Limiti alla prova testimoniale della transazione: la parola alle Sezioni Unite
03 Dicembre 2019
Il caso. Il tribunale di Taranto revocava il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una società per una somma a titolo di corrispettivo della vendita di uva, in accoglimento dall'opposizione proposta dalla società ingiunta, in assenza di adeguata prova a conforto del credito vantato in monitorio. La Corte d'appello di Lecce accoglieva l'appello e per l'effetto, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, rigettava l'opposizione, con ripristino del decreto ingiuntivo, ritenendo di qualificare la vicenda dedotta con l'atto di opposizione come rientrante nell'ambito di una transazione, di cui però non sussisteva in atti la prova scritta dell'accordo. Aggiungeva che la prova testimoniale assunta in primo grado sul punto doveva ritenersi irrilevante, perché riguardando la transazione, era consentita la sola dimostrazione con prova scritta.
Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione la società.
Primo orientamento. Il Collegio ricorda come nei casi in cui, in materia di transazione, l'atto scritto è richiesto ad probationem tantum, stante l'esigenza di salvaguardare il più possibile i positivi effetti della composizione della lite, la giurisprudenza ammette che l'accettazione stragiudiziale di essa possa essere operata dalla parte che non ha sottoscritto il contratto, ma occorre che questa manifesti, anche implicitamente, il consenso, attuando integralmente i relativi patti. Con la conseguenza che laddove venga articolata prova testimoniale a supporto dell'accordo transattivo, è principio generale, affermato più volte dalla Corte di legittimità, quello per cui «L'inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, quanto dall'esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell'ammissione del mezzo istruttorio; qualora, peraltro, nonostante l'eccezione d'inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all'atto, o alla notizia di esso, ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c., l'una eccezione, quella d'inammissibilità, non dovendo essere confusa con l'altra, quella di nullità, né potendo ad essa sovrapporsi, perché la prima eccezione opera ex ante, per impedire un atto invalido, mentre la seconda agisce ex post, per evitare che i suoi effetti si consolidino» (v. ex multis Cass. civ., 19 settembre 2013, n. 21443; Cass. civ., 30 marzo 2010, n. 7765; Cass. civ., 8 gennaio 2002, n. 144).
Secondo orientamento. Le ragioni addotte a sostegno di questo orientamento non sono condivise da Cass. civ., 14 agosto 2014, n. 17986 (condiviso da Cass. civ., 3 giugno 2015, n. 11479), che ha affermato il principio di diritto così massimato: «In tema di prova testimoniale, l'unitarietà della disciplina risultante dagli artt. 2725 c.c. e 2729 c.c. esclude l'esistenza di un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad probationem ovvero ad substantiam, sicché quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista, per un certo contratto, la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale (e quella per presunzioni) che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l'esistenza del contratto, è inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento».
La sentenza n. 17986/2014 si pone, peraltro, in evidente e consapevole contrasto con l'altro orientamento di legittimità inizialmente richiamato, di cui viene fatta un'espressa citazione.
Contrasto. Si tratta di un vero e proprio contrasto di giurisprudenza, che pone problemi di non poco conto che si intrecciano con i diversi argomenti posti a fondamento della soluzione negativa all'ammissibilità della prova per testi ed al regime di efficacia probatoria ad essa collegato, soprattutto quanto alla esistenza o meno di un diverso regime da ricondurre alla previsione legislativa di una forma scritta ad substantiam rispetto a quella ad probationem. Infatti alla questione della qualificazione, rilevante su di un piano classificatorio e descrittivo, si collega quella immediatamente conseguente sul piano logico della individuazione delle prove che possono essere richieste dalle parti ed ammesse dal giudice per l'accertamento della fattispecie conciliativa.
Attese, in definitiva, le difformità di pronunce delle sezioni semplici, nonché la particolare importanza delle questioni di massima da decidere, il Collegio ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. |