, è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato» (…omissis…). ll valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, senza tener conto degli interessi, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito. La parte di cui al comma 1, quando modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l'aumento del valore della causa, è tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta».

In presenza di domanda riconvenzionale, prima della richiamata riforma operata dalla legge n. 183/2011, l'importo del contributo unificato doveva essere integrato solo nella ipotesi in cui il valore della domanda riconvenzionale aumentasse il valore della domanda originaria e il contributo veniva individuato nello scaglione corrispondente alla differenza di valore.

Con la nuova formulazione del terzo comma dell'articolo 14 d.P.R. n. 115/02 l'importo del contributo unificato dipende dalla circostanza se la parte sia o meno quella che ha introdotto la domanda o se sia interveniente:

  • se la parte che propone domanda riconvenzionale è quella che «per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo», il contributo unificato dovrà essere integrato, nella differenza del valore, solo se si aumenta il valore della domanda originaria;
  • se la domanda riconvenzionale viene presentata “dalle altre parti”, l'obbligo di un nuovo ed autonomo contributo unificato scatta a prescindere se venga o meno modificato il valore della domanda principale: con la nuova dizione del terzo comma dell'art. 14 del testo unico sulle spese di giustizia, il legislatore ha previsto l'introduzione di un autonomo contributo unificato a carico della parte, diversa da quella che si è costituita per prima, la quale modifica la domanda proposta da controparte, oppure propone domanda riconvenzionale, o formula chiamata in causa o svolge intervento autonomo. Il versamento di tale importo prescinde dal mutamento di valore e si incardina esclusivamente sull'esistenza di un ampliamento della domanda rispetto a quella originaria o, piuttosto, sulla necessità di estendere il numero dei contraddittori (Circolare Ministero della Giustizia DAG 14/05/2012.0065934.U).

In evidenza

Ai sensi della Nota D.A.G. del 23 febbraio 2018:

a) Contributo unificato - Dimezzamento dell'importo -Estensione alle parti che propongano domanda in riconvenzione o chiamata in causa del terzo

Nel caso in cui la domanda riconvenzionale, la chiamata in causa del terzo o l'intervento autonomo siano proposti in un procedimento che beneficia del dimezzamento del contributo unificato, deve ritenersi che tale beneficio debba essere riconosciuto anche in favore della parte che propone tali domande.”

b) Contributo unificato - Giudizi di separazione o divorzio - Domanda in riconvenzione

Per quanto concerne la domanda riconvenzionale proposta nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio - per i quali il Testo unico sulle spese di giustizia prevede il pagamento di un contributo unificato in termine fisso, art. 13, comma 1, lettera a) e lettera b), - può affermarsi che, alla luce della formulazione letterale dell'articolo 14, comma 3, seconda parte, del d.P.R. n. 115 del 2002, se la parte quantifica il valore della domanda proposta, si applicherà il contributo unificato previsto dall'articolo 13, comma 1, del medesimo testo unico, per quel determinato scaglione di valore.

Il Ministero della Giustizia, con circolare DAG 05/02/2015.002000600.U, ha stabilito che non è dovuto alcun contributo unificato nei casi di intervento volontario di cui al secondo comma art. 105 c.p.c. (intervento adesivo dipendente)

In caso di intervento su istanza di parte ex art. 106 c.p.c., il nuovo contributo o l'integrazione è dovuto dalla parte che chiede l'intervento ex art. 14 d.P.R. n. 115/02.

Ove, invece, l'intervento venga disposto su ordine del giudice ex art. 107 c.p.c. nessun ulteriore pagamento è dovuto per il semplice motivo che l'articolo 14 d.P.R. n. 115/02 nella sua nuova formulazione non ne contempla il pagamento nel caso specifico.

e) Il contributo unificato nelle impugnazioni

Con l'art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012 il legislatore ha introdotto una novità all'interno dell'art. 13 del d.P.R. n. 115/2002, il quale, come noto, contiene l'indicazione degli importi dovuti a titolo di contributo unificato.

Attraverso l'introduzione del comma 1-quater dell'art. 13, il legislatore ha disposto che «Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso».

Come evidenziato a più riprese dalla giurisprudenza (ex multis, Corte cost., 30 maggio 2016, n. 120; Cass. civ., sez. VI, ord., 2 luglio 2015, n. 13636 e Cass. civ., sez. VI, 15 settembre 2014, n. 19464) e dal Ministero della Giustizia (Circolare del Ministero della Giustizia del 6 luglio 2015), il raddoppio del contributo unificato ha la finalità di "scoraggiare le impugnazioni dilatorie e pretestuose".

In dottrina (A. Marcheselli, Contributo unificato «diseguale» e giurisdizione tributaria «asimmetrica», in Corr. trib., 2016, 2770) si è rilevato che la norma appare «fondata su una confusa percezione di due fattispecie diverse, quella della soccombenza e quella dell'abuso del processo e probabilmente indotta dalla maggiore facilità di applicazione se ancorata alla soccombenza (per valutare la soccombenza basta leggere il dispositivo, per accertare un abuso occorre valutare la complessiva condotta delle parti): ma la semplicità è anticamera di un grave errore. Appare evidente che l'abuso del processo non equivale né coincide con la soccombenza totale: si può soccombere interamente ma aver usato diligentemente il processo e si può soccombere parzialmente ed averne usato a mani basse».

Secondo la giurisprudenza costituzionale, il contributo unificato "ordinario" (e cioè quello di cui all'art. 13, comma 6-quater del d.P.R. n. 115/2002) ha natura di tributo, in quanto la prestazione è doverosa ed è collegata ad una spesa pubblica.

