La chiamata in causa del terzo su istanza di parte nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

Giusi Ianni
27 Novembre 2019

Nel ricorso per cassazione viene eccepita la nullità della sentenza e del procedimento in quanto il tribunale aveva errato nel considerare litisconsorte necessario del giudizio il terzo, non essendo quest'ultimo mai divenuto parte del processo, in ragione della mancata autorizzazione della sua chiamata in causa.
Massima

L'opponente a decreto ingiuntivo che intenda chiamare in causa un terzo non può direttamente citarlo per la prima udienza ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato in quanto, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto; peraltro, il provvedimento con il quale il giudice autorizza o nega la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte, ove non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di appello né di ricorso per cassazione.

Il caso

A fronte di decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dalla C. srl, S.G. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di pace di Gragnano, chiedendo la declaratoria di improponibilità della domanda per l'esistenza di clausola compromissoria nel contratto d'appalto posto a base della domanda, ovvero, in via gradata, il rigetto nel merito della domanda della C. srl e, in ulteriore subordine, in caso di accoglimento della domanda della C. srl e previa autorizzazione alla chiamata in causa della di altra società, la condanna di quest'ultima al pagamento di tutte le somme pretese in giudizio dalla C srl.

Il Giudice di pace, con sentenza del 22 dicembre 2014, dopo aver affermato la propria competenza, accoglieva l'opposizione nel merito e revocava il decreto ingiuntivo, senza tuttavia nulla statuire sull'istanza di chiamata in causa di terzo.

La sentenza era appellata dalla C. S.r.l. dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, che, nell'accoglimento del gravame, dichiarava la nullità della sentenza del Giudice di pace e rimetteva gli atti al giudice di primo grado che, "inspiegabilmente", aveva omesso di pronunciare sulla istanza dell'opponente di chiamata in causa del terzo il quale, tuttavia, aveva assunto la veste di litisconsorte necessario solo in forza della richiesta di chiamata. La mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti del terzo induceva, quindi, il tribunale a dichiarare la nullità della sentenza di primo grado ed a rimettere la causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c.

La questione

Avverso la predetta decisione interponeva ricorso per cassazione SG, eccependo, per quanto qui rileva, la nullità della sentenza e del procedimento in quanto il tribunale aveva errato nel considerare litisconsorte necessario del giudizio il terzo, non essendo quest'ultimo mai divenuto parte del processo, in ragione della mancata autorizzazione della sua chiamata in causa.

Le soluzioni giuridiche

Il motivo era accolto dalla Suprema Corte, con annullamento della sentenza impugnata e rinvio della causa al tribunale di Torre Annunziata per un nuovo giudizio di appello.

Osserva, infatti, la Suprema Corte che l'opponente a decreto ingiuntivo che intenda chiamare in causa un terzo, anche ove il giudizio di opposizione si svolga davanti al Giudice di Pace, non può direttamente citarlo per la prima udienza, ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato. Ciò in quanto «nel procedimento per ingiunzione, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti. Ne consegue che, sebbene il disposto dell'art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con l'opposizione al decreto, in ogni caso l'opponente deve citare unicamente il soggetto istante per l'ingiunzione, e contemporaneamente chiedere al giudice l'autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritenga comune la causa sulla base dell'esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto».

Aggiungono, inoltre, i giudici di legittimità che, qualora non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario, l'autorizzazione del giudice alla chiamata in causa di un terzo su istanza di parte ex art. 106 c.p.c. è discrezionale, potendo il giudice rifiutarla sulla base di esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo, per come chiarito dalle stesse Sezioni Unite di Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. Un, 23 febbraio 2010, n. 4309). Il provvedimento del giudice che autorizzi, o rifiuti di autorizzare, la chiamata in causa di un terzo ex art. 269 c.p.c. non ha, quindi, natura decisoria e non può formare oggetto di appello o di ricorso per cassazione, essendo insuscettibile di passare in cosa giudicata.

Da ciò viene tratta la conclusione che, ove sia stata chiesta l'autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo e il giudice non abbia provveduto in merito, non può dirsi che il terzo, per effetto automatico della proposizione dell'istanza di autorizzazione alla chiamata - e prima ancora di essere citato o di aver depositato una comparsa di intervento - abbia assunto la qualità di parte nel processo, con conseguente inconfigurabilità di un litisconsorzio necessario processuale con i soggetti originari della lite dinanzi al giudice dell'appello.

Osservazioni

L'opponente, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, riveste la qualità sostanziale di convenuto, per cui, tendenzialmente, ha la facoltà di domandare la chiamata in causa di terzi a cui ritenga comune la causa o da cui pretenda di essere garantito (art. 106 c.p.c.). Ma in che modo deve procedere l'opponente che intenda chiamare in causa un terzo? La problematicità della vicenda nasce, evidentemente, dal fatto che l'opponente, benché convenuto in senso sostanziale, è comunque attore dal punto di vista formale e dà vita all'instaurazione del processo di opposizione mediante notifica al creditore di formale atto di citazione (o ricorso ove si tratti di causa per materia soggetta a rito lavoro o locatizio). Non sono mancate, pertanto, in seno alla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Torino, ord., 26 febbraio 2008 e 8 ottobre 2008; Trib. Catania, ord., 10 settembre 2004; Trib. Reggio Calabria, ord., 24 maggio 2004 e 24 ottobre 2003), soluzioni favorevoli a privilegiare la veste formale di attore dell'opponente, con conseguente onere per quest'ultimo, ove avesse voluto chiamare in causa un soggetto diverso dall'opposto, di farlo, a pena di decadenza, citandolo direttamente per la prima udienza insieme al convenuto-opposto, nel rispetto dei termini a comparire, salvo il caso in cui l'interesse dell'attore-opponente alla chiamata in causa fosse sorto a seguito delle difese svolte dal convenuto-opposto nella comparsa di risposta (ipotesi in cui la chiamata in causa avrebbe dovuto essere richiesta in prima udienza, ai sensi dell'art. 269, comma 3, c.p.c.). In forza di tale orientamento, dunque, l'opponente-attore formale avrebbe potuto chiamare un terzo in causa senza necessità di richiedere alcuna autorizzazione al giudice o di instare per il differimento della prima udienza.

