Quale natura per l'ordine di demolizione che promana dal giudice penale?

04 Dicembre 2019

La questione sottoposta al Supremo Collegio, attraverso l'impugnazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione, è quella della necessità di qualificazione dell'ordine di demolizione come sanzione penale, con conseguente applicazione ad essa del regime della prescrizione della pena ex art. 173 c.p., a fronte dell'intervenuto decorso di oltre cinque anni dall'adozione della sentenza di condanna.
Massima

La demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una 'pena' nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p.

Il caso

La Suprema Corte veniva investita di un ricorso avverso un'ordinanza adottata dal giudice dell'esecuzione che aveva rigettato la richiesta di annullare o revocare l'ingiunzione di demolizione disposta dalla Procura della Repubblica ed adottata in esecuzione dell'ordine di demolizione deliberato, nei confronti del ricorrente, con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile il 25.06.2011 e adottata in relazione ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b), 71, 72, 73, 75 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001.

La questione

La questione sottoposta al Supremo Collegio, attraverso l'impugnazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione, è quella della necessità di qualificazione dell'ordine di demolizione come sanzione penale, con conseguente applicazione ad essa del regime della prescrizione della pena ex art. 173 c.p., a fronte dell'intervenuto decorso di oltre cinque anni dall'adozione della sentenza di condanna.

L'ordine di demolizione adottato dal giudice penale con la sentenza che condanna per un abuso edilizio è qualificabile come una pena e, pertanto, è soggetto alla prescrizione?

La soluzione giuridica adottata dalla Suprema Corte nel caso di specie è negativa; la Corte, infatti, dichiara inammissibile il ricorso a causa della sua manifesta infondatezza e, nella motivazione del provvedimento, rigetta apertamente la qualificazione dell'ordine di demolizione come sanzione penale accogliendo l'unanime tesi giurisprudenziale che in esso vede una sanzione amministrativa.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione giuridica nel caso di specie è quella rinvenibile nella costante giurisprudenza della Suprema Corte. La sentenza in commento, d'altronde, riprende in motivazione le argomentazioni già sostenute in un precedente arresto giurisprudenziale (Cass., Sez. III, 10 novembre 2015, n. 49331, Delorier, in C.E.D. Cass., n. 265540) che ha affrontato la problematica con diffusa argomentazione.

Secondo l'orientamento in questione, un'articolata disamina della disciplina di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 condurrebbe ad affermare che la demolizione dell'abuso edilizio è stata concepita dal legislatore come «un'attività avente finalità ripristinatorie dell'originario assetto del territorio imposta all'autorità amministrativa, la quale deve provvedervi direttamente nei casi previsti dall'art. 27, comma 2 del TUE o attraverso la procedura di ingiunzione». Viene valorizzato, insomma, il fatto che la sanzione, in questo caso, prescinde dalla sussistenza di un danno e dall'elemento psicologico del responsabile, essendo applicabile anche in caso di violazioni incolpevoli; è rivolta non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed agli enti di fatto; è trasmissibile nei confronti degli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (a conferma di ciò la sentenza in commento cita, quali precedenti, Cons. di Stato, Sez. IV,12 aprile 2011, n. 2266; Cons. di Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6554; Cass., Sez. III, 22 ottobre 2009, n. 48925, Viesti, in C.E.D. Cass., n. 245918).

Le motivazioni poste dalla giurisprudenza a sostegno della natura di sanzione amministrativa dell'ordine di demolizione sono varie.

Viene posta in risalto, innanzitutto, l'autonomia, rispetto all'esito del giudizio penale, dei provvedimenti finalizzati alla demolizione dell'immobile abusivo adottati dall'autorità amministrativa. L'ordine di demolizione del giudice penale, previsto dall'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, viene, poi, valutato come in continuità normativa con il previgente art. 7 legge n. 47 del 1985 (in questo senso viene richiamata Cass., Sez. III, 29 maggio 2003, n. 32211, Di Bartolo, in C.E.D. Cass., n. 225548); esso è considerato, inoltre, atto dovuto da parte del giudice penale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (in questo senso è richiamata Cass., Sez. III, 22 settembre 2016, n. 55295, Fontana, in C.E.D. Cass., n. 268844).