Da tale circostanza, la giurisprudenza - sia costituzionale (Corte cost., n. 120/2016) che di cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9938) - fa automaticamente discendere la asserita natura di tributo del contributo "raddoppiato", di cui al comma 1-quater del medesimo art. 13. In particolare, secondo la Suprema Corte «il raddoppio del contributo si muove nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione» (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5955).

Il comma 1-quater dell'art. 13 del d.P.R. n. 115/2002 è applicabile a partire dal 31 gennaio 2013.

Pertanto, il raddoppio può essere disposto solo nei confronti di impugnazioni proposte da tale data in avanti. Quanto all'individuazione del momento preciso a partire dal quale l'impugnazione può dirsi proposta, si segnala che - ai fini che ci occupano - per le Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3774) si deve fare riferimento alle regole sulla litispendenza e, pertanto, il dies a quo va valutato con riferimento alla data della notifica del ricorso, intesa come ricevimento dell'atto da parte del destinatario. Conseguentemente, non rileva né la data di presentazione dell'atto alla notifica né la data di deposito e quindi di iscrizione a ruolo dell'impugnazione.

Il raddoppio presuppone una soccombenza integrale in rito o nel merito, in un giudizio di impugnazione.

La norma in commento è pacificamente applicabile alle soccombenze incidentali, dato che il testo di legge precisa che il raddoppio opera anche «Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta»; in tale ipotesi, l'importo da corrispondere a titolo di contributo ex comma 1-quater non può che essere calcolato sul valore della sola impugnazione incidentale, non di quella principale.

Il raddoppio non si applica, invece, alle soccombenze parziali: invero, il comma 1-quater è inequivocabile nel richiedere che l'impugnazione principale o incidentale sia stata «respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile»; pertanto è richiesta una soccombenza totale, non meramente parziale.

Nel caso in cui la stessa parte risulti integralmente soccombente sia in appello che in cassazione può intervenire un "doppio raddoppio" del contributo?

Viste la ratio e le caratteristiche della misura, così come delineate dalla giurisprudenza maggioritaria, pare si debba rispondere al quesito in senso affermativo: la parte soccombente in appello subisce una prima volta il raddoppio, ma se poi, malauguratamente, risulta integralmente soccombente anche in Cassazione, subirà una seconda volta il raddoppio del contributo.

In altri termini, il contribuente che impugna sino in Cassazione rischia, in ipotesi di doppia sentenza sfavorevole negli ultimi due gradi di giudizio, non solo il "raddoppio", bensì la "quadruplicazione" del contributo. Invero, il contributo "standard" viene versato in sede di iscrizione in primo grado, il contributo raddoppiato viene applicato nella sentenza sfavorevole di appello, ed un'ulteriore duplicazione di contributo viene applicata nella sentenza sfavorevole di cassazione.

Resta poi da chiarire se possa sorgere un diritto al rimborso nel caso in cui la parte che ha subito il raddoppio in appello (in quanto integralmente soccombente in tale grado di giudizio) risulti poi vittoriosa in cassazione.

La riforma del 2012 ha completamente omesso - guarda caso - di trattare la questione del rimborso del "doppio contributo". Tuttavia, se la ratio della misura è quella di sanzionare l'abuso dello strumento dell'impugnazione, è evidente che la vittoria in Cassazione, anche solo parziale, fa sorgere il diritto alla ripetizione del raddoppio versato nel precedente grado di giudizio, in quanto l'impugnazione si è dimostrata fondata e non meramente strumentale. Si ritiene, quindi, che in tali ipotesi il rimborso possa essere chiesto con le modalità indicate nelle Circolari del Ministero dell'Economia e delle Finanze prot. nn. 135371 del 26 ottobre 2007 e 15051 del 21 settembre 2011.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, conforme alle indicazioni del Ministero della Giustizia (Circolare Ministero della Giustizia, Dipartimento Affari di Giustizia, del 6.07.2015), il raddoppio opera solo nei confronti delle parti private e, pertanto, non può operare qualora la parte soccombente sia la Pubblica Amministrazione.

Secondo tale tesi giurisprudenziale, il raddoppio «non può aver luogo nei confronti di quelle parti processuali (...) come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito» (Cass. civ., n. 5955/2014 cit.).

Tale orientamento trova fondamento nelle Sezioni Unite n. 9938/2014, le quali, in una controversia avente ad oggetto un conflitto di giurisdizione tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, pronunciandosi in tema di prenotazione a debito del contributo unificato, hanno affermato che «è principio generale dell'assetto tributario che lo Stato e le altre amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte o tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di sé stesso con la conseguenza che l'obbligo non sorge».

Conseguentemente, per la Cassazione, l'assetto tributario generale dello Stato ed il sistema della prenotazione a debito del contributo unificato, quale meccanismo contabile consistente nella mera «annotazione a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell'eventuale successivo recupero», ostano all'applicazione del comma 1-quater all'Amministrazione soccombente (Cass. civ., sez. trib., 18 novembre 2015, n. 23574).

L'interpretazione suesposta, fondata sulla natura di esenzione dell'esclusione dell'Amministrazione dall'applicazione del contributo unificato, è stata oggetto di aspre critiche.

A tal proposito, è stato correttamente osservato che l'applicazione del raddoppio alla Pubblica Amministrazione soccombente - oltre che rispondere a logiche di equità e parità delle armi - consentirebbe una agevole valutazione dell'operato dei funzionari pubblici, fungendo da strumento di misurazione "elle performance del personale dirigente/direttivo preposto alla gestione del contenzioso.

