Brevi spunti su concordato in continuità, aumento di capitale da parte del terzo ed esclusione del diritto d'opzione

04 Dicembre 2019

In tempi recenti, la prassi professionale evidenzia l'utilizzo del seguente schema per programmare concordati preventivi fondati sulla prosecuzione dell'attività aziendale: la soddisfazione dei debiti concordatari, all'esito dell'omologazione definitiva del concordato, avviene mediante l'erogazione di un'importante somma da parte di un soggetto terzo.
Premessa

In tempi recenti, la prassi professionale evidenzia l'utilizzo del seguente schema per programmare concordati preventivi fondati sulla prosecuzione dell'attività aziendale: la soddisfazione dei debiti concordatari, all'esito dell'omologazione definitiva del concordato, avviene mediante l'erogazione di un'importante somma da parte di un soggetto terzo.

Tale importo trova la propria fonte genetica nell'aumento di capitale sociale cui il terzo concorre, tipicamente condizionandolo all'avverarsi di alcune condizioni, su tutte:

  • l'esito positivo (ad insindacabile giudizio del terzo), di una complessa ed articolata attività di due diligence (contabile, fiscale, ecc.);
  • l'intervenuta definitiva omologa del concordato preventivo sulla base di una proposta di concordato che preveda ed autorizzi l'operazione di aumento di capitale da parte del terzo.

In altre parole, il soggetto terzo, all'avverarsi delle predette condizioni, sottoscrive e libera l'aumento di capitale del soggetto proponente fornendo le risorse necessarie a dare completa soddisfazione della proposta di concordato, così garantendo il pagamento pressoché immediato dei creditori secondo gli specifici termini della proposta (considerati i tempi tecnici necessari per organizzare il piano di riparto, l'esecuzione del piano tipicamente si attesta sui nove/dodici mesi dall'auspicata omologa).

Ictu oculi, trattasi di assetti in base ai quali il concordato si rivela non solo oggettivamente fattibile, ma anche vantaggioso, posti i tempi estremamente brevi del riparto, diversamente da quanto si potrebbe realizzare in ipotesi fallimentare, la quale solitamente richiede tempi "dilatati".

Sull'applicabilità dell'art. 163-bis l.fall. e sulla portata sistematica dell'art. 163, comma 5, l.fall.

Tanto premesso, vale la pena chiedersi se alla fattispecie in esame risulti applicabile la normativa relativa alle offerte concorrenti e segnatamente la procedura competitiva prevista dall'art. 163-bis L.F., rimarcando che in questo caso la società debitrice prevede non cessioni di beni o di rami di azienda, bensì il concordato in continuità diretta mediante il coinvolgimento di nuovi soci nella compagine sociale.

Si tratta di comprendere, quindi, se l'obiettivo perseguito dall'art. 163-bis L.F., ossia l'esigenza di ottenere la massima recovery da parte dei creditori tramite il divieto di predisporre “proposte chiuse”, possa condizionare non solo le proposte in cui i singoli beni (o rami aziendali) della società siano destinati ad un potenziale acquirente individuato, ma anche ogni schema che preveda, direttamente o indirettamente, l'assunzione del valore economico dell'azienda in crisi da parte di un terzo (la ratio della modifica normativa è chiarita nella Relazione d'accompagnamento al decreto legge n. 83 del 2015, ove si afferma che l'introduzione delle nuove disposizioni era volta ad “…offrire ai creditori strumenti per impedire al debitore di presentare proposte che non rispecchino il reale valore dell'azienda (appropriandosi del surplus di ristrutturazione)”).

In realtà, pare ragionevole affermare che una lettura sistematica delle disposizioni introdotte dal d.l. 83/2015 (ed in specie il nuovo testo dell'art. 163, congiuntamente alla norma in esame), nonché la sempre maggiore attenzione attribuita dalla normativa fallimentare all'obiettivo di salvaguardare la continuità d'impresa, possa portare a circoscrivere l'applicabilità dell'art. 163-bis L.F. secondo il suo stretto contenuto letterale.

