L'impugnazione del piano di riparto fallimentare

28 Novembre 2019

In tema di riparto fallimentare, ai sensi dell'art. 110 L.F. (nel testo applicabile ratione temporis come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), richiamato anche in materia di amministrazione straordinaria, sia il reclamo ex art. 36 L.F. avverso il progetto predisposto dal curatore (ovvero dal commissario straordinario) di riparto, anche parziale, delle somme disponibili, sia quello ex art. 26 L.F. contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso il primo reclamo, possono essere proposti da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che, in qualche modo, sarebbe potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante ed in entrambe le impugnazioni il ricorso va notificato a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale.
Massima

In tema di riparto fallimentare, ai sensi dell'art. 110 L.F. (nel testo applicabile ratione temporis come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), richiamato anche in materia di amministrazione straordinaria, sia il reclamo ex art. 36 L.F. avverso il progetto predisposto dal curatore (ovvero dal commissario straordinario) di riparto, anche parziale, delle somme disponibili, sia quello ex art. 26 L.F. contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso il primo reclamo, possono essere proposti da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che, in qualche modo, sarebbe potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante ed in entrambe le impugnazioni il ricorso va notificato a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale.

Il caso

Il Commissario straordinario di una S.p.A. in amministrazione straordinaria ha depositato un piano di riparto parziale tra i creditori ammessi al concorso avverso il quale la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno proposto reclamo. Il reclamo è stato accolto dal giudice delegato con conseguente ordine di accantonamento di tutte le somme appostate nel piano. Gli enti reclamanti hanno contestato la possibilità di procedere al riparto, in quanto sarebbero stati titolari di un credito di natura prededucibile - conseguente ai danni da disastro ambientale a loro dire cagionato dall'attività industriale (nel settore chimico) svolta dalla società debitrice e che era destinato ad essere pagato in via preferenziale. In conseguenza di ciò il giudice delegato ha ritenuto necessario un accantonamento integrale dell'attivo liquidato, in vista dell'accertamento dei pretesi crediti prededucibili, all'esito del giudizio di opposizione allo stato passivo pendente.

Avverso il decreto di accantonamento delle somme emesso dal giudice delegato un creditore concorrente ha a sua volta proposto reclamo, accolto dal Tribunale, il quale ha affermato che, tenendo conto della risultanze dello stato passivo, non poteva tenersi in considerazione il credito vantato dalle Amministrazioni (escluso dal concorso e dunque senza titolo idoneo a fondare una pronuncia interinale di accantonamento), non potendosi includere i crediti degli opponenti allo stato passivo tra quelli di cui all'art. 110, comma quarto, della Legge Fallimentare, posto che la norma si riferisce esclusivamente ai crediti già inclusi nel piano di riparto, anche se contestati. Neanche l'art. 113, comma secondo, L. F. poteva essere invocato, poiché la nozione di debito prededucibile ivi contemplata si riferisce a poste non contestate o almeno già ammesse al passivo, sebbene non in via definitiva. Perciò, in mancanza di una giustificazione dell'accantonamento, il tribunale ha dichiarato l'esecutività del progetto di ripartizione depositato dal commissario. Avverso tale decisione la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno proposto ricorso per cassazione. Ad esso hanno resistito, con controricorso, il creditore concorrente e la stessa procedura della S.p.A. in amministrazione straordinaria con il suo commissario.