Se lo Stato vuole evitare ogni abuso degli strumenti di impugnazione, non può certo prescindere dalla ricerca di tali abusi in capo all'Amministrazione finanziaria: «anche le parti pubbliche consumano le risorse [n.d.A.: della giustizia] e di tale consumo ci deve essere traccia e correlata eventuale responsabilità (...) Solo attribuendo il costo del servizio giustizia in capo all'ente pubblico sarebbe possibile, in ossequio al principio di buon andamento della PA, comprendere e controllare se tale ente svolge bene la propria attività ed utilizza il servizio giustizia in maniera efficiente» (Marcheselli, Contributo unificato «diseguale» e giurisdizione tributaria «asimmetrica, cit., 2772).

Anche se il comma 1-quater contiene una formulazione apparentemente omnicomprensiva, perché riferita a tutte le ipotesi di soccombenza nell'ambito dei giudizi di impugnazione, la giurisprudenza ha enucleato una serie di ipotesi di esclusione dal campo di applicazione della norma qui in esame.

In particolare, sono escluse dall'ambito del raddoppio le sentenze che:

a) sono relative a impugnazioni proposte da soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato (Cass. civ., sez. lav., 2 settembre 2014, n. 18523);

b) intervengono in relazione ad impugnazioni in materie esenti da contributo unificato (Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26280);

c) rilevano l'inammissibilità del ricorso per cassazione per sopravvenuto difetto di interesse (Cass. civ., sez. VI, 2 luglio 2015, n. 13636 e Cass. civ., sez. VI, 15 settembre 2014, n. 19464);

d) danno atto dell'estinzione del processo ex art. 306 c.p.c. a seguito di una rinuncia agli atti del giudizio, anche non accettata dalla controparte non costituita (Cass. civ., sez. VI-1, ord. 12 novembre 2015, n. 23175);

e) rilevano la cessata materia del contendere a seguito di una rinuncia agli atti accettata dalla controparte costituita (Cass. civ., sez. VI-5, ord. 2 settembre 2016, n. 17557);

f) dichiarano l'estinzione dell'appello a seguito della sua cancellazione dal ruolo ex artt. 181, 309, 359 c.p.c. (Corte cost., 30 maggio 2016, n. 120);

g) sono emesse dalla Cassazione nell'ambito dei conflitti di giurisdizione (Cass. civ., Sez. Un., ord. 21 aprile 2016, n. 8060).

La legge si limita a precisare che «Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti» per il raddoppio, senza però indicare la natura discrezionale o obbligatoria di tale dichiarazione.

La Cassazione si è soffermata sulla questione nella già citata sentenza n. 5955/2014, affermando che la dichiarazione sul raddoppio rappresenta «un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa (...): atteggiandosi come un'automatica conseguenza sfavorevole dell'azionamento del diritto ad impugnare (...) tutte le volte che l'impegno di risorse processuali (...) non abbia avuto esito positivo per l'impugnante (...)». Pertanto, «l'obbligo del pagamento del contributo aggiuntivo sorge ipso iure, per il solo fatto del formale rilevamento della sussistenza dei suoi presupposti».

Secondo la Cassazione, quindi, la dichiarazione sulla sussistenza dei presupposti per il raddoppio è un atto dovuto e automatico, in relazione al quale il giudice non gode di alcuna discrezionalità, posto che il Legislatore ha ideato il raddoppio come una "conseguenza meccanica" della soccombenza.

Nella summenzionata sentenza n. 5955/2014 la Cassazione afferma che «il giudice dell'impugnazione è vincolato (...) a dare atto - senza ulteriori valutazioni decisionali trattandosi di fatti insuscettibili di diversa estimazione - della sussistenza dei presupposti (...) per il versamento (...)». Ciò, in quanto «non può e non deve il giudice che definisce l'impugnazione operare valutazioni o declaratorie di sorta, visto che la sussistenza o meno di quei presupposti è un fatto insuscettibile di diversa estimazione e che il rilevamento di quelli non è legato in alcun modo alla condanna alle spese, ma è reso oggetto di una mera presa d'atto; ed il capo del provvedimento con una tale presa d'atto costituisce solo il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di pagamento in capo al soccombente».

Il comma 1-quater precisa che «l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito» della sentenza integralmente sfavorevole.

Pertanto, si deve ritenere che, a partire da tale momento, la parte soccombente possa provvedere al versamento spontaneo dell'importo, ancor prima di ricevere l'invito al pagamento.

Come precisato dal Ministero della Giustizia (Circolare del Ministero della Giustizia del 6 luglio 2016), infatti, la riscossione del contributo di cui all'art. 13, comma 1-quater avviene secondo il procedimento previsto per l'omesso o insufficiente versamento del contributo unificato "ordinario".

Pertanto, la cancelleria presso la quale il provvedimento giudiziale è depositato emette un invito al pagamento del contributo raddoppiato, ai sensi dell'art. 248 del d.P.R. n. 115/2002.

La parte soccombente può adempiere entro 30 giorni dal ricevimento dell'avviso bonario, senza applicazione di interessi e sanzioni.