Ne deriva che non ogni percorso concordatario conduce all'attivazione degli stringenti meccanismi dettati dall'art. 163-bis L.F.: questi, infatti, si innescano solo in presenza delle fattispecie espressamente recate nella norma, tanto che, secondo la giurisprudenza di merito largamente prevalente, pure il concordato con assunzione – che per definizione comporta l'ingresso di nuovi soggetti nel possesso degli asset aziendali – esclude l'applicazione dei meccanismi di contendibilità previsti dalla norma citata (secondo il Tribunale Milano, 15 giugno 2017, il concordato con assuntore “non comporta la sottoposizione della acquisizione del patrimonio a procedure competitive di cui al 163-bis e/o al 182 l.f. ispirate alla logica di cui agli artt. 107 e ss l.f., poiché si reputa che tale effetto di legge sia escluso concettualmente dalla figura dell'assuntore che non si limita ad acquistare il patrimonio ad un determinato corrispettivo, ma diviene il successore e sostituto del debitore liberato, assumendone, quindi, non solo la posizione attiva ma anche quella passiva (condizione che non è equiparabile a quella di nessun acquirente di beni all'interno della legge fallimentare)”; nello stesso senso si veda inoltre, ex multis: Trib. Milano, 13 dicembre 2018; Trib. Monza, 31 ottobre 2018; Trib. Forlì, 25 febbraio 2019; mentre in senso contrario, ma probabilmente anche in relazione alle tipicità della fattispecie oggetto della pronuncia, Trib Torino, 19 giugno 2018).

Ancora, l'applicabilità della disposizione de qua è stata esclusa in ulteriori, peculiari situazioni anche da altri Tribunali (cfr. Trib. Bergamo, 23 dicembre 2015, in tema di affitto di ramo d'azienda; Trib. Roma, 19 maggio 2017, sempre in tema di affitto d'azienda; Trib. Roma, 3 agosto 2017, in tema di cessione d'azienda; Trib. Torre Annunziata, 29 luglio 2016, in tema di conferimento di azienda).

A noi pare che il banco di prova più rilevante su cui spendere la riflessione in materia sia costituito proprio dalle operazioni di aumento del capitale riservate a terzi con esclusione del diritto di opzione, situazioni nelle quali gli asset aziendali non vengono giuridicamente trasferiti, anche se nel possesso delle quote sociali viene immesso un soggetto nuovo.

Ebbene, in tempi recentissimi, Trib. Roma, 5 agosto 2019 (in https://www.osservatorio-oci.org/), si è trovato a giudicare un articolato e complesso piano di concordato preventivo in continuità che prevede, inter alia, l'operazione in parola. Cristallino il principio giuridico fissato dall'autorevole Tribunale di merito, volto ad escludere nell'ipotesi de qua l'applicazione dell'art. 163-bis, sulla scorta di elementi sistematici e letterali.

Giova riportare estesamente le argomentazioni del richiamato decreto, stante la chiarezza: “non v'è dubbio che sul piano giuridico le distinte ipotesi della cessione dell'azienda e del trasferimento delle azioni o delle quote della società che dell'azienda stessa è titolare non sono in alcun modo sovrapponibili e non devono essere confuse tra loro né sul piano logico-giuridico, né sul piano della struttura e del trattamento che sono destinate a ricevere nell'ambito del concordato preventivo e più in generale delle procedure concorsuali. La prima attiene alla liquidazione degli assets che appartengono all'impresa e ne compongono il patrimonio, e che nel concordato preventivo è assoggettata alle regole volte a garantire, nel rispetto del principio della responsabilità patrimoniale, la garanzia generica dei creditori. L'ambito di operatività dell'art. 163-bis l. fall. è circoscritto alla tutela dei creditori a mezzo del patrimonio dell'impresa, che è a sua volta l'oggetto della procedura di concordato. La seconda ipotesi invece si pone e svolge “a monte” e su un piano diverso rispetto a quello relativo al patrimonio dell'impresa, mediante operazioni sul capitale delle società di appartenenza dei soci e che solo indirettamente ed atecnicamente possono aver riflessi sul sottostante patrimonio, come reso evidente dal fatto che il negozio dismissivo relativo al capitale non è svolto dalla società, ma dai soci cui appartengono le quote o le azioni. E così mentre la prima ipotesi attiene chiaramente al “trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell'azienda” o ad “un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell'azienda (art. 163 bis l.f.), la seconda, proprio perché non riferibile a beni o aziende che costituiscono il patrimonio dell'impresa non è certamente assoggettabile a procedura competitiva”.

Il Collegio romano così (condivisibilmente) conclude: “estenderne la previsione (dell'art. 163-bis L.F., n.d.a.) all'intervento di soggetto terzo rispetto alla proponente che offra di acquisire il controllo mediante la sottoscrizione di una quota nell'ambito di un aumento di capitale non solo non rispetterebbe il riferimento al contratto stipulato dall'imprenditore (ma casomai stipulato dai soci) e al trasferimento dell'azienda in quanto tale, ma travalicherebbe la stessa natura e si confonderebbe i due piani concettuali e sistematici del tutto estranei tra loro, con effetti e risvolti del tutto imprevedibili nei singoli casi. L'estensione degli effetti dell'art. 163-bis l. fall. all'ipotesi in esame comporterebbe un'applicazione analogica, che non pare legittima non solo per la più volte menzionata diversità nell'ambito applicativo, ma anche perché comunque la liquidazione concorsuale costituisce un'ipotesi eccezionale rispetto alla generale libertà negoziale propria dei soci”.