Sulla base di queste premesse, il costante orientamento giurisprudenziale conclude nel senso che l'ordine di demolizione integra una sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, impone un obbligo di fare dipendente da ragioni di tutela del territorio ed ha carattere reale; la demolizione, in buona sostanza, tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta, nella sua essenza, a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge.

A sostegno di questa conclusione si osserva come, secondo la costante giurisprudenza, l'ordine giudiziale di demolizione possa essere revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso qualora esso risulti incompatibile con un provvedimento adottato dall'autorità amministrativa, anche in caso di passaggio in giudicato della sentenza (viene fatto riferimento a Cass., Sez. III, 21 ottobre 2014, n. 47402, Chisci, in C.E.D. Cass., n. 260972; Cass., Sez. III, 21 novembre 2012, n. 3456, Oliva, in C.E.D. Cass., n. 254426; Cass., Sez. III, 18 gennaio 2012,n. 25212, Maffia, in C.E.D. Cass., n. 253050; Cass., Sez. III, 30 aprile 1992, n. 73, Rizzo, in C.E.D. Cass., n. 190604; Cass., Sez. III, 12 febbraio 1990, n. 3895, Migno, in C.E.D. Cass., n. 183768).

Secondo la giurisprudenza, le conseguenze della qualificazione come sanzione amministrativa non pecuniaria dell'ordine in parola sono ovvie, soprattutto con riferimento all'estinzione dell'ordine stesso per il decorso del tempo.

Da un lato, infatti, non trattandosi di sanzione penale ma di sanzione amministrativa diversa da quella pecuniaria, l'ordine impartito dal giudice non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall'art. 28 legge n. 689 del 1981, relativa alle sole sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (a sostegno di tale conclusione la sentenza cita Cass., Sez. III, 7 luglio 2015, n. 36387, Formisano, in C.E.D. Cass., n. 264736; Cass., Sez. III, 18 febbraio 2003, n. 16537, Filippi, in C.E.D. Cass., n. 227176). D'altro lato, la natura di sanzione amministrativa e non penale dell'ordine di demolizione ne impedisce l'estinzione per decorso del tempo ai sensi dell'art.173 c.p., riferendosi tale disposizione alle sole pene principali (a sostegno di tale conclusione la sentenza cita Cass., Sez. III, 7 luglio 2015, n. 36387, Formisano, in C.E.D. Cass., n. 264736; Cass., Sez. III, 14 aprile 2011, Mercurio e altro, n. 19742, in C.E.D. Cass., n. 250336; Cass., Sez. III, 10 novembre 2010, n. 43006, La Mela, in C.E.D. Cass., n. 248670; Cass., Sez. III, 30 aprile 2003, n. 39705, Pasquale, in C.E.D. Cass., n. 226573).

È da rilevare, infine, che il provvedimento in commento, aderendo all'orientamento giurisprudenziale guidato dalla sentenza per prima citata (Cass., Sez. III, 10 novembre 2015, n. 49331, Delorier, in C.E.D. Cass., n. 265540, alla quale fa eco Cass., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 41475, Porcu, in C.E.D. Cass., n. 267977), esclude che la catalogazione dell'ordine di demolizione tra le sanzioni amministrative entri in contrasto con la definizione di “pena” offerta dalla giurisprudenza della Corte EDU, della quale, anzi, essa sarebbe pienamente rispettosa, con conseguente impossibilità di considerare l'ordine de quo soggetto agli effetti del decorso del tempo di cui all'art. 173 c.p.

