Contratto a tutele crescenti: licenziamento disciplinare e diritto al reintegro
09 Dicembre 2019
Abstract
Ove il fatto contestato sia punito dalla contrattazione collettiva con una misura conservativa, l'intimato licenziamento disciplinare risulta illegittimo in quanto fondato su un fatto che è inidoneo a sorreggere una sanzione espulsiva con la conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata in base all'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23 del 2015. Questa valutazione si accorda al canone generale dell'art. 1455, c.c., che prescrive che il contratto non si può risolvere se l'inadempimento ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte contraente. Il caso
Un dipendente dell'impresa addetta alle pulizie dei servizi igienici della stazione Termini, assunto in data 15 giugno 2017, impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli in data 28 marzo 2018.
Le condotte addebitate al lavoratore erano la chiusura anticipata dei servizi igienici oltre ad altri non meglio specificati episodi d'insubordinazione.
Il ricorrente chiedeva in via principale l'applicazione della tutela reintegratoria ex art. 3, comma 2, d.lgs. 23 del 2015 e, in subordine, quella indennitaria prevista dal comma 1 del medesimo articolo.
A sostegno delle proprie conclusioni eccepiva come fosse stata completamente omessa la procedura prevista dell'art. 7, St. lav., e che le presunte chiusure al pubblico anticipate dei bagni nelle giornate del 26 marzo 2018 e del 27 marzo 2018 in base alla contrattazione collettiva avrebbero dovuto essere punite con una sanzione disciplinare di tipo conservativo. Contestava, inoltre la genericità delle ulteriori condotte sulle quali si basava il licenziamento. Le questioni
Per i lavoratori ai quali si applicano le c.d. tutele crescenti nel caso di licenziamento disciplinare intimato sulla base di una condotta per la quale la contrattazione collettiva prevede una sanzione di tipo conservativo del posto di lavoro si applica la tutela indennitaria o quella reale?
Nel caso di licenziamento disciplinare intimato omettendo completamente la procedura stabilita dall'art. 7, St. lav., si applica la tutela reale o quella indennitaria per vizi formali? Soluzioni giuridiche
Secondo il Giudice la tutela reintegratoria è giustificata in base all'art. 1455, c.c., che prescrive che il contratto non si può risolvere se l'inadempimento ha scarsa importanza rispetto agli interessi della controparte. Ed in questo caso la scarsa rilevanza a livello disciplinare è stata a priori stabilita dalla contrattazione collettiva, motivo per cui non si tratta di una valutazione discrezionale sulla proporzionalità tra condotta e sanzione effettuata dal giudicante e che è vietata per quanto riguarda l'applicazione della tutela reintegratoria.
Il Giudice motiva la decisione di concedere la tutela reintegratoria anche sulla base di un'altra motivazione: la totale omissione della contestazione comporta ab origine l'insussistenza del fatto contestato con conseguente applicazione della tutela reintegratoria poiché non si tratta di un vizio procedurale, ma di una grave lesione del diritto di difesa. A sostegno di tale decisione richiama un precedente della Cassazione del 2016 chiamata a pronunciarsi sul licenziamento di un lavoratore al quale si applicava l'art. 18 (Cass.,sez. lav., 14 gennaio 2016, n. 25745) ed un precedente di merito della Corte d'appello di Milano (Corte appello Milano, sez. lav., 13 dicembre 2018, n. 1993) che è giunta alle medesime conclusioni anche per un lavoratore sotto il regime delle tutele crescenti. Osservazioni
La sentenza in commento evidenzia una nuova criticità nel sistema di tutele stabilito dal d.lgs. n. 23 del 2015, aprendo una nuova possibile via per l'applicazione della tutela reintegratoria.
A parere dello scrivente la sentenza del Giudice, seppur succintamente motivata, è corretta.
Nel caso di specie sono le parti collettive ad aver stabilito che determinate condotte non sono rilevanti ai fini dell'intimazione del licenziamento e per le quali deve essere applicata una sanzione disciplinare di tipo conservativo.
In questi casi si ha una determinazione da parte della contrattazione collettiva della scarsa rilevanza disciplinare della condotta sancendo che l'inadempimento non può esser causa di una risoluzione.
La condotta sussiste, ma la sua antigiuridicità è predeterminata a priori dalla contrattazione collettiva che la considera un fatto non rilevante ai fini del licenziamento.
Ed è opportuno rammentare che l'art 2119, c.c., definisce la giusta causa come quei comportamenti o inadempimenti del lavoratore di tale gravità da far venir meno la fiducia posta alla base del rapporto, non consentendo la prosecuzione, neppure in via provvisoria, dello stesso, senza il rispetto del preavviso contrattualmente dovuto. Così come l'art. 1455, c.c., definita dal Giudice della sentenza in commento norma a carattere imperativo, prevede che la risoluzione unilaterale possa verificarsi solo in presenza di una inadempienza grave dell'altro contraente.