Non solo: i profili giuridici dell'aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, riguardanti l'ambito delle procedure di concordato, sono già stati autorevolmente esaminati dal Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze Pistoia e Pratoche sul tema ha emanato la massima n. 58, intitolata “Aumento di capitale nel concordato preventivo a seguito del d.l. n. 83/2015”.

Il documento analizza tale istituto alla luce delle modifiche normative apportate dal d.l. n. 83/2015 (convertito con l. n. 132/2015), che, come noto, ha modificato gli artt. 163 e 163-bis ai fini di stimolare la concorrenza nell'ambito dei concordati.

In premessa, va rimarcato che proprio il Legislatore del 2015, nell'introdurre l'art. 163-bis L.F., ha al contempo previsto, in altra e contigua disposizione, la fattispecie del concordato con l'ingresso nella compagine societaria di un nuovo investitore terzo: in tal caso, senza l'attivazione dei meccanismi di evidenza pubblica. Infatti, quando il debitore è costituito secondo la forma di società di capitali, è consentita una completa ristrutturazione finanziaria, basata sull'emissione di nuove azioni o quote, con esclusione del diritto d'opzione; ciò, a mente dell'art. 163, co. 5, ultimo periodo, secondo il quale “La proposta [di concordato] può prevedere l'intervento di terzi e, se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, può prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d'opzione” (sull'art. 163 L.F. si vedano, ex multis e senza pretesa di esaustività, G. D'Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, 1163 ss. ed in specie 1169 e nota 16, ove sin dall'entrata in vigore della disciplina de qua l'Autore ipotizza che “la novità normativa consenta una rimeditazione più generale del rapporto tra procedure concorsuali e partecipazioni sociali, potendosi forse addivenire – per via interpretativa – all'affermazione di soluzioni analoghe … anche in altre fattispecie (proposte di concordato presentate dal debitore e proposte di concordato fallimentare)”; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, in Fallimenti e Società, 15 dicembre 2015, 15 ss. il quale pure intravede una lettura della disposizione idonea a superare il rigido dettato letterale; P. Vella, La contendibilità dell'azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, in www.ilcaso.it, 2 febbraio 2016; A. Ippolito, Proposte concordatarie concorrenti e aumento di capitale, in Fallimento, 2019, 327 ss.; A. Rossi, Il difficile avvio delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, in Fallimento, 2019, 87 ss.).

La norma da ultima richiamata, seppur di portata generale, è da intendersi ispirata alla proposta concorrente presentata dai creditori. Nel nuovo quadro dei poteri dei creditori, la previsione appena citata mira ad evitare che, attraverso la sottoscrizione di percentuali minime di capitale da parte dei soci attuali (che dovrebbero farlo versando in denaro, ma ai quali nulla vieta di esercitare il diritto d'opzione solo parzialmente o in misura minimale ove sia stato ad essi concesso), venga scoraggiata la creazione di un nuovo assetto proprietario basato sull'assunzione di una partecipazione totalitaria da parte del creditore proponente. D'altro canto, la portata dell'art. 163 e dell'art. 163-bis può essere meglio compresa con un semplice esempio: se l'imprenditore presenta un piano recante la vendita di asset e quindi soggetto alla piena applicazione dei meccanismi competitivi, potrebbe tuttavia intervenire un creditore al 10%, presentando una proposta con aumento di capitale senza diritto di opzione, così da acquisire la società (i.e., tutto il patrimonio) e sottrarre lo stesso patrimonio ai meccanismi competitivi previsti dalla proposta del debitore. Infatti, la proposta del creditore va votata e se i creditori la preferiscono ed approvano, la struttura del concordato dovrà poggiare sulla stessa. Così, registrandosi la prevalenza dell'art. 163 L.F. sul principio fissato dal contiguo 163-bis. Ciò, del resto, pare in linea con la ratio che valorizza i “nuovi investimenti” per assicurare la continuità d'impresa (peraltro, per un esauriente e sistematico inquadramento delle disposizioni recate, rispettivamente, dagli artt. 163 e 163-bis, cfr. G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit.; S. Leuzzi, Commento artt. 163 e 163-bis, in (diretto da) G. Di Marzio, Codice della crisi d'impresa, Milano, 2017, p. 1075 ss.; M. Ratti, Commento artt. 163 e 163-bis, in AA. VV., La nuova riforma del diritto concorsuale. Commento operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, Torino, 2015, 134 ss.; V. Salvato, Commento art. 163-bis, in (diretto da) G. Lo Cascio, Codice commentato del fallimento, IV Edizione, Milano, 2017, 2115 ss.).