Osservazioni

Riteniamo, in premessa, che l'impostazione seguita dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l'ordine di demolizione dell'opera abusivamente eseguita abbia natura di sanzione amministrativa e, come tale, non sia soggetta a prescrizione, presti il fianco ad alcune critiche determinate dall'attuale quadro costituzionale e sovranazionale. Ed infatti, ritenere sanzione amministrativa la demolizione dell'opera solo perché tale è la sua formale qualificazione giuridica o l'etichetta che da sempre la giurisprudenza le ha attribuito è soluzione che, nonostante il seguito avuto, non persuade a fondo. In questo contesto, infatti, sono da ritenersi di pregio giuridico le considerazioni svolte in sede di merito, sicuramente convincenti in ottica sistematica (il riferimento va a Trib. Asti, ord. 3 novembre 2014, in www.archiviopenale.it, annullata proprio dalla sentenza citata più volte nel provvedimento in commento, Cass., Sez. III, 10 novembre 2015, n. 49331, Delorier, in C.E.D. Cass., n. 265540).

La qualificazione dell'ordine di demolizione come sanzione amministrativa si scontra, infatti, con i principi da tempo affermati dalla Corte EDU sin dalla nota sentenza Engel c. Paesi Bassi (C.E.D.U., 8 giugno 1976, Engel e altri c/ Paesi Bassi, in www.echr.org). L'attuale previsione di cui all'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 (nella sostanza rievocativa di quelle delle precedenti leggi edilizie e urbanistiche, a cominciare dalla legge 28 febbraio 1985, n. 45), secondo cui, «per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita», introduce, d'altronde, una pena a tutti gli effetti. Questo perché il concetto di pena, secondo l'art. 7 C.E.D.U., così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, è più ampio rispetto alla formale qualificazione operata dal diritto interno e riguarda qualsiasi misura che possa obiettivamente considerarsi tale. L'individuazione della natura di pena, infatti, dovrebbe effettuarsi attraverso tre criteri indipendenti o alternativi tra loro (dunque, non necessariamente cumulativi), ovvero: la qualificazione operata dal diritto interno (avente comunque carattere non dirimente), la natura del provvedimento che la infligge e la gravita della sanzione.

Ebbene, come osservato proprio dalla citata giurisprudenza di merito e da parte della dottrina, sotto molteplici aspetti nell'ordine di demolizione de quo sono rinvenibili certamente due dei predetti criteri. Infatti, l'ordine di demolizione:

- è pertinente all'accertamento del fatto di reato. L'organo amministrativo può ordinare la demolizione in via amministrativa e, in tal caso, l'ordine può essere impugnato nanti l'autorità giudiziaria competente, formando il mero oggetto di un provvedimento amministrativo; quando, invece, l'ordine di demolizione è impartito dal giudice penale, esso consegue necessariamente all'accertamento positivo, anche implicito (cfr. il caso della sentenza di applicazione della pena), del fatto di reato. D'altronde, l'ordine de quo può essere inflitto dal giudice penale solo in caso di sentenza di condanna o di applicazione pena (che è alla prima equiparata), ma non, ad esempio, in presenza di una dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione;

- è pronunciato solo se il fatto viene accertato nei confronti dell'imputato: se, invero, venisse pronunciata una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto – che presuppone, comunque, il positivo accertamento del reato – il giudice penale non potrebbe ordinare la demolizione; così come non potrebbe in presenza di una sentenza di estinzione del reato per prescrizione o per morte del reo; e quand'anche tali sentenze venissero pronunciate in grado d'appello dopo una condanna in primo grado, l'ordine dovrebbe essere revocato (essendo postulata una sentenza irrevocabile di condanna e non un mero accertamento);

- è emesso dall'autorità giurisdizionale che accerta il fatto di reato in seno al medesimo procedimento penale volto ad accertarlo; ciò, inevitabilmente, caratterizza come penale la sanzione in questione, considerato che il giudice penale può infliggerla solo, come si è detto supra, in presenza di una sentenza di condanna o di applicazione della pena;

