Impugnazione del lodo, segue le regole dell'appello?
02 Dicembre 2019
Premessa
La scheletrica disciplina dell'impugnazione per nullità del lodo arbitrale impone sovente di interrogarsi sulla disciplina applicabile ad essa, ogni qual volta non vi provvedano le regole dettate dagli artt. 827-830 c.p.c. Sorge in particolare questione se ed in quali limiti possano applicarsi all'impugnazione per nullità le norme poste in materia di impugnazioni in generale e di appello in particolare: questione, questa, condizionata dalla natura attribuita all'impugnazione in discorso. A fronte di decisioni non più recenti le quali parevano guardare al giudizio di impugnazione per nullità del lodo come ad un giudizio di primo grado, la giurisprudenza attuale è senz'altro incline a valorizzare ove possibile l'applicabilità delle regole previste per le impugnazioni e in specifico per l'appello. L'articolo che segue esamina i vari aspetti del problema soffermandosi sulle decisioni anche più recenti che hanno ritenuto l'applicabilità all'impugnazione per nullità di specifiche disposizioni concernenti l'appello. La questione se l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, regolata dagli artt. 827-830 c.p.c., segua le regole dell'appello, ovviamente in via suppletiva, e cioè per quanto non espressamente stabilito dal legislatore nel dettarne la disciplina (si pensi ad esempio all'art. 828 c.p.c., che fissa per l'impugnazione termini diversi da quelli contemplati in via generale dagli artt. 325-327 c.p.c.), rinvia ad un tema di ordine generale, al quale sarebbe però frustraneo tentare di dar una risposta ultimativa: quello della natura dell'impugnazione in discorso. Come è stato detto, non sembra difatti utile cercare d'inquadrare dogmaticamente questo rimedio, chiedendosi ad esempio se trattasi di un'azione d'impugnativa ovvero se siamo di fronte ad un mezzo di gravame o ad un mezzo rescindente o ancora se si può parlare di mezzo d'impugnazione ordinario o di mezzo d'impugnazione straordinario. In questo campo è bene che l'interprete, per un verso, si attenga semplicemente all'osservazione di quanto emerge dalla legge, evitando di voler a tutti i costi inquadrare l'impugnazione per nullità del lodo utilizzando categorie che valgono per i mezzi d'impugnazione delle sentenze statali, e, per altro verso, eviti di richiamare concetti e distinzioni che sono di dubbia utilità anche per ricostruire il sistema delle impugnazioni possibili nell'ambito della giurisdizione pubblica, come la distinzione tra mezzi di gravame e mezzi d'impugnazione in senso stretto o mezzi rescindenti (Bove, La giustizia privata, Padova, 2015, 207). Sintetizzando, il dibattito sulla questione se il giudizio di impugnazione per nullità del lodo rituale dia luogo ad un giudizio ordinario in unico grado (giudizio nel quale si eserciterebbero simultaneamente un'azione di annullamento del lodo ed una di cognizione del merito della controversia sottoposta ad arbitrato) oppure ad un vero e proprio giudizio di secondo grado avente ad oggetto l'impugnazione del lodo è stato variamente risolto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. Le soluzioni date risentono, d'altronde, del complessivo inquadramento del fenomeno arbitrale: è noto, difatti, che l'arbitrato è stato considerato ora come un fenomeno negoziale e privato, ora come un fenomeno, per così dire, «para-giurisdizionale». In dottrina, in particolare, si sono misurate opinioni eterogenee, le quali spaziano da una tesi «giurisdizionalista» pura ad una tesi «privatista» pura, con una pluralità di soluzioni intermedie e di sfumature spesso assai sottili, assestatesi nel corso del tempo anche in relazione all'evoluzione normativa della disciplina dell'arbitrato (l. 9 febbraio 1983, n. 28; l. 5 gennaio 1994, n. 25; d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40). La giurisprudenza ha per lo più aderito alla tesi «giurisdizionalista». Nel 2000, però, vi è stato un repentino mutamento di indirizzo: la Suprema Corte ha senza riserve fatto propria la tesi «privatista» (Cass. civ., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 527), sicché il lodo rituale è stato considerato come un negozio di diritto privato stipulato fra le parti e, per questo, inidoneo ad ottenere l'autorità di giudicato