Conviene poi richiamare il già citato documento dei Notai, secondo cui “detta previsione, avendo a oggetto la proposta presentata dal terzo nella sua fase esecutiva, non può che riferirsi a un aumento del capitale da eseguirsi dopo l'omologazione del concordato, quando la sospensione degli obblighi di riduzione del capitale ex art. 182-sexies è ormai cessata. Ne consegue che l'aumento di capitale deve essere tale da consentire alla società, dopo la sua esecuzione, di operare regolarmente nel rispetto delle regole sul mantenimento del capitale”.

Ad evidenza, ciò che il Legislatore ha espressamente previsto non è soltanto una “diluizione” dei soci, ma (anche) una loro estromissione quando il patrimonio netto (senza contare le rinunzie dei creditori effettuate con il concordato) abbia assunto valore negativo. Ciò appare in linea con la ratio di conferire un nuovo impulso proprietario e gestionale all'impresa, favorendo la “sostituzione” della compagine che non ha saputo condurre al meglio l'attività con soggetti auspicabilmente in grado di dare atto al risanamento.

A questo punto ci si deve domandare se la norma appena esaminata (art. 163, co. 5, L.F.), nel consentire che la proposta proveniente dai creditori porti alla perdita della qualità di socio da parte dei soci già esistenti, per come è costruita precluda alla stessa società di proporre un aumento di capitale così strutturato; in altre parole, si deve valutare se tale assetto è proponibile unicamente dai creditori.

Sempre il documento dei Notai afferma che, in un'ottica sistematica, ciò sia da escludere, in quanto risulta che “la norma non possa essere interpretata come limitativa della possibilità, per la stessa società proponente, di porre a base del piano di concordato un aumento di capitale con esclusione del diritto d'opzione che (previo azzeramento del capitale per le perdite subite dalla società) porti all'uscita della vecchia compagine sociale e all'ingresso, totalitario, di nuovi imprenditori e/o investitori”.

Del resto, si è già autorevolmente sostenuto come, in situazioni in cui l'investimento dei soci si debba ritenere totalmente perduto, sia ammissibile una ricapitalizzazione che attribuisca ai nuovi soci la totalità delle azioni da emettere. Ciò, in caso di ricapitalizzazioni effettuate in situazioni di crisi, allorché risulti in gioco la sopravvivenza stessa della società (e non la mera volontà di evitarne lo scioglimento), e dunque sia in relazione a ricapitalizzazioni da effettuarsi appunto nell'ambito di una procedura concorsuale (cfr. Guerrera-Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di "riorganizzazione", in Riv. soc., 2008, 17 ss.), sia in relazione a ricapitalizzazioni che mirano ad evitare una procedura concorsuale (si tratta del caso di Banca Tercas s.p.a., ricapitalizzata con deliberazione dell'assemblea straordinaria del 29 luglio 2014).

In tutte le ipotesi che precedono, infatti, la perdita dell'investimento per gli azionisti è in ogni caso (anche in ipotesi di mancata ricapitalizzazione) totale e sostanzialmente certa, non essendovi alcuna aspettativa di avanzi di liquidazione, sì che l'unico interesse leso dal mancato compimento dell'operazione è quello dei creditori e dei terzi che intrattengono rapporti con la società (la Massima n. 58 cita come segue P. Marchetti, Sulla legittimità della reintegrazione del capitale azzerato con esclusione del diritto d'opzione deliberato a maggioranza e non con il voto unanime di tutti i soci (parere pro veritate reso nel luglio 2014 sulla vicenda di Banca Tercas, in corso di pubblicazione), che sottolinea l'assenza di una distinzione qualitativa fra limitazione ed esclusione del diritto d'opzione).