Se la parte non adempie entro tale termine, viene emesso un atto di irrogazione della sanzione ex art. 16, comma 1-bis del d.P.R. n. 115/2002 (il quale rinvia all'art. 7q del d.P.R. n. 131/1986)), in una misura che va dal 100 al 200 per cento di quanto non versato. Entro 30 giorni dal ricevimento dell'atto di irrogazione la parte soccombente può adempiere, depositando l'attestazione di pagamento entro i successivi 10 giorni. In ipotesi di ulteriore inadempimento, le somme dovute (contributo, sanzione e interessi legali dalla data di deposito della sentenza) sono iscritte a ruolo, ai fini del recupero coattivo degli importi.

Il suesposto procedimento previsto per la riscossione del contributo ordinario si trova analiticamente regolamentato nella Convenzione del 23 settembre 2010, stipulata tra il Ministero della Giustizia ed Equitalia Giustizia s.p.a.

Secondo la giurisprudenza di merito maggioritaria, l'invito al pagamento di cui all'art. 248 del d.P.R. n. 115/2002 «risulta autonomamente impugnabile poiché reca una pretesa, certa e definita, suscettibile di produrre una lesione diretta e immediata della posizione soggettiva della ricorrente, che è costretta al pagamento spontaneo o all'assoggettamento alla riscossione a mezzo ruolo» (Comm. trib. reg. Napoli, sez. XXXIX, 26 novembre 2015, n. 10618; nello stesso senso: Comm. trib. reg. Perugia, sez. II, 17 novembre 2015, n. 590; Comm. trib. prov. Milano, sez. XXV, 30 settembre 2015, n. 7679; Comm. trib. prov. Prato, sez. III, 16 maggio 2015, n. 136; Comm. trib. prov. La Spezia, sez. III, 25 ottobre 2013; Comm. trib. prov. Massa Carrara, 12 giugno 2012, n. 239).

Pertanto, pare prevalere la tesi secondo cui l'avviso bonario è direttamente impugnabile avanti al giudice tributario, anche se non rientrante nell'elencazione di cui all'art. 19 del d. lgs. n. 546/1992.

Va ricordato, però, che non esistono precedenti di legittimità sul punto e che l'Amministrazione finanziaria si è espressa per la non autonoma impugnabilità dei provvedimenti qui in esame (Istruzioni allegate alla Circolare del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 1/DF del 2011).

In via prudenziale, quindi, si potrà scegliere di attendere l'atto di irrogazione delle sanzioni e la conseguente cartella di pagamento, per poi procedere all'impugnazione di questi ultimi.

Si dovrebbe, infatti, poter confidare sulla tesi giurisprudenziale della impugnabilità "facoltativa" degli atti non indicati nell'elenco: la mancata impugnazione dell'invito al pagamento, quand'anche ritenuto autonomamente impugnabile, non precluderebbe l'impugnabilità degli atti successivi.

Il contributo unificato nel processo penale

Dalla lettura dell'art. 9 del d.P.R. n. 115/2002 il contributo unificato di iscrizione della causa a ruolo è dovuto nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario.

È chiaro, quindi, che la fonte normativa del contributo unificato nel processo penale non è rinvenibile nel sopra richiamato art. 9 ma dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 12 del d.P.R. n. 115/2002.
Ai sensi del richiamato art. 11, il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte obbligata al risarcimento del danno.

Per l'art. 12 (Azione civile nel processo penale) l'esercizio dell'azione civile nel processo penale non è soggetto al pagamento del contributo unificato, se è chiesta solo la condanna generica del responsabile.

Se è chiesta, anche in via provvisionale, la condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno, il contributo è dovuto, in caso di accoglimento della domanda, in base al valore dell'importo liquidato e secondo gli scaglioni di valore di cui all'art. 13.

Dalla relazione illustrativa del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia nel commento ai richiamati articoli «...il contributo è dovuto, ma la concreta riscossione si avrà solo se si verificano i presupposti (condanna alle spese della parte diversa da quella ammessa e dall'amministrazione) e a tal fine la voce è prenotata a debito... l'importo del contributo si calcola in base al valore dell'importo liquidato».

Nel processo penale il contributo unificato è, quindi, strettamente correlato all'esercizio dell'azione civile e nulla ha a che vedere con il pagamento delle spese processuali proprie della giurisdizione penale.

Per il processo penale, infatti, le spese anticipate dallo Stato ai sensi dell'art. 5 TUSG sono invece espressamente previste dall'art. 205 del d.P.R. n. 115/2002 [spese quest'ultime quantificate, da ultimo, dal decreto ministeriale n. 214/2014 pubblicato G.U. n. 198/2014].


Come precisa la direttiva ministeriale del 26 febbraio 2002 [cfr. Circolare Ministero Giustizia del 26 febbraio 2002 n. 1] «…la costituzione di parte civile (per la quale non possono comunque applicarsi le imposte di bollo, né le altre voci escluse in via generale dal primo comma del medesimo articolo) non è soggetta al pagamento del contributo unificato nel caso in cui sia richiesta solo la pronuncia di condanna generica del responsabile.
Laddove, invece, la parte civile chieda anche la condanna del responsabile al pagamento di una somma, il contributo sarà dovuto – nel solo caso di accoglimento della domanda – in base al valore dell'importo del risarcimento liquidato dal giudice nella sentenza di condanna. Pertanto il contributo unificato dovrà essere versato solo dopo il deposito della sentenza».

Concetto ribadito con direttiva ministeriale del 13 maggio 2002 [cfr. Circolare Ministero Giustizia del 13/5/2002 n.3] ai sensi della quale «…la norma prevede che il contributo non sia dovuto nell'ipotesi in cui sia richiesta solo la pronuncia di condanna generica del responsabile. Nel caso in cui la parte civile, oltre all'affermazione della responsabilità civile chieda anche la condanna al pagamento di una somma di denaro, il contributo è dovuto, in caso di accoglimento della domanda, in base all'importo del valore liquidato in sentenza ed è prenotato a debito per essere recuperato nei confronti della parte obbligata al risarcimento del danno».