sostanziale (Cass. civ., Sez. Un., 15 dicembre 2000, n. 1262; Cass. civ. 8 novembre 2001, n. 13840; Cass. civ. 27 novembre 2001, n. 15023; Cass. civ., Sez. Un., 25 giugno 2002, n. 9289; Cass. civ. 8 agosto 2002, n. 11976; Cass. civ. 30 agosto 2002, n. 12714; Cass. civ. 3 ottobre 2002, n. 14182; Cass. civ. 26 marzo 2003, n. 4462; Cass. civ. 14 novembre 2003, n. 17205; Cass. civ. 27 maggio 2005, n. 11315; Cass. civ. 1 marzo 2006, n. 4542). Questo indirizzo è stato ineluttabilmente travolto dalla riforma dell'arbitrato del 2006 (d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), che ha introdotto nella disciplina della materia l'art. 819-ter c.p.c., dedicato ai rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria, nel quale si afferma espressamente che: a) la competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice; b) la sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato, è impugnabile con regolamento necessario o facoltativo; c) l'eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. Dopodiché, anche in considerazione di ulteriori eventi, le Sezioni Unite hanno nuovamente riconosciuto la natura giurisdizionale all'arbitrato (Cass. civ., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24153). Ora, è intuitivo che, se si equipara il valore del lodo a quello di una sentenza, l'impugnazione per nullità si presenta quale strumento volto a riesaminare la decisione già adottata dagli arbitri; se si dice che il lodo non ha nulla a che vedere con una sentenza, ma è un fenomeno essenzialmente negoziale, l'impugnazione per nullità si allontana non soltanto dal modello dell'appello, ma da quello delle impugnazioni in generale. Ecco, ad esempio, che ad un dato momento, nella fase di prevalenza della tesi «privatista», viene affermato che, in caso di mancata comparizione alla prima udienza dell'impugnante, non si applica al giudizio di impugnazione del lodo arbitrale l'art. 348 c.p.c., dettato per l'appello. Ecco la massima ufficiale. Con la novella di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 25, il lodo è divenuto una risoluzione negoziale della controversia non più rapportabile ad una «sentenza», di tal che l'impugnazione per nullità dinanzi alla corte d'appello non dà luogo ad un giudizio di secondo grado rispetto a quello svoltosi innanzi agli arbitri, ma costituisce un'azione in unico grado di accertamento di cause di invalidità del lodo. Da tanto consegue che, in caso di mancata comparizione alla prima udienza dinanzi alla corte d'appello dell'attore che ha proposto l'impugnazione per nullità del lodo, si applica l'art. 181 c.p.c., ma non gli artt. 348 e 358 c.p.c., sicché deve escludersi che possa aversi, in tal caso, una improcedibilità dell'impugnazione del lodo per mancata comparizione dell'attore preclusiva della nuova impugnazione proposta in termini (Cass. civ. 1° luglio 2004, n. 12031). Ma, come si è detto, la tesi «giurisdizionalista» ha ormai nuovamente preso — e pare definitivamente — il sopravvento, sul rilievo, fondato sul precetto posto dall'art. 824-bis, che il lodo arbitrale (salvo che per i fini esecutivi, per i quali occorre l'exequatur di cui all'art. 825) equivale alla sentenza del giudice togato (per tutti Boccagna, L'impugnazione per nullità del lodo, I, Napoli, 2005, 212). Sicché la soluzione ora riassunta è stata come tra breve vedremo ribaltata, e si sono fatte strada larghe aperture all'applicazione all'impugnazione del lodo arbitrale della disciplina mutuata dall'appello. Sia chiaro, tuttavia, che l'impugnazione per nullità non dà luogo ad un appello rivolto contro il lodo, essendo in prima battuta diretto alla verifica della sussistenza dei vizi elencati dall'art. 829 c.p.c. e solo in seconda battuta ad un eventuale riesame del merito. Sicché incorrono certamente in errore quegli avvocati che intestano l'impugnazione per nullità, come accade di vedere nell'esperienza pratica, come «atto di appello» avverso il lodo. In tale prospettiva è stato ad esempio affermato che anche nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale è applicabile il principio secondo cui la proposizione dell'impugnazione principale determina, nei riguardi di tutti coloro cui il relativo atto venga notificato, l'onere, a pena di decadenza, di esercitare il proprio