Partendo dalle coordinate normative richiamate nel precedente capoverso e dal concetto di insussistenza del fatto giuridico e non materiale alla base della reintegrazione anche nel contratto a tutele crescenti (Cass., sez. lav., 8 maggio 2019, n. 12174: per una disamina più approfondita si veda su questo portale Fedele I., L'rrilevanza disciplinare del fatto contestato al lavoratore equivale alla sua insussistenza (materiale) anche nel Jobs act), si può giungere alla conclusione che nel caso di licenziamento intimato per una condotta per la quale la contrattazione collettiva prevede una sanzione disciplinare di tipo conservativo, al lavoratore deve essere concessa la reintegrazione.
La singola condotta della cessazione anticipata dal turno di lavoro non ha rilevanza ai fini del licenziamento perché in relazione a questa tipologia di sanzione il comportamento del lavoratore è privo d'importanza.
Non si tratta, lo si ripete, di alcuna valutazione discrezionale del Giudice in merito alla proporzione tra condotta e sanzione che è esclusa dal Legislatore per quanto riguarda la tutela reintegratoria, bensì un'esclusione della rilevanza della condotta sul piano giuridico in relazione all'ipotesi licenziamento. Il fatto dell'anticipata chiusura del servizio igienico deve essere considerato come tamquam non esset in un giudizio in merito alla legittimità del licenziamento.
Mutuando dal diritto penale si può sostenere che la condotta non supera la soglia di punibilità per la quale è possibile l'intimazione di un licenziamento.
L'eccezione in merito al fatto che la mancata trasposizione dell'ipotesi di reintegra prevista nell'art. 18, d.lgs.n. 23 del 2015, significhi implicitamente che l'intenzione del Legislatore è di escludere in tale ipotesi la tutela reintegratoria può essere facilmente superata sulla base dell'art. 12, l.n. 604 del 1966, che sancisce che la contrattazione collettiva può migliorare la disciplina a tutela dei licenziamenti, sia in base al principio generale che la contrattazione collettiva può derogare in melius la legge.
D'altronde sia concesso evidenziare come il caso in esame potrebbe potenzialmente aprire all'ipotesi di un ricorso ex art. 28, St. lav., per repressione di una condotta antisindacale.
Se è vero che le clausole che determinano che le condotte punibili solamente con sanzioni di tipo conservativo hanno carattere normativo e queste generalmente sono escluse dal campo di applicazione dell'art. 28, St. lav., è altrettanto innegabile che un licenziamento intimato in contrasto con quanto stabilito dalla contrattazione collettiva leda il principio di libertà sindacale ed in generale i principi di correttezza e buonafede nell'esecuzione del contratto (collettivo).
La decisione basata su un'anticipata cessazione dal turno di lavoro ha, quindi, carattere plurioffensivo poiché non danneggia solamente il singolo, ma anche le associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo il cui contenuto è stato disatteso alla prova dei fatti.
Se per un singolo episodio è possibile che possa essere respinta la richiesta di repressione di condotta antisindacale, è molto probabile che nel caso di reiterati licenziamenti disciplinari da parte di un datore di lavoro per condotte per le quali la contrattazione collettiva prevede sanzioni a carattere conservativo l'istanza sia accolta poiché scaturirebbe una lesione del prestigio e dell'effettività dell'attività sindacale.
Non accogliendo l'applicazione della reintegrazione nell'ipotesi sin qui analizzata, il nostro ordinamento potrebbe cadere in una sorta di “corto circuito” poiché per la medesima condotta si avrebbero due decisioni contrapposte: da una parte nel ricorso presentato dal lavoratore avremmo la tutela indennitaria con la specifica esclusione di quella reintegratoria e dall'altro, in quello presentato dall'associazione sindacale, l'obbligo di reintegrazione perché solo con la tutela specifica si concretizzerebbe la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti come previsto dall'art. 28, St. lav.
Come anticipato la sentenza volta a riconoscere la tutela reintegratoria poggia su una seconda motivazione: il Giudice equipara la totale omissione della procedura ex art. 7, St. lav., alla manifesta insussistenza del fatto contestato.
Il ragionamento è chiaro: nel caso di cui trattasi la contestazione non esiste a priori, ancor prima del fatto a cui si dovrebbe riferire, motivo per cui si deve concedere la reintegra.
D'altronde l'applicazione della tutela reintegratoria nell'ipotesi in cui sia totalmente omessa la procedura ex art. 7, St. lav., costituisce altresì una forma di prevenzione alla tentazione del datore di lavoro di non procedere mai alla contestazione limitando enormemente i rischi economici del licenziamento illegittimo dal momento che gli errori procedurali sono sanzionati con un indennizzo ridotto che varia dalle 2 alle 12 mensilità.
Ma un conto è un errore procedurale, un altro è il radicale difetto della contestazione con la conseguente non lesione, bensì totale annichilimento del diritto di difesa del lavoratore. |