Con la circolare ministeriale del 19 novembre 2008 [cfr. circolare Ministero Giustizia DAG.19/11/2008.0152465.U] «si evidenziano le peculiarità della normativa relativa alla determinazione dell'importo dovuto a titolo di contributo unificato e alla riscossione di tale credito nel processo penale, in base alla specifica disposizione prevista dal combinato disposto di cui agli articoli 11 e 12 del Testo unico delle spese di giustizia. Tali disposizioni infatti prevedono, all'art. 11 del citato testo unico delle spese di giustizia, il diritto della parte civile, la quale dovrebbe essere tenuta all'anticipazione della spesa, a non effettuare alcun pagamento in quanto l'importo è prenotato a debito»; «tale prenotazione ha lo scopo di “annotazione a futura memoria” come disciplinato dall'art. 3 del citato Testo unico lett. s), finalizzata al successivo recupero nei confronti della parte condannata al risarcimento del danno»; «l'art. 12 del medesimo testo unico prevede inoltre che la quantificazione dell'importo dovuto a titolo di contributo unificato, avvenga non in ragione della domanda, come nel processo civile, ma in base a quanto disposto in sentenza»;
«…dalla architettura normativa sopra delineata consegue che la quantificazione della spesa è determinata , in via amministrativa, dall'ufficio giudiziario e non dalla parte come avviene nel processo civile».

Orbene, da quanto sopra, appare chiaro che per la determinazione e, successivo, pagamento del contributo unificato nel processo penale (cfr. art. 11 e 12 del d.P.R. n. 115/2002) non valgono le regole del processo civile:
1) non è dovuto nessun contributo unificato in caso di condanna generica;

2) non paga chi avanza la richiesta risarcitoria ma chi è condannato al risarcimento;

3) non si paga al momento della domanda ma alla definizione del giudizio;

4) il contributo unificato viene, previa quantificazione dell'importo da parte della cancelleria, prenotato a debito e recuperato nei confronti dell'imputato non ammesso al patrocinio a spese dello Stato [cfr. art. 110 comma 3 TUSG].

Ai sensi della direttiva ministeriale del 3 marzo 2010 [cfr. Circolare Ministero Giustizia DAG.03/03/2010.0032236.U]: «in risposta alla nota del 22 luglio 2009 con la quale sono stati formulati alcuni quesiti relativi alla riforma del Testo unico delle spese di giustizia, introdotta dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, si rappresenta quanto segue. La legge in parola non ha modificato i criteri di quantificazione degli importi dovuti per il contributo unificato. In tema di contributo unificato sono infatti rimasti immutati gli artt. 11 e 12 del Testo Unico delle spese di giustizia».

La richiamata direttiva ministeriale del 3 marzo 2010, nel precisare che la riforma operata all'articolo 205 del d.P.R. n. 115/2002 dall'art. 67 legge n. 69/2009, «non ha modificato i criteri di quantificazione degli importi dovuti per il contributo unificato» ha evidenziato come la modifica normativa abbia invece eliminato il vincolo di solidarietà per il pagamento delle spese per quota: «il recupero di tali spese dovrà essere effettuato nei confronti delle parti condannate al risarcimento del danno, non più con vincolo di solidarietà, bensì, ai sensi dell'articolo 205 del citalo Testo Unico, da ciascun condannato al risarcimento del danno alla parte civile, per quota, in parti uguali, come precisato da questa Direzione Generale nelle istruzioni diramate con nota del 14 luglio 2009 protocollo n. 92331».

Il pagamento in quota pone altro problema riguardo alla ripartizione tra gli imputati delle quote di pagamento.

Ai sensi del punto 2-quinquies dell'art. 205 del d.P.R. n. 115/2002 «Il contributo unificato e l'imposta di registro prenotati a debito per l'azione civile nel processo penale sono recuperati nei confronti di ciascun condannato al risarcimento del danno in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta, senza vincolo di solidarietà».

In attesa di determinazioni ministeriali la soluzione potrebbe venire dalla giurisprudenza di merito stabilendosi, nei provvedimenti di condanna, in base al quantum dovuto da ciascun imputato quote percentualmente diverse.

La maggiore criticità, nell'analisi dell'istituto in oggetto e relativamente ai procedimenti penali in cui opera, attiene alla determinazione del pagamento del quantum dovuto in relazione alle situazioni che possono verificarsi nel giudizio sia in rapporto al numero delle persone (eventualmente) tenute al pagamento, sia in relazione al numero dei soggetti (parti civili) nei confronti dei quali si determina, a favore dello Stato, il pagamento stesso.

In caso di pluralità di imputati nei confronti di una sola parte civile, in base alla circolare ministeriale del 3 marzo 2010, DAG.03/03/2010.0032236.U, l'obbligo del pagamento del contributo unificato avverrà per quota
In caso di condanna al risarcimento danni di più imputati a favore di più parti civili, la quantificazione avverrà autonomamente per ogni singola posizione processuale.

Ove, invece, il singolo imputato sia stato condannato al risarcimento del danno nei confronti di più parti civili ai fini della determinazione del quantum da riscuotere, si dovrà procedere alla somma degli importi delle singole condanne [cfr. in materia analoga nel processo di lavoro vedi nota n. 17072 del 30 gennaio 2015].