diritto di impugnazione nei modi e nei termini previsti per l'impugnazione incidentale, in applicazione della regola fondamentale della concentrazione delle impugnazioni contro la stessa sentenza; infatti, tale impugnazione pur non costituendo un comune appello avverso la pronunzia degli arbitri, essendo limitata all'accertamento dei vizi previsti dall'art. 829 c.p.c. dedotti con il mezzo di gravame, introduce comunque dinanzi al giudice ordinario un procedimento giurisdizionale nel quale valgono, in mancanza di diversa disciplina, le norme processuali ordinarie (Cass. civ. 1° marzo 2012, n. 3229). Nella stessa prospettiva è stato detto, muovendo dalla medesima premessa, che, se pure ogni impugnazione proposta in via autonoma successivamente alla prima è suscettibile di conversione in impugnazione incidentale, la sua ammissibilità resta comunque condizionata al rispetto dei termini per questa previsti (Cass. civ. 16 maggio 2000, n. 6291). In quest'ultima decisione viene espressamente rammentato come la Suprema Corte abbia avuto più volte occasione di affermare che i principi generali dettati per le impugnazioni sono applicabili anche nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale, atteso che detta impugnazione, se pure non costituisce un appello avverso la pronunzia degli arbitri, in quanto è limitata all'accertamento dei vizi previsti dall'art. 829 c.p.c. dedotti nel mezzo di gravame, introduce comunque dinanzi al giudice ordinario un procedimento giurisdizionale nel quale valgono, in mancanza di diversa disciplina, le norme processuali ordinarie (sulla scia di Cass. civ. 6 giugno 1995, n.6362; Cass. civ.7 settembre 1993, n. 9382). Ciò vale a dire che l'impugnazione in esame non assume natura di mera querela nullitatis, in quanto non abilita in ogni caso il giudice a riesaminare nel merito la decisione degli arbitri, ma investe la corte di appello del giudizio rescindente, configurato come passaggio necessario — sempre che siano ravvisati gli errori in procedendo e/o in iudicando denunciati — al riesame del merito della causa, e quindi alla pronuncia rescissoria (v. per tutte Cass. civ.16 giugno 1997, n. 5370). Il giudizio di impugnazione delle pronunce arbitrali si compone dunque di due fasi. Nella prima, rescindente, non è consentito alla corte d'appello procedere ad accertamenti di fatto, dovendo il giudice dell'impugnazione limitarsi ad accertare eventuali cause di nullità del lodo, che possono essere dichiarate soltanto in conseguenza di determinati errori in procedendo, nonché per inosservanza delle regole di diritto, nei limiti previsti dall'art. 829 (Cass. civ. 16 aprile 2018, n. 9387). L'impugnazione per nullità del lodo arbitrale introduce un ordinario procedimento giurisdizionale, nel quale, in mancanza di diversa disciplina, valgono, come si è detto, le norme procedurali ordinarie (Cass. civ. 6 giugno 1995, n. 6362, concernente la riconosciuta applicabilità della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, prevista dall'art. 1 l. n. 742/1969). Legittimato all'impugnazione è secondo le regole generali delle impugnazioni il soccombente che sia stato formalmente parte del giudizio arbitrale (Cass. civ.28 maggio 2003, n. 8545, ove si chiarisce che non è per converso legittimato colui che a tale giudizio sia rimasto estraneo, anche se sia l'effettivo titolare del rapporto sostanziale oggetto della controversia decisa dagli arbitri, trattandosi, rispetto al lodo, pur sempre di un terzo il quale può far valere il suo diritto con l'opposizione di cui all'art. 404, comma 1, c.p.c., richiamato dall'art. 831 c.p.c., a nulla rilevando che il lodo contenga un'espressa pronuncia anche nei confronti di detto terzo). Sono naturalmente legittimati i successori a titolo universale o particolare del soccombente. Passivamente legittimato è, specularmente, il vincitore nel giudizio arbitrale. Si ritengono applicabili gli artt. 331 e 332 c.p.c. La competenza spetta alla corte d'appello nella cui circoscrizione si trova la sede dell'arbitrato. La competenza è funzionale e inderogabile riguardando un giudizio di secondo grado, sostanzialmente assimilabile all'appello, anche se «limitato» (Cass. civ.30 gennaio 1992, n. 952). Non trova applicazione il principio stabilito dall'art. 50, secondo il quale