Sovraindebitamento: liquidazione controllata (CCII)

Fabio Cesare
13 Novembre 2019

Il Codice della crisi d'impresa contiene la disciplina della “liquidazione controllata del sovraindebitato”, che abroga, supera e razionalizza la pregressa disciplina dettata dalla L. 3/2012. Lo sforzo sistematico del legislatore della riforma è testimoniato anche dalla nuova definizione dell'istituto: la vecchia liquidazione del patrimonio, diventa liquidazione controllata, plasmata sulla liquidazione giudiziale.

Inquadramento

Il D.Lgs. 14/2019 (cd. Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) contiene la disciplina della “liquidazione controllata del sovraindebitato”, che abroga, supera e razionalizza la pregressa disciplina dettata dalla L. 3/2012. Lo sforzo sistematico del legislatore della riforma è testimoniato anche dalla nuova definizione dell'istituto: la vecchia liquidazione del patrimonio, diventa liquidazione controllata, plasmata sulla liquidazione giudiziale.

Non è solo il profilo nominalistico a spingere l'interprete ad applicare all'istituto in esame le norme della procedura maggiore, ma anche la collocazione delle disposizioni relative alla liquidazione controllata nel capo IX del Titolo V (artt. da 268 a 277 CCI) dedicato alla liquidazione giudiziale, mentre gli altri due istituti del sovraindebitamento sono inseriti negli strumenti di regolazione della crisi accanto al concordato preventivo, all'accordo di ristrutturazione dei debiti e al piano attestato.

Ambito applicativo

La liquidazione controllata è riservata al consumatore, professionista, impresa minore, impresa agricola, start-up innovativa (DL 179/2012) e ad ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale, a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali, esclusi gli enti pubblici (artt. 65 e 2, comma 1, lett. c CCI).

I legittimati attivi

I soggetti legittimati ad attivare la liquidazione controllata sono (i) il debitore stesso, (ii) il creditore, (iii) il pubblico ministero ma solo quando l'insolvenza riguardi un'impresa, anche agricola (art. 268, comma 1 CCI).

La presentazione della domanda da parte del debitore non necessita della difesa tecnica; è invece necessaria l'assistenza dell'OCC, il quale (i) entro 7 giorni dal conferimento dell'incarico da parte del sovraindebitato deve darne notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante; (ii) a corredo del ricorso deve redigere una relazione che esponga una valutazione sulla completezza e sull'attendibilità della documentazione depositata insieme alla domanda e che illustri la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore (art. 269 CCI).

L'attività dell'OCC non sembra richiesta nel ricorso proposto da un debitore, poiché senza adeguati poteri e senza la collaborazione del debitore non è possibile per il gestore ricostruire il patrimonio del resistente.

Il creditore può presentare domanda di liquidazione controllata “anche in pendenza di procedure esecutive individuali”.

Per parte della dottrina, la locuzione sembra suggerire che la domanda del terzo sia ammissibile secondo l'interpretazione letterale, ovvero solo allorquando pendano esecuzioni individuali (D'ORAZIO).

Altri indirizzi interpretativi escludono una simile lettura sia perché in sede di audizioni informali alla Camera dei Deputati è stato più volte spiegato che la congiunzione “anche” è un'eredità della legge delega (art. 9, lett. h, d.lgs. n. 155/2017) priva di un vero contenuto: essa infatti sembrerebbe voler tranquillizzare l'interprete della circostanza che la pendenza di un'esecuzione individuale non escluda il ricorso alla liquidazione controllata. Ma una simile rassicurazione non ha alcun significato, poiché non vi è dubbio che l'esecuzione individuale debba cedere il passo all'esecuzione collettiva. Inoltre, il legislatore della riforma estende ai creditori la legittimazione attiva: un simile ampliamento ha l'obiettivo di estendere i benefici del concorso ai creditori frenati nella tutela dei propri diritti dagli elevati costi delle espropriazioni immobiliari individuali, riservate ormai solo all'impulso dei condomini e dei creditori fondiari.

Una simile interpretazione potrebbe restringere il perimetro di operatività del ricorso dei terzi, poiché se sussiste un solo creditore la pendenza di una sola procedura esecutiva non giustificherebbe il ricorso alla liquidazione controllata, mentre l'esistenza di più creditori potrebbe rendere preferibile l'opzione concorsuale se già fosse pendente un'espropriazione.

Del resto, il giudice investito della liquidazione controllata dovrà verificare quantomeno (i) uno stato di sovraindebitamento e forse anche (ii) l'esistenza di beni da aggredire, poiché laddove non ve ne fossero, la sola opzione residua potrebbe essere costituita dall'esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCI), per la quale la legittimazione potrebbe sostenersi che spetti al solo debitore, quantomeno per un tema di evidente assenza di interessa ad agire da parte dei creditori.