Ne consegue, linearmente, che anche la proposta di concordato presentata dalla società debitrice (non solo dai creditori, dunque) può fondatamente prevedere un aumento di capitale con esclusione del diritto d'opzione (eventualmente preceduto da un azzeramento del capitale esistente qualora il patrimonio netto risulti perduto) a favore dell'ingresso di terzi individuati (per completezza, vanno comunque segnalate alcune impostazioni restrittive, quale ad esempio Trib. Reggio Emilia, 28 giugno 2017, che anche in forza di una ricostruzione rigidamente letterale, circoscrive l'applicabilità dell'art. 163, co. 5, ai soli casi di proposte dei creditori; per una estesa problematizzazione del tema – e per conclusioni differenti da quelle del Tribunale di Reggio Emilia – cfr. il chiaro commento di L. Benedetti, L'applicazione giurisprudenziale dell'art. 163, comma 5, L. fall., in Fallimento, 2017, 1325 ss.).

In definitiva, quindi, il disposto normativo dell'art. 163, come modificato dal d.l. 83/2015, prevede, in aggiunta all'aumento di capitale proposto dal debitore, la possibilità per creditori qualificati (che rappresentino almeno il 10% dei crediti) di acquisire il controllo della società tramite un aumento di capitale riservato che la norma, in modo inequivoco, non sottopone a meccanismi competitivi ma solo al voto dei creditori (d'altro canto vale la pena di evidenziare che la proposta del terzo, approvata dai creditori ed omologata, è pienamente vincolante per il debitore, tanto che l'art. 185 L.F. impone forti presidi a tutela del terzo), proprio perché ben diversa dalla vendita dei singoli asset della società insolvente è la vendita dei beni dei soci (o, più in generale, il cambiamento della compagine sociale).

A conferma dell'impostazione qui offerta, che valorizza (e scioglie da soverchi lacci e lacciuoli giuridici) l'aumento del capitale, si può considerare, sul piano sistematico, l'intrinseca attitudine dell'aumento del capitale sociale a garantire il risanamento aziendale.

Infatti, pare ragionevole sostenerne la trasversalità nel nostro diritto, se solo si pensa – a mero titolo esemplificativo – che ex art. 106, co. 5, d. lgs. n. 58/1998 (in uno con l'art. 49 Regolamento Emittenti Consob), in linea di principio, l'obbligo di offerta pubblica di acquisto non sussiste se il superamento della soglia rilevante si realizza in presenza di una ricapitalizzazione e la società versa in una situazione di crisi certificata oggettivamente, in quanto – in sintesi – vi è già stata una formale ammissione a procedure concorsuali o ricorre un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F..

D'altro canto, tali approdi (anche normativi) recepiscono un consolidato orientamento della Consob, secondo cui, in presenza di una ricapitalizzazione, il fondamento giustificativo dell'esenzione da o.p.a. in parola poggia sulla realizzazione dei seguenti effetti: (i) l'investimento di chi acquisisce il controllo incrementa il patrimonio della società e non quello dei soci che trasferiscono la partecipazione; (ii) si assicura parità di trattamento tra i soci, i quali sopportano in modo egualitario l'effetto diluitivo dell'aumento del capitale, senza beneficiare del diritto di exit (sul punto, cfr. ad esempio – e solo per rimanere ad un caso relativamente recente – la comunicazione n. EM/9030808 del 3 aprile 2009; in tema, si veda anche M. Ranieli, Proposte di concordato preventivo concorrenti, trasferimento del controllo ed esenzione dall'obbligo di opa per salvataggio “ostile”, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 7, 2017, in specie note da 23 a 30, per un'ampia ed approfondita casistica).

Focus sull'orientamento della giurisprudenza

Le conclusioni appena raggiunte sono, del resto e per altro verso, suffragate anche da attenta giurisprudenza, attraverso l'analisi dell'art. 163-bis L.F., che il già citato Tribunale di Roma, 5 agosto 2019, richiama.

Infatti, viene esclusa l'applicabilità dei meccanismi competitivi in ipotesi diverse da quelle ex lege positivamente previste, per l'effetto così consentendo l'ingresso di terzi individuati nella proposta concordataria.

Chiarissimo, a tal proposito, è quanto affermato dal Tribunale di Napoli, 13 giugno 2018, che conviene qui riportare per esteso: “Con una interpretazione accentuatamente sostanzialista, infatti, l'opponente finisce con l'identificare due fattispecie completamente differenti: l'ingresso nel capitale sociale di un nuovo socio, attuato attraverso una delibera di riduzione, e successivo aumento, con rinuncia al diritto di opzione, da un lato, la vendita dell'azienda, dall'altro lato. Il trasferimento del bene della società a terzi è oggetto del vincolo normativo consistente nell'attivazione di una procedura competitiva. Questo vincolo non può intendersi esteso, se non attraverso una forzata interpretazione teleologica in totale distonia con la lettera della disposizione e il suo immediato perimetro applicativo, al caso in cui la società debitrice realizza un'operazione di modificazione degli assetti proprietari, a mezzo una deliberazione di aumento del capitale sociale, rispetto alla quale i soggetti giuridici titolari dei beni oggetto di atto dispositivo (come la rinuncia al diritto di opzione) sono i soci e soltanto i soci.

