La collocazione temporale della pausa pranzo e le esigenze organizzative
02 Dicembre 2019
L'art. 51 del CCNL del settore ferroviario del 2012 stabilisce che "il lavoratore fruirà del pasto aziendale per ciascuna prestazione giornaliera ordinaria preventivamente programmata ed effettivamente resa, purché la prestazione programmata abbia una durata complessiva superiore alle 6 ore" (comma 1) e che "la fruizione del pasto […] dovrà essere programmata dall'azienda nelle fasce orarie 11.00-15.00 o 18.00-20.00" (comma 6).
Secondo il giudice del lavoro di Messina la norma contrattuale deve essere interpretata nel senso che al lavoratore è riconosciuto il diritto al pasto aziendale se la prestazione di lavoro supera le sei ore ma anche che il datore di lavoro non è obbligato a consentire il pasto aziendale alla scadenza delle 6 ore per cui può posticipare il pasto aziendale al termine dell'orario normale di lavoro che è di 7 ore e 30 minuti.
Secondo diversa opinione tale interpretazione è errata perché in contrasto con l'art. 8 del d.lgs. n. 66 del 2003, anche alla luce della Comunicazione interpretativa 24 maggio 2017, n. 2017/C165/01 della Commissione europea. Del resto, un siffatto ragionamento porterebbe in ipotesi il lavoratore dovere lavorare a digiuno anche per 13 ore al giorno (posto che ha diritto ad un riposo giornaliero di 11 ore consecutive) nell'ambito delle 40 ore settimanali sulla base di una articolazione su tre giorni lavorativi, senza la possibilità di ripristinare le sue energie psico-fisiche. Nel caso di specie, si tratta poi di un lavoratore addetto al monitoraggio continuo della circolazione dei treni sulla linea ferroviaria senza possibilità di sostituzione con altro lavoratore, peraltro nel settore dei trasporti ferroviari che richiede per la sua pericolosità una concentrazione massima.
L'interpretazione corretta potrebbe essere che il lavoratore ha diritto a reintegrare le sue energie lavorative dopo sei ore di lavoro consecutive per cui il pranzo aziendale deve essere fruito anche durante l'orario di lavoro (anziché al suo temine quale che sia) e che il datore di lavoro deve programmare la sua sostituzione.
Al fine di rispondere al quesito posto è fondamentale in primis tenere conto della normativa legislativa in materia. L'art. 8 d.lgs. n. 66 del 2003 dispone che “1. Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo. 2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, in difetto di disciplina collettiva che preveda un intervallo a qualsivoglia titolo attribuito, al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, tra l'inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti e la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.” Il CCNL applicato al caso di specie dispone all'art. 48, punto 6 individua una fascia oraria entro la quale la fruizione del pasto dovrà essere programmata dall'azienda (11.00-15.00 o 18.00-22.00), non anche che essa dovrà obbligatoriamente essere riconosciuta alla scadenza delle 6 ore di cui sopra. Sia il legislatore che le parti negoziali hanno infatti posto attenzione alle esigenze dell'organizzazione della singola attività datoriale, considerato che il medesimo art. 48 prefato prevede, al punto 8, che “A livello di contrattazione aziendale potranno essere definiti regimi diversi per la fruizione dei pasti aziendali.”. Tale disposizione consente sostanzialmente di adeguare la concessione delle dovute pause alla concreta situazione aziendale, onde evitare un irrigidimento della disciplina potenzialmente pregiudizievole per l'attività svolta dal datore. L'interpretazione del giudice di merito si ritiene, pertanto, non censurabile. |