La questione giuridica

Con ordinanza interlocutoria del 13 aprile 2018, n. 9250, la Prima sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Secondo l'ordinanza interlocutoria una prima questione di massima di particolare importanza, da sottoporre all'esame delle Sezioni Unite, avrebbe riguardato la ricorribilità per cassazione del decreto del tribunale che, affermando l'esecutività del piano di riparto, abbia negato il diritto all'accantonamento del quantum preteso da un creditore non ammesso allo stato passivo, ma che rivendichi, per altro titolo, la propria pretesa, da dichiarare in sede di riparto, e perciò, ove negata, da correggere con la relativa impugnazione. Una seconda questione rilevante, poi, avrebbe avuto ad oggetto il problema dell'immediata esecutività del piano di riparto, che è stata dapprima sospesa dal giudice delegato e poi ripristinata dal tribunale, sulla base di una diversa ricostruzione della relazione, dal primo ammessa e dal secondo negata, con il credito prededucibile vantato dalle Amministrazioni. Sarebbe stato pertanto necessario chiarire i limiti della “giustiziabilità” di siffatta statuizione negativa, ponendosi il seguente problema: se il provvedimento che dispone l'esecutività del piano di riparto sia vincolante allo stato degli atti o se, al contrario, esso risulti direttamente condizionato dall'evoluzione dei costi o delle spese in prededuzione e, dunque, potenzialmente revocabile. Aderendo alla prima impostazione, solo l'esaurimento dei mezzi d'impugnazione metterebbe in sicurezza l'esecuzione del piano di riparto, proposto e vagliato giudizialmente, non retrocedibile di fase né “ritirabile”, se non se ed in quanto non raccordato con lo stato passivo o con le condizioni per l'accantonamento di alcune somme. Ove si ritenesse, invece, che il piano di riparto possa essere - in tutto o in parte – “ritirato”, in ogni momento divenendo oggetto di modifica, di revoca o di sospensione in ordine alla sua esecutività, lo si renderebbe permeabile all'evoluzione dei conti della procedura, dovendosi accantonare tutte le risorse necessarie a fronteggiare le spese o i debiti prededucibili inizialmente non previsti. Ma, con una tale interpretazione, la modificabilità o la revocabilità del piano di riparto comporterebbe anche l'inammissibilità del ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., poiché il provvedimento impugnato non sarebbe mai definitivo.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state quindi chiamate a decidere in ordine alla seguente questione di massima di particolare importanza: “se sia ammissibile il ricorso per cassazione, ex art. 111, comma settimo, Cost., nei confronti del decreto del tribunale fallimentare che, decidendo sul reclamo contro il provvedimento del giudice delegato, abbia ordinato l'esecuzione del piano di riparto parziale, avuto riguardo alla sua idoneità a stabilire, in maniera irreversibile o meno, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell'attivo fino a quel momento disponibile e, dall'altro, il diritto degli altri interessati ad ottenere gli accantonamenti nei casi previsti dall'art. 113 L. F.”.

Con ordinanza interlocutoria n. 31266 del 2018, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno richiesto all'Ufficio del Massimario e del Ruolo una relazione di approfondimento su alcune questioni. In particolare, sulla premessa che le S.U. erano chiamate, anzitutto, ad esaminare il problema - oltre che della decisorietà - della definitività dei piani di riparto parziale e, poi, sulla base di tali risultanze, a scrutinare la ricorribilità in Cassazione del decreto del tribunale fallimentare che, decidendo sul reclamo proposto contro il provvedimento del giudice delegato, ne abbia ordinato l'esecuzione (rispetto al quale tema d'indagine la difesa dell'S.p.A. in amministrazione straordinaria aveva richiamato un precedente della Corte di Cassazione - Sentenza n. 12532 del 2014 -, che, sebbene non massimato, aveva affermato che il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., proposto in quella sede, era inammissibile, “vertendo su un provvedimento privo del carattere di decisorietà con attitudine al giudicato”), la Suprema Corte ha stimato opportuno approfondire sia una prima questione, relativa alla affermata possibilità degli emendamenti ad un piano che sia stato formalmente approvato (e rispetto al quale si siano consumati i termini di cui all'art. 110, terzo e quarto comma L.F.), sia una seconda, riguardante il novero dei soggetti attivamente legittimati all'impugnativa del piano per il quale, sulla base del rinvio operato dall'art. 110, terzo comma, L. F., all'art. 36 della stessa legge, si prevede, al secondo comma, che siano sentiti soltanto “il curatore e il reclamante”. In particolare, la richiamata ordinanza interlocutoria ha osservato che, se con riferimento al primo aspetto non è chiaro come un sistema disegnato sulla regola del riparto a periodicità quadrimestrale (art. 110, primo co., L.F.), destinato a completarsi con l'approvazione del piano di riparto finale (art. 117 L. F.), ben formalizzato e cadenzato nel rispetto del principio della pluralità successiva delle distribuzioni, ciascuna soggetta a regole formali di approvazione, possa tollerare continue modificazioni per il tramite di emendamenti, “senza preclusione da acquiescenza”; con riferimento al secondo, non è dato comprendere come lo schema processuale dell'art. 36 L. F. possa dar conto della complessità soggettiva delle contestazioni, in ipotesi molteplici e di diverso contenuto.