- è eseguito dietro disposizioni e sotto il coordinamento del pubblico ministero, senza che la relativa attività diventi onere per l'Amministrazione allorquando sia stato il giudice penale a disporla: ciò che rende la misura differente rispetto a quella, pure di identico contenuto, disposta in sede amministrativa e identica, invece, rispetto all'esecuzione della pena;

- è sanzione di rilevante gravità e dalla finalità spiccatamente repressiva, senza che rilevi, per non considerarla sanzione penale, l'esistenza di altre diverse finalità. Se è vero che la demolizione, in generale, ha funzione ripristinatoria del corretto assetto territoriale violato dall'abuso edilizio, è altrettanto vero, però, che allorquando sia il giudice penale ad ordinarla essa ha funzione repressiva: se, infatti, quella ripristinatoria fosse la connaturata ed esclusiva funzione della demolizione, il giudice penale dovrebbe poterla ordinare in presenza di un mero accertamento del fatto e non solo in conseguenza di una sentenza di condanna o di una pronuncia a questa equiparata (quella ex art. 444 e ss. c.p.p.).

Né, come argomento contrario, può affermarsi che la natura di sanzione amministrativa debba ricavarsi dalla revocabilità dell'ordine di demolizione in presenza di provvedimenti amministrativi di tenore diverso o nel caso in cui lo richieda la tutela di “prevalenti interessi pubblici”.

Quanto alla prima ipotesi (esistenza di un provvedimento amministrativo di segno contrario), d'altronde, essa rappresenta una possibilità ammessa dalla giurisprudenza (ex plurimis cfr. Cass., sez. III, 21 ottobre 2014, n. 47402, in C.E.D. Cass., n. 260972) ma priva di qualsiasi referente normativo, con la conseguenza che, più che una caratteristica intrinseca della misura, la retrattabilità de qua pare essere esclusivamente un rimedio di origine pretoria. Ragionevole, condivisibile, ma pur sempre di matrice giurisprudenziale.

L'art. 45, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, d'altronde, accorda al rilascio in sanatoria del permesso di costruire il valore di causa di estinzione dei «reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti»; questa, però, è l'unica rilevanza normativamente riconosciuta alla sanatoria in riferimento agli aspetti penali della vicenda ed è naturalmente condizionata all'intervento della sanatoria prima del passaggio in giudicato della sentenza. Pertanto, una sanatoria successiva all'irrevocabilità della sentenza ha effetti impeditivi della demolizione nella sola misura in cui la giurisprudenza ha deciso di accordarli, non anche per previsione normativa.

Quanto alla seconda ipotesi (esistenza di “prevalenti interessi pubblici”), spesso richiamata dalla giurisprudenza anch'essa quale dimostrazione di una retrattabilità incompatibile con la natura penale della sanzione, deve rilevarsi come la previsione normativa di cui all'art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, contempli la possibilità di non ricorrere alla demolizione «salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico».

Stando, però, all'esordio della disposizione, l'ambito di operatività della stessa deve limitarsi al caso di un'«opera acquisita» al patrimonio comunale, ovvero all'ipotesi in cui il responsabile di un abuso non abbia provveduto «alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione» effettuata dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale, con la conseguenza che «il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune».

In sostanza, la retrattabilità dell'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, è deroga all'ordine di demolizione impartito in via amministrativa ed è applicabile al solo caso di previa acquisizione al patrimonio comunale: contrariamente a quanto affermato dalla prevalente giurisprudenza, essa, dunque, non vale quale ipotesi di retrattabilità della demolizione ordinata dal giudice penale, e perciò non rappresenta affatto un vulnus alla teoria che vede la sanzione inflitta da tale autorità come una vera e propria sanzione penale.