Ove non risulti un'esecuzione individuale pendente, non vi sarebbero beni aggredibili da liquidare né potrebbe essere dimostrato sempre lo stato di sovraindebitamento per l'esistenza di un singolo inadempimento: in questo caso il procedimento su richiesta di terzi non avrebbe significato e dovrebbe essere dichiarato inammissibile. Viceversa, la liquidazione controllata senza beni potrebbe essere aperta su richiesta del debitore che non abbia le condizioni per accedere alla esdebitazione del debitore incapiente.

L'introduzione della legittimazione attiva ai terzi comporta qualche ulteriore riflessione.

È possibile che la procedura concorsuale richiesta dai terzi si riveli sproporzionata rispetto all'ammontare del credito, sia per i costi connessi sia per le conseguenze in capo al debitore.

Simili sproporzioni possono essere mitigate nell'esecuzione individuale anche nell'ottica di evitare abusi: se l'art. 483 c.p.c. prevede la possibilità per il creditore di valersi cumulativamente di più espropriazioni, il debitore può proporre opposizione e chiedere al giudice di limitarli, così come può chiedere la riduzione del pignoramento se il valore dei beni colpiti dall'esecuzione sia superiore al credito.

Il CCI non prevede un analogo meccanismo di reazione nell'ipotesi in cui il creditore formuli istanza di liquidazione controllata, se non la facoltà del debitore di richiedere l'accesso alla ristrutturazione dei debiti del consumatore o al concordato minore ex art. 271 CCI in via difensiva e fare valere in quella sede l'accertamento dell'eventuale abuso del diritto del terzo.

La possibilità di un utilizzo abusivo dell'istituto da parte di creditori non appare significativamente limitata dall'impianto della normativa se non dal possibile uso delle spese di soccombenza in funzione deterrente. Senza adeguati contrappesi, infatti, i creditori potrebbero fare leva sul rischio di spossessamento del debitore conseguente all'apertura della liquidazione controllata per ottenere una pronta esitazione del credito a fronte della rinuncia al ricorso.

Anche per ridurre il rischio di strumentalizzazioni dell'istituto e per escludere procedure attivate senza alcun patrimonio sulla base di crediti di modesta entità laddove non pendano procedure esecutive in capo al debitore resistente, mi pare preferibile interpretare l'art. 268, secondo comma CCI nel senso di consentire la legittimazione attiva ai terzi creditori solo se (e non anche) vi siano procedure esecutive pendenti.

Concorso di procedure

Proprio in ragione del carattere residuale della liquidazione controllata, l'art. 271 CCI stabilisce che, in presenza di una domanda di liquidazione controllata proposta dal creditore o dal pubblico ministero, il debitore possa chiedere l'accesso ad una delle due procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, ossia la ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 CCI) ed il concordato minore (art. 74 CCI).

Il ricorso a uno di questi due ultimi istituti determina la sospensione della procedura di liquidazione controllata e, ove accolta, l'improcedibilità del ricorso presentato dal creditore o dal P.M.

L'art. 271 CCI presenta plurimi profili di criticità.

Il comma primo stabilisce che se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori o dal pubblico ministero e il debitore chiede l'accesso ad una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, il giudice concede un termine per l'integrazione della domanda.

La norma non precisa, innanzitutto dinnanzi a quale giudice il debitore debba presentare la domanda, se cioè dinnanzi al giudice già investito della domanda di liquidazione controllata presentata dal creditore o dal P.M. o, invece, dinnanzi ad un giudice ex novo.

Ragioni di connessione soggettiva e oggettiva oltreché di economia processuale, oltre che il principio di trattazione unitaria delle procedure imposto dall'art. 7 CCI inducono a ritenere sia competente il medesimo giudice già adito dal creditore o dal P.M.

La previsione per cui, a fronte della richiesta del debitore di accesso ad una procedura alternativa, il giudice debba concedere “un termine per l'integrazione della domanda” induce a ipotizzare una sorta di domanda di “sovraindebitamento in bianco” all'interno della liquidazione controllata instaurata da un terzo; il debitore resistente nella liquidazione controllata potrebbe formulare una domanda con un difensore (poiché si tratta di attività contenziosa) manifestando la sola intenzione di depositare un ricorso per sovraindebitamento “minore” in funzione difensiva con riserva di scegliere la procedura più consona e i suoi contenuti entro un termine assegnato dal giudice.