In un caso di previsione di aumento del capitale sociale successivo all'omologa del concordato, la giurisprudenza ha del pari escluso il rilievo dell'art. 163-bis L.F., poiché la deliberazione di aumento non è assoggettabile a quest'ultima disposizione, la cui ratio “è quella di assicurare massimamente il soddisfacimento dei creditori attraverso l'espletamento di una procedura competitiva che consenta di liquidare tutto o parte del patrimonio della società al miglior prezzo conseguibile sul mercato” (Trib. Vicenza, 4 ottobre 2016).

La legge fallimentare, piuttosto, stimola la realizzazione di investimenti, come dimostra la disciplina speciale posta dall'art. 182-quater L.F., invocata nel presente piano concordatario, e funzionale a garantire la prededucibilità quale misura premiale dell'investimento realizzato per rilanciare l'impresa in crisi, tanto più quando si tratti di una continuità aziendale. La ottimizzazione dell'interesse del ceto creditorio si attua, dunque, attraverso: a) la competitività di cui all'art. 163-bis L.F., ove si tratti di cedere a qualsiasi titolo l'azienda o un ramo di essa e, b) il canale dei finanziamenti prededucibili di cui all'art. 182-quater L.F. Sarebbe allora incoerente accedere a una interpretazione che sottoponga comunque a procedura competitiva la manovra di rilancio dell'impresa attuata con finanziamenti ex art. 182-quater L.F., di per sé ritenuta meritevole di specifica tutela da parte del legislatore, e non sottoponibile, dunque, alla procedura prudenziale e garantista assicurata dal differente meccanismo di cui all'art. 163-bis L.F.

Insomma: altro è la cessione diretta dell'azienda, che ha finalità squisitamente liquidatoria, ed alla quale si applica il procedimento competitivo; altro è l'entrata di nuovi soci terzi, attraverso specifiche operazioni sul capitale e sui diritti collegati alle quote, funzionale alla prosecuzione dell'attività aziendale, circostanza alla quale non è rivolta la stringente disposizione di cui all'art. 163-bis L.F..

In tal senso, oltre alla pronuncia appena citata, si vedano per esempio Tribunale Vicenza, 4 ottobre 2016 (richiamato peraltro dallo stesso Tribunale di Napoli) e Tribunale Rimini, 1 dicembre 2016.

Peraltro, tra la giurisprudenza espressasi in tal senso si può annoverare anche quella già citata in materia di concordato con assunzione, tra cui merita segnalare Trib. Forlì, 25 febbraio 2019: “Il soggetto che si propone di assumere il concordato subentra infatti nella medesima posizione attiva ma anche in quella passiva della società in concordato, sostituendosi ad essa e divenendone successore, mentre chi acquista l'azienda, uno o più rami o specifici beni dietro un determinato corrispettivo, succede solo nei singoli rapporti legati e conseguenti al bene o ai beni acquistati. Tali posizioni non possono, dunque, essere equiparate. La competizione prevista e disciplinata dall'art. 163-bis l.fall. e/o dall'art. 182 l.fall., ispirata alla ratio e alla logica di cui all'art. 107 l.fall., è solo quella che riguarda il trasferimento a titolo oneroso ad un soggetto di singoli e specifici beni, ivi compresa l'azienda o più rami di essa, non attagliandosi invece alla diversa fattispecie del subentro di un terzo nella stessa posizione complessiva della società in concordato, elemento che contraddistingue la proposta di assunzione del concordato che dovrà, pertanto, più opportunatamente essere assoggettata alla specifica disciplina dettata dall'art. 163, commi da 4 a 7, l.fall. sulle proposte concorrenti”.

Va in ogni caso segnalato quanto segue: benché sia maggioritaria la giurisprudenza secondo la quale nel caso di aumento di capitale riservato non possa trovare applicazione il meccanismo previsto dall'art. 163-bis, nella giurisprudenza di merito esistono anche orientamenti diversi, tra cui Tribunale Alessandria 14 dicembre 2017. Allo specifico riguardo, tuttavia, si è notato (S. Ambrosini, Concordato preventivo con continuità aziendale: problemi aperti in tema di perimetro applicativo e di miglior soddisfacimento dei creditori, in Il caso, 2018) che le indicazioni del Tribunale sono state probabilmente influenzate dalla comprensibile preoccupazione derivante dalle “peculiarità del caso concreto” (come noto, il caso riguardava la “sofferta” evoluzione della società Borsalino).