Nell'ipotesi in cui la sentenza sia appellata, l'Ufficio giudiziario di primo grado non procede a nessun recupero limitandosi ad annotare il contributo unificato nel foglio notizie che invierà al grado di appello, infatti le spese processuali a favore dello Stato si recuperano, ai sensi dell'articolo 227-ter del d.P.R. n. 115/2002, «entro un mese dalla data di passaggio in giudicato della sentenza».


Ulteriori, rispetto al primo grado, criticità attengono al pagamento, o meno, del contributo unificato nel caso di appello.

L'istituto in questione è dovuto, e quindi va prenotato a debito dalla cancelleria competente, in grado di appello in ogni caso, visto che il giudizio d'appello incide sulle statuizioni civili, o solo nelle ipotesi in cui:
a) il giudice di appello è investito “limitatamente” alle statuizioni civili ai sensi degli articoli del codice di procedura penale: 573 (impugnazione per i soli interessi civili), 574 (impugnazione dell'imputato per gli interessi civili), 575 (impugnazione del responsabile civile o della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria), 576 (impugnazione della parte civile e del querelante);

b) decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione ai sensi dell'art. 578 c.p.p.?

E, ancora, è dovuto il contributo unificato, anche in questo caso per prenotazione a debito, nei casi in cui, ai sensi dell'art. 572 c.p.p., il Pubblico Ministero propone impugnazione su richiesta della parte civile o della persona offesa non costituita in giudizio?

E, considerato che, ai sensi dell'art. 12 del d.P.R. n. 115/2002, nel processo penale il contributo unificato è determinato, sulla base del provvedimento finale del giudice, il contributo unificato andrà riscosso nella misura quantificata dal grado di appello, in unica soluzione, o il contributo unificato andrà riscosso per ogni grado?

E, non da ultimo, se il giudice del gravame conferma le statuizioni civili andrà riscosso altro, e analogo nell'importo, contributo unificato?

Alla definizione del grado di appello due le possibili soluzioni, che si prospettano all'ufficio che di fatto, e ai sensi dell'articolo 208 del d.P.R. n. 115/2002, dovrà attestare se esiste «titolo per il recupero»:
a) ogni qual volta, anche se indirettamente, la decisione del grado di appello «stabilisce sugli effetti civili» il contributo unificato si percepisce sia per il primo che per il secondo grado ( in tutte le ipotesi considerate) oltre contributo unificato dovuto, per l'eventuale, ricorso in Cassazione;

b) 1) in caso di conferma delle statuizioni di primo grado in materia di azione civile si recupera il solo contributo unificato annotato nel foglio notizie di primo grado; 2) in caso di riforma del dispositivo in relazione all'azione civile non si tiene più conto del contributo unificato annotato nel foglio notizie di primo grado ma si ridetermina il contributo unificato in relazione alle disposizioni della sentenza definitiva.
Al momento, in assenza di specifiche disposizioni ministeriali e nella genericità della normativa in materia, si propende per la soluzione a) in considerazione del principio ai sensi del quale «Il contributo unificato è finalizzato a soddisfare le spese complessive del procedimento» (cfr. Circolare Ministero Giustizia prot. 1/6026/U/44 del 20 maggio 2005).

L'art. 107 del d.P.R. n. 115/2002 tra gli effetti dell'ammissione al patrocinio da parte dell'imputato non prevede il contributo unificato prenotato a debito in caso di costituzione di parte civile, ne fa riferimenti diretti al successivo art. 108.

Se l'imputato condannato al risarcimento danni era ammesso al patrocinio a spese dello Stato è tenuto al pagamento del contributo unificato, e in generale, delle spese anticipate e/o prenotate a debito, ex art. 108 del d.P.R. n. 115/2002, per la costituzione di parte civile?

La risposta non può che essere negativa.

Nel patrocinio a spese dello Stato uno dei principi basilare è che nessuna azione di recupero «può essere esperita nei confronti della parte ammessa al patrocinio soccombente» [circolare ministeriale giustizia DAG.08/02/2011.0016318.U].
Presupposto, unico, per il recupero delle spese anticipate e/o prenotate a debito della parte ammessa al patrocinio sia nel processo civile che in quello penale è, quindi, ai sensi delle specifiche previsioni normative d.P.R. n. 115/2002, la revoca del patrocinio stesso.

In evidenza

Art. 12 T.U. spese di giustizia

1. L'esercizio dell'azione civile nel processo penale non è soggetto al pagamento del contributo unificato, se è chiesta solo la condanna generica del responsabile.

2. Se è chiesta, anche in via provvisionale, la condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno, il contributo è dovuto, in caso di accoglimento della domanda, in base al valore dell'importo liquidato e secondo gli scaglioni di valore di cui all'articolo 13.

Il contributo unificato nel processo del lavoro

Il d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha previsto l'inserimento di un comma 1-bis dopo il comma 1 dell'art. 9 del d.P.R. n. 115/2002.

Questo comma prevede che «nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego le parti ... sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all'articolo 13, comma 1, lettera a) e comma 3, salvo che per i processi dinanzi alla Corte di Cassazione in cui il contributo è dovuto nella misura di cui all'articolo 13, comma 1».