Proprio l'esistenza di problematiche di non secondo momento per il coordinamento tra le due procedure conferma che il ricorso proposto da un terzo non necessita della relazione particolareggiata dell'OCC, prevista dall'art. 269 CCI per il solo debitore e non per il ricorso del terzo.

Il decorso infruttuoso del termine stabilito dal giudice dovrebbe poi comportare la declaratoria di inammissibilità del sovraindebitamento minore e l'apertura della liquidazione controllata.

Qualche criticità deriva da un difetto di coordinamento tra norme degli istituti di regolazione della crisi da sovraindebitamento e della liquidazione controllata.

Infatti, il giudice competente per la ristrutturazione dei debiti del consumatore e per il concordato minore è il tribunale in composizione monocratica (artt. 67, comma 6 e 76, comma 6 CCI); giudice competente per la liquidazione controllata è invece il tribunale in composizione collegiale (art. 270 CCI).

Il debitore che intenda resistere a un istanza di liquidazione controllata si troverebbe a dover depositare una domanda di accesso alle procedure di sovraindebitamento dinnanzi ad un giudice in composizione diversa da quella ordinaria, il che potrebbe comportare incertezze circa il regime delle impugnazioni: a ciò soccorre il richiamo operato dall'art. 271 CCI che richiama l'art. 50-55 CCI in tema di impugnazioni nel procedimento unitario e che dispone il reclamo in Corte d'Appello entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto (di accoglimento o di rigetto).

Oltre che su iniziativa dei soggetti indicati, la liquidazione controllata può essere aperta a seguito della conversione di procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (ristrutturazione dei debiti del consumatore o concordato minore) per frode, falsità o inadempimento definitivo alle obbligazioni nascenti con l'ammissione alle predette procedure (artt. 73 e 83 CCI).

L'apertura della liquidazione controllata

Ricorso e procedimento seguono il procedimento unitario di cui agli art. 40 e ss. CCI.

Il tribunale dichiara l'apertura della liquidazione controllata con sentenza, che ha un contenuto analogo a quella dichiarativa della liquidazione giudiziale.

Con la sentenza, infatti, il tribunale (i) nomina il giudice delegato; (ii) nomina il liquidatore, di regola confermando l'OCC (il giudice può designare un liquidatore diverso dall'OCC solo in presenza di giustificati motivi); (iii) ordina al debitore il deposito entro sette giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie oltreché dell'elenco dei creditori; (iv) assegna ai terzi che vantano diritti sui beni del debitore e ai creditori risultanti dall'elenco depositato un termine non superiore a 60 giorni (prorogabile di ulteriori 30 giorni ai sensi dell'art. 272, comma 1 CCI) entro il quale, a pena di inammissibilità, devono trasmettere al liquidatore, via pec, la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo; (v) ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore o il terzo ad utilizzare alcuni di essi (tale provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura del liquidatore); (vi) dispone, a cura del liquidatore, la pubblicazione della sentenza sul sito internet del tribunale e, nel caso in cui il debitore sia un'impresa, nel registro delle imprese; (vii) ordina, quando vi sono beni immobili o mobili registrati, la trascrizione della sentenza, a cura del liquidatore, presso gli uffici competenti.

La sentenza è notificata al debitore, ai creditori e ai titolari di diritti sui beni oggetto di liquidazione (art. 270, commi 1, 2 e 4).

Al liquidatore si applicano le disposizioni dettate dal Codice delle leggi antimafia in materia di nomina e requisiti dell'amministratore giudiziario (artt. 35, comma 4 bis; 35.1 e 35.2 D.Lgs. 159/2011).

Oggetto della liquidazione controllata

La liquidazione controllata ha ad oggetto l'intero patrimonio del sovraindebitato, con esclusione (i) di crediti impignorabili ai sensi dell'art. 545 c.p.c. in tema di espropriazione forzata presso terzi; (ii) i crediti per alimenti e per mantenimento, la retribuzione, la pensione e ciò che il debitore guadagna con la propria attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia; (iii) delle cose non pignorabili per disposizione di legge; (iv) i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale ed i loro frutti, salvo quanto previsto dall'art. 170 c.c. in tema di esecuzione sui beni ricompresi nel fondo patrimoniale.

L'art. 170 c.c. stabilisce che l'esecuzione sui beni del fondo non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Occorre dunque coordinare l'art. 268, comma 3, CCI con l'art. 170 c.c.

Il creditore titolare di un credito derivante da esigenze famigliari del debitore, a prima vista, sembra poter agire in executivis su beni ricompresi nel fondo patrimoniale anche in pendenza della procedura di liquidazione controllata.