Ulteriori spunti di riflessione

In ogni caso – vale chiarirlo: con riferimento all'eventuale applicabilità dell'art. 163-bis L.F. alle operazioni di trasferimento delle partecipazioni, o di ingresso di nuovi soci con aumento di capitale sociale riservato – può offrire una valida sponda anche l'ampia giurisprudenza emanata in materia di qualificazione del contratto di compravendita di partecipazioni, quale contratto ben diverso dalla cessione del patrimonio aziendale.

Infatti, secondo la ricostruzione sulla quale subito ci si soffermerà, altro è cedere l'azienda, altro è il cambiamento della compagine societaria: insomma, diverso è trasferire il bene di primo grado (azienda) dal trasferire il bene di secondo grado (partecipazione); del resto, deve sottolinearsi che la littera legis dell'art. 163-bis è cristallina in più punti, nel circoscriverne l'applicazione al trasferimento “dell'azienda”, del “ramo d'azienda” o di “specifici beni” (ad evidenza, in quest'ultimo contenitore non possono ascriversi le partecipazioni “a monte”!) (in questo senso M. Fabiani, Aumento di capitale e offerte concorrenti nel concordato preventivo, in Fall., 2018, 1383: “se il legislatore avesse voluto immettere nell'arena della competizione anche le partecipazioni dei soci avrebbe fatto ricorso a qualche locuzione più generica rispetto alle categorie descritte nell'art. 163 bis l. fall.”).

In tale prospettiva, vale preliminarmente rammentare che quando un soggetto acquisisce l'intera quota di partecipazione in una società, o una quota di “controllo”, tramite il negozio egli vuole ottenere in primo luogo – e di fatto ottiene, sul piano squisitamente economico – il “dominio” sui beni sociali e sull'impresa. Ebbene, in queste ipotesi, esiste o no un fondato motivo per ritenere che l'interesse subiettivo perseguito dal compratore sia in grado di riverberarsi – modificandolo od ampliandolo – anche sull'oggetto del contratto di vendita, il quale verrebbe in tal modo costituito non più (soltanto) dalla partecipazione, bensì (anche) dal patrimonio sociale o da una quota ideale sul medesimo?

L'effetto consterebbe in ciò: che le business warranties finirebbero in tal caso per essere assimilate, relativamente a qualificazione e disciplina applicabile, alle legal warranties.

Secondo un orientamento della giurisprudenza – tra le pronunce più risalenti, ex pluribus si segnalano, senza nessuna pretesa di completezza: Cass., 29 marzo 1935, in Riv. dir. comm., 1935, II, 411 ss.; Id., 6 agosto 1935, n. 3297, in Foro it., 1936, 207 ss.; Id., 10 maggio 1946, n. 559, ivi, 1944-46, 931 ss.; App. Bologna, 21 settembre 1935, in Riv. dir. comm., 1936, II, 113 ss. – che è quasi riduttivo definire consolidato, alla luce di quando si è formato, la vendita de qua ha per oggetto esclusivo le quote od azioni, che esprimono non già il diritto di proprietà su di una frazione dei beni sociali, bensì l'amplissimo fascio di diritti (a mero titolo esemplificativo e non esaustivo: agli utili, di intervento e voto in assemblea, ecc.) ed obblighi (a mero titolo esemplificativo e non esaustivo: di conferimento) che qualificano il c.d. status socii.

A tal proposito, giova evidenziare che la società, sia essa di capitali o di persone, gode di un'autonomia patrimoniale più o meno marcata rispetto ai soci (artt. 2268, 2304, 2325, co. 1, 2462, co. 5, c.c.), che si corrobora e giustifica in virtù del concetto di “personalità” (art. 2331 c.c.) o di “soggettività giuridica” (ex art. 2266, co. 1, c.c.: cfr., di recente, Cass., ord. 4 dicembre 2012, n. 21754).

Il socio sarebbe pertanto legittimato a disporre delle quote o azioni, in quanto di sua proprietà, ma non anche del patrimonio sociale, poiché questo appartiene al «soggetto di diritto distinto e autonomo» rappresentato, appunto, dalla società (si veda in merito, già in tempi “remoti”, App. Roma, 27 agosto 1936, in Riv. dir. comm., 1937, II, 161 ss.). In altre parole, non risulta indifferente lo “schermo societario”, in quanto latore di dignità e rilevanza giuridica sua propria.