la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza dell'impugnazione: in particolare detta regola non opera quando l'impugnazione sia stata proposta ad un giudice incompetente per grado e, di conseguenza, non opera nell'ipotesi di proposizione al tribunale, invece che alla corte di appello, dell'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, atteso che i criteri di competenza di cui all'art. 828, comma 2, hanno come si diceva carattere funzionale, riguardando un giudizio di secondo grado avente natura di appello, anche se «limitato» (Cass. civ.12 giugno 1999, n. 5814; Cass. civ.21 febbraio 2011, n. 4159; Cass. civ.19 agosto 2013, n. 19182). Tuttavia, occorre oggi chiedersi se tale principio non si avvii ad essere anch'esso rivisto all'esito dell'affermazione secondo cui l'appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall'art. 341 c.p.c. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii (Cass. civ., Sez. Un., 14 settembre 2016, n. 18121). Alla citazione introduttiva del giudizio per nullità del lodo rituale si applica l'art. 163-bisc.p.c. sul termine a comparire, compresa la disposizione che prevede l'abbreviazione del termine (Cass. civ., Sez.Un., 14 ottobre 1998, n. 10155). Il perentorio termine per l'impugnazione (sottoposto a sospensione feriale: Cass. civ.6 giugno 1995, n. 6362) è quello «breve» di novanta giorni dalla notifica del lodo, ex art. 828 c.p.c., ovvero quello «lungo» di un anno (termine rimasto invariato pur dopo che la l. n. 69/2009 ha operato una generale riduzione a sei mesi del termine per l'impugnazione delle sentenze) dall'ultima sottoscrizione. La violazione del termine per l'impugnazione determina l'inammissibilità rilevabile d'ufficio (Cass. civ., Sez.Un., 24 aprile 1987, n. 3997). Il termine di novanta giorni stabilito dall'art. 828, comma 1, per l'impugnazione del lodo decorre dalla data della notifica del lodo medesimo ad istanza di parte, della quale non costituisce equipollente la comunicazione integrale, a cura degli arbitri, ancorché tale comunicazione sia eseguita (con forma più rigorosa di quella prevista della spedizione in plico raccomandato) mediante notificazione dell'ufficiale giudiziario (da ult. Cass. civ.19 agosto 2013, n. 19182; equipollente della notificazione del lodo è stata invece ritenuta l'impugnazione del medesimo erroneamente introdotto innanzi al tribunale: Cass. civ. 21 febbraio 2007, n. 4092). Quanto al destinatario della notificazione, per i fini del decorso del termine breve, oggi non v'è dubbio che la notificazione del lodo possa essere eseguita presso il difensore, come stabilito dall'art. 816-bis c.p.c. (la norma stabilisce che «il difensore può essere destinatario della comunicazione della notificazione del lodo e della notificazione della sua impugnazione», e sembra dunque suggerire che il difensore non sia il destinatario esclusivo della notificazione, ma lo sia in alternativa alla parte personalmente). Alterne vicende hanno riguardato la notificazione dell'impugnazione. La Suprema Corte escludeva in passato l'applicabilità dell'art. 330 c.p.c., laddove esso si riferisce alla notificazione dell'impugnazione presso il difensore, sulla considerazione che il rapporto tra la parte ed il suo difensore si svolge in sede di arbitrato su un piano strettamente contrattuale. Nondimeno si affermava che la notificazione dell'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, ancorché non soggetta alla disciplina dettata dall'art. 330 c.p.c., circa la notificazione al procuratore costituito, tenuto conto che il rapporto fra la parte ed il suo difensore, nel giudizio arbitrale, si svolge sul piano meramente contrattuale del mandato con rappresentanza, deve ritenersi validamente effettuata presso detto difensore, per il quale la ricezione dell'impugnazione rientra tra gli adempimenti che gli incombono per la definizione del giudizio arbitrale, ed in specie in base all'art. 141, comma 2, c.p.c. qualora il difensore medesimo abbia la qualità di domiciliatario della parte (Cass. civ.27 luglio 1990, n. 7597; Cass. civ.3 maggio 1999, n. 4397). Successivamente le Sezioni Unite hanno accolto il diverso orientamento secondo cui l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale deve essere notificata alla parte personalmente, non presso