Peraltro, alla luce di quanto finora osservato, non può certo concludersi, come fa la costante giurisprudenza, per l'assenza, nell'ordine di demolizione, delle caratteristiche della pena. E sono proprio tali caratteristiche a ricondurre l'ordine in questione nell'alveo dell'art. 7 C.E.D.U.: con la conseguenza che attribuire lo status di sanzione amministrativa alla misura de qua comporta un'evidente violazione di tale disposizione convenzionale. Le previsioni della C.E.D.U. in materia, d'altronde, sono da ritenersi direttamente applicabili in ragione del necessario rispetto della C.E.D.U. imposto dall'art. 6 T.U.E., anche attraverso il richiamo vincolante fatto dal predetto art. 6 alla Carta dei diritti dell'Unione, pena, peraltro, la violazione dell'art. 117 Cost.

La natura certamente afflittiva della misura e il fatto che essa sia irrogata dal giudice penale solo in caso di condanna (o di applicazione della pena) vale, dunque, a caratterizzare la stessa come pena e non come mera “sanzione amministrativa di tipo ablatorio caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo al quale l'applicazione è attribuita” (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 10 dicembre 2002, n. 6776, in Riv. Giur. Edil., 2003, I, p. 1094); il fatto che, poi, essa assolva ad una funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, imponga un obbligo di fare che risponde anche a ragioni di tutela del territorio ed abbia carattere reale, non ne muta radicalmente la natura di sanzione penale. È vero, d'altronde, che la demolizione tende alla riparazione effettiva di un danno ma non può certo negarsi che, contemporaneamente, essa abbia anche la funzione di punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge aventi rilevanza penale.

Di più: se fosse una sanzione amministrativa, la demolizione in questione dovrebbe essere inflitta anche in assenza di condanna, bastando il mero accertamento del fatto; se quest'ultimo, secondo la prevalente giurisprudenza, può giustificare la confisca in caso di lottizzazione abusiva (orientamento giurisprudenziale che noi, peraltro, avversiamo), a maggior ragione dovrebbe valere per la demolizione. Senonché il legislatore ha previsto che la demolizione possa essere disposta, ai sensi dell'art. 31 d.P.R. n. 44 del 2001, «con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44», mentre per la confisca è necessaria, ai sensi dell'art. 44, comma 2, stesso d.P.R., la «sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva». Insomma: se la pena, per essere tale, esige una sentenza di condanna, per quale ragione l'ordine di demolizione, che di una condanna non può fare a meno, dovrebbe essere considerato una sanzione amministrativa?

Non si dimentichi d'altronde che la demolizione ordinata dall'organo amministrativo prescinde dall'accertamento della responsabilità dell'illecito (così, ex pluribus, Cons. Stato, Sez. VI, 30 maggio 2011, n. 3206) mentre quella disposta dal giudice penale consegue solo all'accertamento di tale responsabilità, non del mero abuso: un'eventuale assoluzione perché il fatto non costituisce reato (rara in ambito contravvenzionale ma a priori non escludibile) sarebbe ostativa, infatti, all'ordine di demolizione pur avendo il giudice accertato l'illegittimità di quanto realizzato. E cosa consegue alla sola affermazione di responsabilità penale se non la pena?

Né può giovare a porre l'ordine di demolizione impartito dal giudice sullo stesso piano di quello disposto dall'autorità amministrativa (con ciò considerandolo a tutti gli effetti sanzione amministrativa) il fatto che, normativamente, il potere giudiziale di disporre l'ordine sorga se la demolizione «ancora non sia stata altrimenti eseguita». Tale condizione, infatti, non è legata all'omissione dell'ordine da parte dell'organo amministrativo preposto (ciò che renderebbe il potere residuale o sostitutivo), bensì alla sua mancata esecuzione e vale esclusivamente ad indicare il caso in cui il provvedimento giudiziale può essere emesso, considerato che, qualora l'immobile fosse stato già demolito, l'ordine sarebbe inutiliter datum.