Osservazioni

I riparti parziali hanno la funzione di diminuire il danno dei creditori e si pongono come un correttivo alla lunga durata del procedimento fallimentare. Ovviamente, la parziarietà del riparto va intesa come distribuzione di una parte delle somme disponibili senza che ciò debba significare soddisfacimento parziale di tutti (De Ferra). La Corte di Cassazione – la cui precedente giurisprudenza è stata richiamata dalle Sezioni Unite - ha da tempo affermato il principio di diritto secondo cui il piano di riparto parziale reso esecutivo dal giudice delegato - a prescindere dalla sua concreta esecuzione - non ha carattere provvisorio e non può essere modificato in seguito ad ulteriori risultanze, ma, al contrario, una volta decorsi i termini di impugnazione, diventa definitivo e quanto con esso sia stato disposto non può essere più oggetto di contestazione (Cass., Sez. 2, n. 776 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 2035 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 594 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 2374 del 1972, secondo la quale i decreti del giudice delegato, i quali stabiliscono piani di riparto parziale e li rendono esecutivi, anche se non costituiscono una vera e propria cosa giudicata precludono ogni successivo riesame o questione in ordine all'esistenza, entità ed efficacia dei crediti ammessi ed all'esistenza delle cause di prelazione; Cass., Sez. 2, n. 601 del 1972, secondo cui un nuovo ordine di privilegi non può ricevere applicazione allorquando nella procedura fallimentare, in base a un provvedimento definitivo ed esecutivo di riparto parziale anteriore alla legge citata, formato in base all'ordine di privilegi all'epoca vigenti, siano state assegnate e pagate ai creditori le somme realizzate, poiché detto provvedimento - come risulta dall'art 114 - possibilità di recupero delle somme pagate ai creditori solo in caso di revocazione - e 122 della legge fallimentare - divieto di concorso dei creditori per le somme già percepite nelle precedenti ripartizioni - dà luogo ad una preclusione e ad un giudicato interno alla procedura fallimentare). Allo stesso modo la dottrina ha da tempo riconosciuto che il decreto che dichiara esecutivo il pano di riparto divenuto formalmente inimpugnabile importa la definitività delle attribuzioni delle somme distribuite ai singoli creditori (Così Bonsignori, Galgano, De Ferra). E tale definitività viene meno soltanto nelle ipotesi previste dall'articolo 114 L.F. e 2921 C.C. (Bonsignori).

Le Sezioni Unite hanno poi precisato come il principio di intangibilità del piano di riparto divenuto definitivo sia emerso anche a seguito della successione di leggi intervenute in materia di privilegi. Sicché essi potranno essere esercitati anche dopo l'approvazione dello stato passivo (e, perciò, anche dopo la formazione del cd. giudicato endofallimentare), ma non quando il riparto - anche parziale - sia invece divenuto definitivo (Cass., Sez. 1, n. 13090 del 2015). E ancora di recente la Suprema Corte (Cass., Sez. 1, n. 4729 del 2018; Cass., Sez. 1, n. 20748 del 2012) ha affermato l'esistenza di un principio generale di “intangibilità” dei riparti dell'attivo eseguiti nel corso della procedura, con la sola eccezione contemplata espressamente dall'art. 114 L F. (Restituzione di somme riscosse), sicché le ripartizioni, che in base ad esso sono state eseguite nella procedura fallimentare, non possono essere più rimesse in discussione.