la persona che l'abbia difesa nel procedimento arbitrale, ancorché cumulando in detta sede la veste di domiciliataria, mentre resta al riguardo irrilevante che detto difensore sia un legale abilitato all'esercizio della professione, o sia anche munito di procura, sempre con elezione di domicilio, per la dichiarazione di esecutività del lodo o per l'intimazione del precetto ed il promovimento dell'esecuzione forzata, potendo l'elezione di domicilio riguardare la notificazione dell'impugnazione per nullità del lodo solo se contenuta nel compromesso o nella clausola compromissoria, in relazione alla riconducibilità di detta impugnazione al rapporto od affare per il quale si è concordato il ricorso ad arbitri, non anche quando sia accessoria all'incarico difensivo per il procedimento arbitrale o per i successivi momenti dell'esecutività ed esecuzione del lodo, atteso che, in queste ultime ipotesi, quella notificazione è atto estraneo ed esterno ai compiti del mandatario-domiciliatario, stante la diversificazione e la separazione del procedimento di formazione ed attuazione del lodo e del giudizio rivolto a denunciarne la nullità. Tuttavia, l'irrituale effettuazione della notificazione dell'impugnazione presso quel difensore, anziché alla parte personalmente, non implica, inesistenza, ma nullità della notificazione medesima, e, dunque, un vizio emendabile con effetto ex tunc (ed esclusione del verificarsi di decadenza per l'eventuale sopraggiungere della scadenza del termine d'impugnazione) con la costituzione del convenuto, ovvero, in difetto di tale costituzione, con la rinnovazione della notificazione medesima, cui la parte istante provveda spontaneamente od in esecuzione di ordine impartito dal giudice ai sensi dell'art. 291 (Cass. civ., Sez.Un., 3 marzo 2003, n. 3075). La legittimazione del difensore nel giudizio arbitrale a ricevere la notifica dell'impugnazione del lodo è oggi riconosciuta dall'art. 816-bisc.p.c. Tale legittimazione sembra essere concorrente con quella della parte. In caso di soccombenza reciproca, anche nel giudizio di impugnazione per nullità, il convenuto ha l'onere di proporre impugnazione incidentale (Cass. civ. 1° marzo 2012, n. 3229). Si applica infatti in proposito la disciplina dettata per l'impugnazione incidentale, che va proposta nelle forme e nei modi previsti dall'art. 343 (Cass. civ. 12 luglio 1990, n. 7214; Cass. civ. 7 febbraio 2001, n. 1731). Anche nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale è dunque applicabile il principio dell'unità del processo d'impugnazione secondo cui la proposizione dell'impugnazione principale determina, nei riguardi di tutti coloro cui il relativo atto venga notificato, l'onere, a pena di decadenza, di esercitare il proprio diritto di impugnazione nei modi e nei termini previsti per l'impugnazione incidentale, in applicazione della regola fondamentale della concentrazione delle impugnazioni contro la stessa sentenza (Cass. civ. 1° marzo 2012, n. 3229). La peculiare conformazione del giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale ha suscitato la questione se il giudice debba in tale sede fare applicazione della scansione temporale prevista nel giudizio di primo grado dall'art. 183 c.p.c. La parte impugnante, in particolare, sosteneva di avere diritto all'assegnazione dei termini da esso previsti per la formulazione di mezzi istruttori e, in particolare, per la deduzione di una prova testimoniale. È stato viceversa affermato che nell'ordinamento processuale vige il principio secondo cui innanzi al giudice adito con un mezzo di impugnazione si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti allo stesso, in quanto non derogate dalla specifica disciplina del mezzo d'impugnazione di cui si tratta. Ne consegue che al giudizio d'impugnazione del lodo davanti alla Corte d'appello, disciplinato dagli artt. 827 e ss. c.p.c., non si applica, né direttamente, né indirettamente, il regime delle preclusioni stabilito dall'art. 183 c.p.c., bensì il regime processuale proprio dell'appello, secondo cui le prove vanno chieste in sede di costituzione, a meno che non sia successiva la loro formazione o la produzione sia resa necessaria a ragione dello sviluppo del processo, risultando tale soluzione conforme al dettato dell'art. 