Come noto, l'art. 13 del T.U. disciplina la misura del contributo unificato nel processo civile, stabilendo al comma 1, in sette lettere, la misura per ciascuno scaglione di valore della causa, con la lett. a) riferita allo scaglione di valore più basso, quello fino a € 1.100,00; la novella estende l'applicazione del contributo unificato nel valore previsto per tale scaglione (€ 37,00) ai «processi per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie»; incide inoltre sul comma 3 dell'art. 13 (che, come noto, prevede il dimezzamento dei valori ordinari del contributo unificato a scaglioni, per i procedimenti speciali compresa l'opposizione a decreto ingiuntivo) aggiungendo, tra i procedimenti "a contributo dimezzato" «le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego».

Entrambe le previsioni (sia quella in misura fissa per le controversie previdenziali, sia quelle "a scaglioni" dimezzata per le controversie di lavoro) vedono un'area di esenzione soggettiva legata al reddito: all'obbligo sono infatti tenute «le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, superiore a tre volte l'importo previsto dall'articolo 76»; ne sono, perciò, sono esentati coloro che non superano tale limite.

Non vi possono essere dubbi sul fatto che la novella vada ricostruita come norma eccezionale.

Pertanto, deve:

  1. ritenersi pacificamente non modificata la previgente esenzione dalla tassa di registro, anche per gli atti stragiudiziali (e.g. verbali di conciliazione in sede protetta);
  2. persistente l'esenzione ("da ogni spesa, tassa o diritto") dai diritti di copia, esenzione alla quale, a vero dire, in questa prima fase applicativa non tutti gli uffici giudiziari paiono attenersi;
  3. inammissibile ogni altra ipotesi di estensione dell'obbligo di versamento del contributo unificato al di fuori di quelle sopra esaminate e tassativamente previste (si pensi alle procedure esecutive mobiliari e immobiliari e alle istanze di fallimento, laddove ovviamente riguardino crediti di lavoro).

La novella impone l'obbligo di versamento, testualmente, alle «parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, superiore a tre volte l'importo previsto dall'articolo 76», con ciò esentando le parti che non superino tale soglia.

Tra i primi interrogativi che ci si pone, vi è quello sulla portata del rinvio all'art. 76: una lettura riduttiva, come mero rinvio all'importo indicato di € 10.628,16 (poi, certo, da moltiplicare per tre) al solo fine di "automatizzare" gli adeguamenti periodici conduce all'esclusione delle altre caratteristiche del meccanismo di calcolo previste dall'intero articolo, quali, in primis, la considerazione (non del solo reddito personale ma) del reddito complessivo del nucleo familiare convivente, con il relativo richiamo della maggiorazione di € 1.032,91 per ciascun familiare.

Secondo questa lettura quindi, siamo di fronte ad una soglia di esenzione di € 31.884,48 di reddito individuale, insensibile quindi sia alla presenza di altri redditi di familiari conviventi, sia al correlativo innalzamento pro capite della soglia stessa.

Tuttavia, atteso il tenore letterale del comma 1-bis che rinvia all'importo risultante dall'applicazione dell'intero art. 76 e non contiene un riferimento al solo comma 1, potrebbe accedersi ad una interpretazione che vede il rinvio all'art. 76 come rinvio integrale all'intero meccanismo di calcolo.

Secondo questa impostazione, occorrerebbe, in buona sostanza, applicare al caso concreto l'intero calcolo dell'art. 76, ivi compreso il rinvio al "quoziente familiare" ex art. 92, e poi triplicare il risultato finale.

Per esemplificare, secondo la ricostruzione proposta, il lavoratore ricorrente che conviva con il coniuge lavoratore a part time e un figlio in età scolare privo di reddito, sarà esente se la somma del reddito proprio e del coniuge non supererà la soglia di € [10.628,16 + (1.032,91*2)]*3, e cioè di € 38.081,94.

Il richiamo all'art. 76 T.U. non si estende formalmente all'art. 79, comma 1, lett. c), che prevede la produzione (al fine dell'ammissione al gratuito patrocinio, e quale allegato alla relativa istanza) di «una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 46, comma 1, lettera o del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'articolo 76».

È quindi lasciato per ora alla prudenza delle singole cancellerie, in assenza di indicazioni ministeriali, per le quali è stato formulato quesito, il delicato tema della documentazione da produrre a suffragio nei casi di esenzione.

Il contributo unificato nel processo tributario

L'art. 37 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto anche nell'ambito del processo tributario, il contributo unificato sugli atti giudiziari, disciplinato dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sostituendo così l'imposta di bollo fino a quel momento dovuta.

In seguito all'introduzione del contributo, la tassazione degli atti del contenzioso tributario è radicalmente mutata.

Infatti, mentre prima, in linea generale, ciascun atto processuale doveva assolvere l'imposta di bollo, tramite applicazione di una marca bollo ogni quattro facciate, con l'introduzione del contributo unificato, da assolversi per scaglioni in base al valore della controversia, quest'ultimo va corrisposto una sola volta per ciascun grado di giudizio.

La riferita novella normativa, che si applica ai ricorsi notificati a decorrere dal 7 luglio 2011, con la conseguenza che, per quelli notificati in data antecedente continuano a operare le norme sull'imposta di bollo, ha reso la tassazione degli atti processuali generalmente più onerosa.

Per la corretta determinazione dell'ammontare del contributo unificato, occorre fare riferimento alla tabella contenuta nell'art. 13 del riferito decreto, secondo la quale, il suo importo varia in funzione del valore della causa, intendendosi come tale, in linea di principio, la maggiore imposta accertata con l'atto impugnato.

Tanto premesso, sembra opportuno precisare che l'art. 14, comma 3-bis, del d.P.R. n. 115/2002 - introdotto dal d.l. n. 98/2011 - sancisce che nel contenzioso tributario il valore della lite è determinato ai sensi dell'art. 12, comma 5 del d.lgs. n. 546/1992, che, a sua volta, dispone che «per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste».