Il principio riprodotto nel testo dell'art. 114 L.F., come novellato dal d.lgs. n. 5 del 2006, secondo cui “I pagamenti effettuati in esecuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti, salvo il caso dell'accoglimento di domande di revocazione”, è stato riprodotto esattamente nel medesimo testo dall'art. 229 del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, che con chiara evidenza mostra l'intento del riformatore del 2019 di confermare l'indirizzo già manifestato dal legislatore del 1942 e del 2006.

Ancora, secondo il costante orientamento della Suprema Corte richiamato dalle Sezioni Unite, in applicazione del principio generale di cui all'art. 487 c.p.c., secondo cui le ordinanze del giudice dell'esecuzione sono revocabili o modificabili finché non abbiano avuto esecuzione, i provvedimenti resi dal giudice delegato nel fallimento sono revocabili o modificabili, sia d'ufficio che su istanza di parte, sino a quando essi non abbiano avuto esecuzione. Talché, se il progetto di riparto parziale sia stato dichiarato esecutivo dal giudice delegato - perché sono decorsi i quindici giorni previsti dall'art. 110, comma terzo, L.F. o si siano esauriti i mezzi di impugnazione esperiti dagli eventuali reclamanti - e il curatore vi abbia dato pronta esecuzione mediante la distribuzione delle somme ai creditori concorrenti, non può più sostenersi che il giudice delegato, in deroga al principio generale dettato dall'art. 487 c.p.c., possa, d'ufficio o su istanza di parte, revocare o modificare il decreto di esecutività che risulti apposto sul progetto di riparto, come detto, già eseguito.

Pertanto, in mancanza di un vero e proprio contrasto interpretativo, al quesito di diritto posto dall'ordinanza di rimessione della Pima sezione civile, le Sezioni Unite hanno dato la seguente risposta affermativa e l'enunciazione del seguente principio di diritto: “il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale, pronunciato sul reclamo avente ad oggetto il provvedimento del giudice delegato, nella parte in cui decide la controversia concernente, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell'attivo fino a quel momento disponibile e, dall'altro, il diritto degli ulteriori interessati ad ottenere gli accantonamenti delle somme necessarie al soddisfacimento dei propri crediti, nei casi previsti dall'art. 113 L. F., si connota per i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, avverso di esso, è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111, co. 7°, Cost.”.

Vi è poi la diversa questione relativa alla possibilità giuridica che il piano di riparto parziale, pure dichiarato esecutivo dal giudice delegato per mancanza di reclami o perché tutti inutilmente esperiti, oppure direttamente dal tribunale in sede di reclamo (come nel caso esaminato in cui il decreto di esecutività è stato pronunciato direttamente dal collegio) possa essere successivamente modificato o revocato su iniziativa del curatore (o del commissario), qualora non sia stato ancora eseguito, essendo il detto progetto di riparto ancora sub iudice (pendendo, come nella vicenda esaminata, ricorso per Cassazione).

Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover verificare la questione relativa ai soggetti attivamente legittimati all'impugnativa del piano di riparto per il quale, sulla base del rinvio operato dall'art. 110, terzo co., L.F. all'art. 36 della stessa legge, si prevede (al secondo comma) che siano sentiti soltanto il curatore e il reclamante.