830, comma 2, c.p.c. (la sentenza aveva ad oggetto una controversia soggetta all'applicazione della norma nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), che, con la locuzione «nuova istruzione», si riferisce ai mezzi di prova diversi da quelli del giudizio arbitrale, e non all'individuazione del momento preclusivo della loro deduzione (Cass. civ. 22 maggio 2013, n. 12544). Con riguardo al requisito della specificità dei motivi, la Suprema Corte richiama la disciplina non tanto dell'appello, quanto del ricorso per cassazione (Cass. civ. 20 febbraio 2004, n. 3383). Si dice cioè che nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale, che è giudizio a critica limitata, proponibile entro i limiti stabiliti dall'art. 829 c.p.c., trova applicazione la regola della specificità della formulazione dei motivi, in considerazione della natura rescindente di tale giudizio e del fatto che solo il rispetto di detta regola può consentire al giudice, ed alla parte convenuta, di verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi di impugnabilità stabiliti dall'art. 829, cit. Pur non essendo indispensabile che l'impugnazione contenga la specifica indicazione delle disposizioni di legge in tesi violate è necessario che dall'atto di impugnazione risulti quale sia stata la norma violata dagli arbitri ovvero il principio di diritto leso, atteso che tali oneri competono a colui che impugna il lodo. Non sono ammissibili motivi aggiunti (Cass. civ. 25 settembre 1984, n. 4820). Peraltro, qualora la parte, prospettando la violazione di più principii, non specifichi se i vizi denunziati afferiscano alla motivazione del lodo o alla violazione di norme di legge, lasciando al giudice dell'impugnazione di pronunziare sull'una e sull'altra, è necessario che questi esamini entrambi i profili e, ove ritenuta non ammissibile quella implicante un non consentito sindacato sulla motivazione in fatto del lodo, conduca la sua valutazione sulla denunziata violazione di legge (Cass. civ.15 marzo 2007, n. 6028). Nulla rileva di per sé che l'atto di impugnazione sia stato qualificato come atto di appello e sia stata richiesta non già la dichiarazione di nullità del lodo ma la sua riforma (Cass. civ.16 giugno 1997, n. 5370; Cass. civ. 21 agosto 1997, n. 7801; Cass. civ.17 luglio 1999, n. 7588; Cass. civ. 15 giugno 2000, n. 8165; Cass. civ.23 novembre 2000, n. 15136; Cass. civ. 18 gennaio 2001, n. 686). Si è già accennato al tema, e si è ricordato che Cass. civ. 1° luglio 2004, n. 12031 ha affermato doversi applicare, in caso di mancata comparizione alla prima udienza, l'art. 181 c.p.c. e non l'art. 348 c.p.c. Opposto il successivo responso secondo il quale l'arbitrato rituale ha natura giurisdizionale per cui l'impugnazione del lodo è soggetta alla disciplina e ai principi che regolano il giudizio di appello, in quanto compatibili. Ne consegue che, in caso di tardiva iscrizione a ruolo, l'impugnazione è improcedibile, trovando applicazione l'art. 348, comma 1, c.p.c. e non l'art. 171 c.p.c. (Cass. civ. 18 giugno 2014, n. 13898). Nello stesso senso è stato detto che nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale, si applicano gli istituti e le regole del processo ordinario di cognizione in appello, laddove manchi una disciplina specifica del mezzo d'impugnazione. Ne consegue che all'inerzia reiterata delle parti conseguono gli effetti previsti dalle norme processuali applicabili, risultando del tutto infondata la tesi secondo cui il giudizio di impugnazione del lodo, una volta che sia stato promosso, deve comunque proseguire, anche per effetto di impulso ufficioso, salva solo la rinuncia del ricorrente (Cass. civ. 22 maggio 2019, n. 13927). Anche nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale trova applicazione il principio, desumibile dall'art. 336, comma 1, c.p.c., secondo cui la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado ha effetto sulle parti dipendenti dalla parte riformata (cd. «effetto espansivo interno») e determina, pertanto, la caducazione del capo che ha statuito sulle spese di lite; ne consegue che il giudice di appello ha il potere-dovere di rinnovare totalmente, anche d'ufficio, il regolamento di tali spese, alla stregua dell'esito finale della causa (Cass. civ. 25 agosto 2017, n.20399). |