Allo stesso modo – è il caso di ribadirlo – il fatto che l'ordine di demolizione sia suscettibile di revoca da parte del giudice penale allorquando divenga incompatibile con provvedimenti amministrativi di diverso tenore (Cass., Sez. III, 21 ottobre 2014, Chisci, in C.E.D. Cass., n. 260972), non vale a renderlo incompatibile con la pena, caratterizzata, sotto questo aspetto, da intangibilità. In realtà, la sanzione penale è soggetta pur essa a vicende estintive (cfr., ad esempio, il caso dell'indulto): nel caso di specie, semplicemente, le plurime finalità dell'ordine di demolizione lo rendono cedevole rispetto ad un provvedimento di sanatoria, che si pone in termini di incompatibilità con la sanzione inflitta dal giudice penale, con conseguente revoca di quest'ultima.

Ciò posto, se l'ordine di demolizione per la sua funzione preventiva e repressiva è da considerarsi una pena, come tale esso non può ritenersi escluso dalla portata dell'art. 173 c.p., che stabilisce, in relazione alle contravvenzioni, la prescrizione della pena dell'arresto decorsi 5 anni dal giorno dell'intervenuta irrevocabilità della sentenza. Anzi, la giurisprudenza di merito si è spinta sino ad affermare che, quand'anche la natura intrinsecamente di pena venisse negata, la disposizione in esame meriterebbe pur sempre di essere applicata all'ordine di demolizione; sul punto, infatti, non potrebbe essere ostativo il divieto di analogia di cui all'art. 14 delle preleggi, considerato che esso non può intendersi riferito alle disposizioni di favore; e nemmeno l'ipotetica natura di norma eccezionale e non generale dell'art. 173 c.p., nella misura in cui essa non si applica, per espressa previsione di legge, anche alle pene accessorie ma solo alle pene principali.

In assenza di una diversa previsione legislativa, infatti, stando al disposto di cui all'art. 20 c.p. si può ritenere che la demolizione sia da considerarsi pena principale: la disposizione citata, infatti, stabilisce che «le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa» e la circostanza che, a mente dell'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, «il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse» vale a caratterizzare la demolizione come pena principale, altrimenti essa conseguirebbe alla condanna in assenza di specifico ordine in tal senso.

Pertanto, dovendo la demolizione inflitta dal giudice penale essere considerata una vera e propria sanzione penale e mancando un espresso richiamo ad essa nel citato art. 173 c.p. senza che si rinvenga un'altra disposizione che disciplini diversamente la prescrizione per il caso della demolizione, si è in presenza di una lacuna legislativa: consegue a ciò che la comune natura penale delle sanzioni imponga di ritenere la disciplina della citata disposizione codicistica riferibile e riferita, per analogia, anche all'ordine di demolizione de quo. D'altronde, una volta correttamente inquadrata come sanzione penale, anche nei confronti della demolizione viene in evidenza quell'interesse individuale all'oblio che si pone a fondamento dell'istituto della prescrizione della pena.

In conclusione, le considerazioni espresse costituiscono sicuramente una ricostruzione in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale vigente, ma appaiono ben più garantiste e, soprattutto, rispettose del quadro sovranazionale; considerato che i giudici, si sa, sono «soggetti soltanto alla legge» e non certo all'interpretazione prevalente in giurisprudenza, è sempre il caso che chiavi ermeneutiche nuove – debitamente giustificate – siano proposte. E quella esposta ci pare una di queste.

Guida all'approfondimento

ALBAMONTE, Demolizione dell'opera abusiva e poteri del giudice penale, in Cass. pen., 1988, p. 427 e ss.

BUCCHI SIENA, Strasburgo chiama, Asti risponde: l'ordine di demolizione è una pena e si prescrive, in www.archiviopenale.it

NOVARESE, Sulla natura giuridica della demolizione e della costruzione abusiva ordinata dal giudice se non altrimenti eseguita, in Riv. giur. ed., 1990, II, p. 228 e ss.

TANDA, Le conseguenze della natura giuridica di sanzione amministrativa dell'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, t.u.e., in Riv. giur. ed., 2016, f. III, p. 307 e ss.

TANDA, I reati urbanistico-edilizi, Cedam, 2019

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