Sennonché, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 42 del 1981 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 26, primo comma, delle legge fallimentare nella parte in cui faceva decorrere l'allora termine di tre giorni per il reclamo al tribunale dalla data del decreto del giudice delegato anziché dalla data della comunicazione dello stesso ritualmente eseguito (orientamento ribadito dalla Corte Costituzionale nelle successive sentenze n. 55 del 24.03.1986 e n. 156 del 27.06.1986), la giurisprudenza di legittimità maggioritaria è orientata a ritenere che il Tribunale, in sede di reclamo contro il provvedimento del giudice delegato che stabilisce e rende esecutivo il piano di riparto, sia tenuto (a pena di nullità rilevabile d'ufficio in sede di impugnazione) all'osservanza del principio del contraddittorio, e quindi a sentire oltre il reclamante, il fallito, il comitato dei creditori, il curatore ed eventualmente altri controinteressati che ne facciano richiesta (nello stesso senso, successivamente, Cass. Sez. 1, sentenze n. 7555 del 1991 e 9580 del 1997).

Ancora, le Sezioni Unite, hanno fatto leva sulle successive modifiche legislative in tema di riparto. Il D. Lgs. n 5 del 2006 ha previsto infatti che il progetto di riparto sia un atto del curatore e non più atto del giudice delegato sicché quest'ultimo, privato del potere di introdurre rettifiche o modificazioni allo stesso, ora si limita a disporne il deposito e la comunicazione ai creditori. E la nuova formulazione dell'art. 110, terzo co., L.F., ora prevede che “i creditori (...) possono proporre reclamo contro il progetto di riparto nelle forme dell'articolo 26 della legge fallimentare. Una seconda modifica è stata poi introdotta dal D. Lgs. n 169 del 2007, con la previsione secondo cui “i creditori (...) possono proporre reclamo al giudice delegato contro il progetto di riparto ai sensi dell'art. 36”, sicché contro tale pronuncia del giudice delegato sarà d'allora possibile proporre reclamo al tribunale ai sensi dell'art. 26 e, contro quello che sarà reso dal Tribunale, ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.

La Corte di Cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 16633 del 2015) ha conseguentemente affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di fallimento, alla luce della nuova disciplina del subprocedimento di riparto dell'attivo prevista dall'art. 110 L.F. (come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), il giudice delegato deve ordinare il deposito in cancelleria del progetto di riparto delle somme disponibili predisposto dal curatore ed inoltre, al fine di un eventuale reclamo, la sua comunicazione non solo ai creditori ammessi al passivo fallimentare e a quelli che abbiano proposto impugnazione allo stato passivo, ma anche ai creditori ammessi tardivamente prima del decreto di esecutività del progetto di riparto.

Sennonché, il quesito postosi delle Sezioni Unite è stato il seguente: se non sembrano sorgere dubbi sulla legittimazione attiva a proporre reclamo avverso il progetto depositato dal curatore, ai sensi dell'art. 36 L.F., dovendosi far coincidere i creditori interessati con i destinatari della comunicazione del progetto medesimo, non è altrettanto semplice capire se il reclamo ex art. 26 L.F., da chiunque proposto, debba essere comunicato, oltre che al curatore, come espressamente presuppone la norma (“sentito il curatore”), anche a tutti gli altri creditori controinteressati. L'opinione della dottrina sul punto è pressoché unanime nel ritenere che il contraddittorio vada esteso anche ai controinteressati, da intendere come tali i creditori che, in qualche modo, sarebbero potenzialmente pregiudicati dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante, poiché la relativa quota di riparto potrebbe subire una variazione ovviamente in peius.

Pertanto le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover aderire all'opinione prevalente e quindi affermare il seguente principio di diritto: “in tema di riparto fallimentare, ai sensi dell'art. 110 L.F. (nel testo applicabile ratione temporis come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), sia il reclamo ex art. 36 L.F. avverso il progetto - predisposto dal curatore - di riparto, anche parziale, delle somme disponibili, sia quello ex art. 26 L.F. contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso il primo reclamo, possono essere proposti da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che, in qualche modo, sarebbe potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante, ed in entrambe le impugnazioni il ricorso va notificato a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale”.

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