Determinazione del contributo unificato

Valore della causa

Importo del contributo

sino a € 2.582,28

€ 30,00

da € 2.582,28 a € 5.000,00

€ 60,00

da € 5.000,00 a € 25.000,00

€ 120,00

da € 25.000,00 a € 75.000,00

€ 250,00

da € 75.000,00 a € 200.000,00

€ 500,00

superiore a € 200.000,00

€ 1.500,00

Per le controversie tributarie di valore indeterminabile il contributo unificato è pari a € 120,00.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con la circolare n. 1/DF del 21 settembre 2011, ha chiarito che per "valore della lite tributaria" si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e di eventuali sanzioni irrogate con l'atto impositivo.

In altri termini, ai fini della quantificazione del valore della lite, necessaria per calcolare l'ammontare del contributo unificato, non si deve tener conto delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato.

Solo nel caso di controversie relative esclusivamente all'irrogazione di sanzioni, il valore della lite - al quale come detto occorre fare riferimento per calcolare l'ammontare del contributo unificato - è costituito dalla somma di queste.

Quanto evidenziato ha trovato ulteriore conferma nella successiva Direttiva n. 2/DGT diffusa dal Ministero dell'Economia e delle Finanze il 14 dicembre 2012, nella quale è stato ribadito che «gli interessi e le sanzioni e gli altri oneri accessori presenti nella cartella di pagamento non debbano concorrere a determinare il valore della lite ai fini del calcolo del contributo unificato».

Fin da subito la dottrina più attenta ha messo in dubbio l'applicabilità al rito tributario della misura del raddoppio del contributo, in ragione della collocazione sistematica che il Legislatore ha dato alla norma che l'ha introdotto.

Una parte della giurisprudenza (Comm. trib. reg. Milano, sez. VI, 6 luglio 2016, n. 3947; Comm. trib. reg. Milano, sez. VI, 18 maggio 2016, n. 2967; Comm. trib. reg. Milano, sez. VI, 11 maggio 2016, n. 2770; Comm. trib. reg. Milano, sez. VI, 11 maggio 2016, n. 2761; Comm. trib. reg. Milano, sez. VI, 5 maggio 2016, n. 2613 e Comm. trib. reg. Milano, sez. VI, 16 marzo 2016, n. 1527) si è, però, pronunciata in senso diametralmente opposto a quanto appena illustrato, il raddoppio si applica al processo tributario in ragione della equiparazione del rito tributario a quello civile, operata dal Legislatore ai fini del contributo unificato (artt. 1, comma 6-quater, 9 e 261 del d.P.R. n. 115/2002).

Si deve certamente ritenere che il raddoppio sia inapplicabile alle sentenze di primo grado, in ragione della insussistenza, in tale grado di giudizio, di una "impugnazione" in senso processuale. Vero è che nel rito tributario anche il primo grado è lato sensu un giudizio impugnatorio, dato che viene contestata in sede giudiziale la legittimità di un atto impositivo emesso dall'Amministrazione finanziaria, tuttavia l'espressione "impugnazione" contenuta nel comma 1-quater è chiaramente circoscritta all'ambito processuale, e quindi ai gradi successivi al primo (... o addirittura al solo terzo grado di impugnazione tributaria, come si illustrerà a breve).

Maggiormente dubbia è l'applicabilità del raddoppio alle sentenze di secondo grado.

La Suprema Corte (Cass. civ., sez. VI-T, 27 luglio 2018, n. 20018) ha escluso l'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater al giudizio tributario di appello.

È stato, infatti, affermato che «si tratta di norma avente carattere di misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria, la cui operatività deve intendersi circoscritta al processo civile, secondo l'esegesi della norma indirettamente avallata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 18, depositata il 2 febbraio 2018, e condivisa da questa Corte. Ciò diversamente da quanto dovuto per la soccombenza nel presente giudizio di legittimità, stante la natura di ordinario processo civile, disciplinato dalle norme del codice di rito, del giudizio di cassazione avente ad oggetto l'impugnazione di pronuncia resa da Commissione tributaria regionale, come ribadito da Cass. civ., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053».

Tale tesi appare condivisibile alla luce del fatto che solo l'art. 261 d.P.R. n. 115/2002 effettua una generale equiparazione tra i riti, ma esclusivamente con riferimento al grado di cassazione, mentre manca una norma analoga con riferimento al grado di appello.

Pertanto, non appaiono peregrine le osservazioni effettuate da attenta giurisprudenza di merito (Comm. trib. reg. Milano, sez. VI, 21 giugno 2016, n. 3662), la quale ha escluso l'applicabilità del raddoppio al procedimento tributario di secondo grado, precisando che «in campo impositivo (che è diritto speciale) integrazione analogica ed interpretazione estensiva hanno severi limiti di applicazione; va pertanto rilevata la non applicabilità al giudizio tributario di impugnazione davanti le Commissioni tributarie regionali delle citate disposizioni, previste per il solo giudizio civile, in mancanza di una specifica disposizione, come quella di cui all'art. 261 d.P.R. n. 115/2002, che estende esplicitamente l'applicazione della normativa civile del T.U.S.G. nel processo tributario dinanzi la Corte di cassazione (...); essendo, invece, espressamente prevista l'estensione applicativa della normativa civile al solo giudizio di legittimità, se ne deve dedurre la non applicabilità al giudizio di merito davanti alle Commissioni tributarie regionali».