Allineate a questa ricostruzione sono del resto alcune recenti pronunce di legittimità e di merito, peraltro riguardanti una casistica assai ampia ed eterogenea. A titolo esemplificativo, è stato statuito: (i) che qualora nel patrimonio sociale siano ricompresi beni immobili, al fine di concludere un valido contratto di vendita di partecipazioni non è per ciò solo necessaria la forma scritta (App. Roma, 16 aprile 2009, in Banca dati Leggi d'Italia; indirettamente, Trib. Roma, 26 ottobre 2012, ivi); (ii) che anche qualora il patrimonio sociale sia costituito da soli immobili, la cessione dell'intera partecipazione non può essere considerata alla stregua di una vendita immobiliare (ma contra, sul presupposto della simulazione assoluta del contratto sociale: Trib. Milano, 8 marzo 2006, in Giur. it., 2006, 2325 ss.), sicché, qualora questi risultino locati, ai conduttori non spetterebbe la prelazione urbana di cui all'art. 38, l. 27 luglio 1978, n. 392 (Cass., 23 luglio 1998, n. 7209, in Arch. loc., 2004, 373); (iii) che in relazione a società cooperative edilizie aventi come scopo la costruzione, assegnazione in godimento e successivamente il trasferimento della proprietà di alloggi ai soci, l'alienazione della partecipazione non comporta il passaggio della proprietà dell'alloggio costruito ma non ancora assegnato, bensì solo di un diritto di credito verso la società (Cass., 23 settembre 2013, n. 21745, in Banca dati Leggi d'Italia; Id., 3 maggio 2010, n. 10648, in Società, 2010, 905).

Se si escludono isolate sentenze, che hanno evocato qualche forma impropria di garanzia per l'acquirente, e gli obiter dicta circa l'annullabilità del contratto in caso di falsa rappresentazione dolosa della situazione patrimoniale da parte del venditore (v. per tutte Cass., 19 luglio 2007, n. 16031), la giurisprudenza dominante – così, ossequiando la concezione tradizionale della persona giuridica come soggetto di diritto ed in conformità dell'assunto per cui la vendita di partecipazioni sociali trasferisce soltanto la proprietà delle quote o azioni – nega che in assenza di garanzie esplicite il compratore deluso dalla consistenza del patrimonio sociale possa ottenere una qualche tutela (cfr. sul punto: Cass., 12 giugno 2008, n. 15706; Cass., 18 dicembre 1999, n. 14287; Trib. Roma, 16 novembre 2011, in Banca dati Leggi d'Italia; Trib. Milano, 8.11.2011, in Società, 2012, 94 ss.; Trib. Belluno, ivi, 2010, 1153; Trib. Milano, 18 marzo 2006, in Corr. merito, 2006, 1133 ss.; Id., 15 febbraio 2006, in Giur. it., 2006, 757 ss.; Id., 26 novembre 2001, in Società, 2002, 568 ss.; tra le più risalenti, v. Cass., 16 febbraio 1977, n. 721, in Foro it., 1977, I, 2275 ss.; App. Milano, 13 aprile 1951, ivi, 1951, I, 607 ss.).

In estrema conclusione, anche attraverso questa ricostruzione, emerge come ben diversi e non sovrapponibili siano i concetti di (i) “azienda” e di (ii) “partecipazione” (e quindi di ingresso di nuovi soci), di talché non può esservi un reciproco automatismo nell'estendere l'applicazione, anche ad altri casi, di disposizioni che la littera legis rivolge alla sola (i) azienda (in tale novero rientra per l'appunto anche l'art. 163-bis L.F.).

Osservazioni conclusive

Per quanto sin qui osservato, sia gli elementi ordinamentali sia il prevalente orientamento giurisprudenziale paiono militare verso le conclusioni da noi offerte, nel seguito riproposte in via compendiosa.

Al concordato con continuità diretta in cui la società debitrice preveda non cessioni di beni o di rami di azienda, bensì il coinvolgimento di nuovi soci nella compagine sociale mediante aumento di capitale con esclusione del diritto d'opzione, non si rende applicabile l'art. 163-bis L.F.

Ciò, non solo per la chiara formulazione letterale recata da quest'ultima norma, ma anche per la diversità degli effetti giuridici implicati dal trasferimento di un'azienda ovvero di una partecipazione.

In tal senso, del resto, pare orientarsi la giurisprudenza, come ben si evince dai chiari principi giuridici fissati ad esempio da Tribunale Roma, 5 agosto 2019.

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