La Suprema Corte, invece, occupandosi per la prima volta della questione con riferimento all'ipotesi del procedimento dinanzi al giudice di pace (Cass. civ., sez. II, sent., n. 13272/2004), ha affermato la necessità per l'opponente che intenda chiamare in causa un terzo di chiederne l'autorizzazione al giudice in citazione, non potendo egli né convenirlo in giudizio direttamente con la citazione (potendo l'opposizione essere diretta solo nei confronti di chi ha notificato il decreto ingiuntivo opposto) né chiedere il differimento della prima udienza, non ancora fissata.

Ulteriori precisazioni sono state fornite da alcune pronunce successive, in cui si è chiarito che l'opponente a decreto ingiuntivo che intenda chiamare in causa un terzoha l'onere di chiedere al giudice sin dall'atto di opposizione di essere a ciò autorizzato, determinandosi, altrimenti, una decadenza rilevabile d'ufficio ed insuscettibile di sanatoria per effetto della costituzione del terzo chiamato, ancorché questi non abbia, sul punto, sollevato eccezioni, in quanto il principio della non rilevabilità di ufficio della nullità di un atto per raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all'inosservanza di forme in senso stretto, e non di termini perentori, per i quali vigono apposite e distinte norme (Cass. civ., sez. I, sent., n. 22113/2015; Cass. civ., sez. II, sent., n. 10610/2014). Ciò in quanto, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto, per cui ove l'opponente intenda chiamare in causa un terzo la disciplina di riferimento dovrà essere quella di cui all'art. 269, comma 2, c.p.c., fermi i necessari adattamenti dovuti alla particolare struttura del giudizio di opposizione (con la conseguenza che, pur dovendosi articolare l'istanza nell'atto di opposizione, non dovrà chiedersi il differimento dell'udienza di prima comparizione, non ancora fissata al momento della notifica della citazione), mentre in caso di istanza di chiamata in causa del terzo da parte dell'opposto, attore in senso sostanziale, dovrà trovare applicazione il terzo comma della medesima disposizione normativa, con conseguente necessità di articolare la richiesta entro il limite ultimo della prima udienza ed onere per il giudice di verificare che l'esigenza di estensione del contraddittorio sia sorta dalle difese dell'opponente, convenuto in senso sostanziale (cfr. Cass. civ., sez. II, sent., n. 14444/2013).

In caso di istanza di chiamata di terzo da parte dell'opponente, invece, l'analogia con l'ipotesi della richiesta di chiamata in causa proveniente dal convenuto, impone di rimettere alla discrezionalità del giudice l'accoglimento o meno della richiesta medesima, salvo il caso del litisconsorzio necessario (in coerenza con quanto chiarito in generale da Cass. civ., Sez. Un., sent., n. 4309/2010).

Nella pronuncia in commento, inoltre, la Suprema Corte, oltre a confermare l'orientamento predetto sulle modalità di chiamata in causa di terzo da parte dell'opponente nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, si occupa del caso specifico in cui il giudice di prime cure ometta di pronunciarsi sull'istanza di chiamata in causa di terzo ritualmente formulata dall'opponente: muovendo, quindi, dalla premessa per cui, fuori dal caso del litisconsorte necessario pretermesso, la scelta del giudice di merito di accogliere o rigettare l'istanza di chiamata in causa è insindacabile in sede di impugnazione e insuscettibile di giudicato ove non impugnata, non avendo natura propriamente decisoria, i giudici di legittimità chiariscono che ove non sia formalmente autorizzata la chiamata in causa del terzo, quest'ultimo non assume veste di “parte” del processo per effetto della sola istanza di chiamata e, conseguentemente, non è litisconsorte necessario (processuale) nell'eventuale giudizio di impugnazione. Resta inteso che ove non sia delibata l'istanza di chiamata in causa del terzo e siano adottate statuizioni di qualunque genere nei confronti di quest'ultimo nella sentenza conclusiva del grado di giudizio, la stessa sarà inutiliter data nei confronti del terzo, non potendo vincolare soggetti che siano stati chiamati a partecipare al processo (art. 2909 c.c.).

Riferimenti
  • Ianni, Opposizione a decreto ingiuntivo, Milano, 2013, 48 e ss.;
  • Monnini, Orientamenti giurisprudenziali e dottrinali in tema di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e chiamata in causa di un terzo su istanza dell'opponente, in Foro Toscano, 2001, vol. 3, fascicolo 3, 262 e ss.;
  • Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 393.