Tale iniziativa verrebbe però probabilmente paralizzata dal blocco di azioni esecutive e cautelari previsto dell'art. 270, comma 5 CCI, con la conseguenza che, se così fosse, il disposto dell'art. 170 c.c. richiamato dall'art. 268, comma 3 CCI resterebbe lettera morta.

La risposta è allora probabilmente contenuta nell'art. 274 CCI, che attribuisce al liquidatore il potere di esperire o continuare le azioni relative al patrimonio oggetto di liquidazione, ivi comprese le azioni revocatorie ordinarie.

Si può quindi ipotizzare che sia il liquidatore, nell'esercizio dell'azione di massa, ad agire per la revoca del fondo patrimoniale.

Anche i limiti di pignorabilità dello stipendio dovrebbero essere i medesimi dell'art. 545 c.p.c. come accertato nel regime della L. 3/2012 da Tribunale di Milano 10 aprile 2019 - est. Rossetti in sede di reclamo, con la possibilità per il Tribunale di rivederli sono in senso più favorevole per il debitore.

Effetti dell'apertura della liquidazione controllata

L'apertura della liquidazione controllata produce effetti analoghi a quelli della liquidazione giudiziale.

Il deposito della domanda sospende, ai soli fini del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali, maturandi sui crediti chirografari, fino alla chiusura della liquidazione (art. 268, comma 4, CCI).

Ai sensi dell'art. 270, comma 5 CCI trovano applicazione (i) l'art. 143 CCI, che determina l'interruzione dei rapporti processuali pendenti; (ii) l'art. 150 CCI che dispone il blocco di tutte le azioni esecutive e cautelari anche dei creditori con causa o titolo successivo al momento dell'apertura della liquidazione controllata; (iii) l'art. 151 CCI che prevede l'apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del debitore e che ogni credito, anche quello esentato dal blocco delle azioni esecutive e cautelari, deve essere accertato dagli organi della procedura secondo il procedimento di accertamento del passivo.

Il legislatore disciplina, inoltre, la sorte del contratto pendente al momento di apertura della procedura di liquidazione controllata, che risulti ineseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali da entrambe le parti (art. 270, comma 6 CCI).

La normativa prevede una fase intermedia, data dalla sospensione del contratto e subordinata ad una valutazione di opportunità e convenienza del subentro da parte del liquidatore, sentito il debitore.

In caso di subentro, si può ritenere che i relativi diritti e obblighi andranno a vantaggio e a carico dei creditori della procedura, mentre in caso di scioglimento il contraente avrà diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto alcun risarcimento del danno.

La fase esecutiva

Dopo aver curato la pubblicazione della sentenza sul sito del tribunale e nel registro delle imprese, il liquidatore (i) aggiorna l'elenco dei creditori (che nel frattempo il debitore dovrebbe aver depositato ai sensi dell'art. 270, comma 2, lett. c), cui dovrà notificare la sentenza; (ii) completa l'inventario dei beni del debitore; (iii) redige il programma di liquidazione, che deposita in cancelleria e che il giudice delegato dovrà approvare; per la forma del programma di liquidazione, il legislatore rinvia espressamente al medesimo atto previsto nella liquidazione giudiziale (art. 272 CCI); il liquidatore deve comunque seguire le regole generali sulla vendita dei beni nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili, secondo il principio della necessaria competitività delle vendite, funzionale al miglior esito della liquidazione, esclusa ogni forma di trattativa privata (art. 275, comma 2 CCI).

La procedura ha la legittimazione attiva, per il tramite del liquidatore e previa autorizzazione del giudice delegato, per esperire o continuare le azioni indicate dalla legge che riguardino il patrimonio oggetto della liquidazione, ivi comprese le azioni revocatorie ordinarie (art. 274 CCI).

Il liquidatore forma, inoltre, lo stato passivo, una volta scaduto il termine decadenziale non superiore a 60 giorni (prorogabile di ulteriori 30 giorni ai sensi dell'art. 272, comma 1 CCI) per la trasmissione delle domande di ammissione al passivo.

Il liquidatore predispone il progetto di stato passivo in modo autonomo, salvo che vi siano contestazioni non superabili in sede di osservazioni al relativo progetto. Solo in tal caso, su ricorso del liquidatore, il giudice delegato decide con decreto motivato, reclamabile davanti al collegio.

Non è prevista una disciplina relativa alla presentazione di domande tardive che devono quindi considerarsi inammissibili (art. 273 CCI).

Ogni 6 mesi il liquidatore deposita la relazione semestrale con cui riferisce al giudice delegato in ordine all'esecuzione del programma di liquidazione (art. 275, comma 1 CCI).

Terminata l'esecuzione, il liquidatore presenta al giudice il rendiconto.

Se il giudice delegato approva il rendiconto, liquida il compenso del liquidatore; se non approva il rendiconto, indica gli atti necessari al compimento della liquidazione o le opportune rettifiche da apportare al rendiconto.

Approvato il rendiconto, il liquidatore procede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione previa formazione di un progetto di riparto, da comunicare al debitore e ai creditori con termine non superiore a 15 giorni per osservazioni.

Se non vi sono osservazioni, il liquidatore comunica il progetto di riparto al giudice, che senza indugio ne autorizza l'esecuzione.

Se vi sono contestazioni ed il liquidatore non può comporle autonomamente, riemette gli atti al giudice delegato, che provvede con decreto reclamabile (art. 275 CCI).

La procedura si chiude con decreto, deve ritenersi previa istanza del liquidatore.

Esdebitazione

Ai sensi dell'art. 282 CCI, l'esdebitazione opera di diritto ed è pronunciata decorsi 3 anni dalla sentenza di apertura della liquidazione controllata o con il decreto di chiusura se emesso anteriormente.

Le condizioni per l'accesso al beneficio sono più ampie che per l'imprenditore soggetto a liquidazione giudiziale: è sufficiente verificare che il debitore (i) non abbia subito condanne per bancarotta fraudolenta, per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio o per altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività di impresa; (ii) non abbia subito misure di prevenzione ai sensi del Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011).

Il consumatore, inoltre, non deve aver determinato il sovraindebitamento con colpa grave, dolo o malafede né aver beneficiato dell'esdebitazione nei due anni precedenti o essere stato esdebitato con altri istituti nei cinque anni anteriori.

L'esdebitazione opera trasformando le obbligazioni non soddisfatte dal concorso in obbligazioni naturali e, quindi, inesigibili.

Per i creditori che non hanno proposto insinuazione al passivo l'effetto è limitato alla porzione di credito eccedente il riparto percepito dagli altri creditori.

Ai sensi dell'art. 283 CCI il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all'esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro 4 anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10%.

Qualora sopraggiungessero utilità rilevanti, si porrebbe evidentemente il problema di quale sia il soggetto deputato a liquidarle e in base a quale procedura.

Si può immaginare che tale ruolo sia ricoperto dallo stesso OCC che ha precedentemente coadiuvato il debitore a depositare la domanda di esdebitazione, su incarico del giudice al quale il debitore, ammesso al beneficio dell'esdebitazione, deve periodicamente inviare la dichiarazione annuale relativa alle sopravvenienze rilevanti.

Considerazioni conclusive

A differenza delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, la ristrutturazione dei debiti del consumatore e il concordato minore, che costituiscono strumenti alternativi del solo debitore, la liquidazione controllata, al pari della liquidazione giudiziale, rappresenta uno strumento residuale per la definizione della crisi da sovraindebitamento aperto all'iniziativa di terzi.

Ne consegue che le condizioni di accesso debbano essere considerate meno stringenti rispetto alle altre procedure di sovraindebitamento del codice della crisi, poiché essa non si risolve in un beneficio per il sovraindebitato ma in un'opportunità di liquidazione collettiva a favore di tutti i creditori.

Il riconoscimento della legittimazione attiva anche ai creditori (e non più al solo debitore come nella vigenza della L. 3/2012) sposta il baricentro dell'istituto da strumento di difesa del debitore a strumento di esitazione del credito.

L'intento di assicurare a tutti i creditori una tutela effettiva all'interno del concorso per il debitore civile risponde, d'altronde, ad un principio di giustizia sociale espresso da una lungimirantissima dottrina, che a cavallo delle due guerre, così definiva l'insolvenza del debitore civile: “Finché l'attivo di un patrimonio eccede il passivo, il legislatore può lasciare che ogni creditore eserciti spontaneamente il proprio diritto. Ma quando quel patrimonio non basta per tutti, la libertà delle esecuzioni individuali costituisce un premio ai creditori più pronti, più vicini, meno scrupolosi, a scapito dei più benevoli, dei più lontani, che per lo più giungeranno dopo che il patrimonio del debitore è esaurito. Un dovere di giustizia sociale impone in quel frangente al legislatore l'obbligo di costituire una massa di tutti i beni del debitore, affinché si ripartiscano fra tutti i suoi creditori nella stessa misura, e questi siano compagni nelle perdite come furono compagni nella fiducia verso il debitore comune” (VIVANTE).

Riferimenti

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L. 3/2012

D.Lgs. 14/2019 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

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