Limiti alla modifica in appello delle spese del giudizio di primo grado

10 Dicembre 2019

La questione in esame nella pronuncia in commento riguarda il potere del giudice dell'impugnazione di modificare, in senso peggiorativo per l'appellante, la regolamentazione delle spese del precedente grado di giudizio, non oggetto di alcun gravame, nonostante l'accoglimento, sia pur parziale, dell'appello medesimo.
Massima

L'accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado ha emesso condanna al pagamento delle spese di lite non comporta, in difetto di specifica impugnazione sul punto, la caducazione della suddetta condanna, in quanto la preclusione nascente dal giudicato impedisce al giudice dell'impugnazione di modificare la pronunzia sulle spese della precedente fase di merito qualora egli abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa in primo grado.

Il caso

La Corte d'appello di Firenze, in parziale accoglimento dell'appello proposto dai genitori della minore per i danni da questa subiti per responsabilità medico-professionale, rideterminava in aumento l'entità della condanna al risarcimento dei danni pronunciata in primo grado nei confronti dell'amministrazione sanitaria convenuta, confermando nel resto l'impugnata sentenza, ad eccezione della regolazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, che venivano poste a carico dell'amministrazione appellata in misura pari ad un terzo (e non già pari alla metà come stabilito dal primo giudice) delle spese non compensate.

Avverso tale sentenza i genitori della minore proponevano ricorso per cassazione. In particolare, con il settimo motivo d'impugnazione i ricorrenti deducevano la violazione degli artt. 91, 92, 112 e 324 c.p.c., per avere la corte d'appello erroneamente disposto la compensazione, nella misura di due terzi del totale, delle spese del giudizio di primo grado (compensate, invece, per la metà dal primo giudice, con residuo a carico di controparte), nonostante l'accoglimento, sia pure parziale, dell'appello proposto dai medesimi ricorrenti e l'avvenuta formazione del giudicato interno su tale punto in assenza di appello incidentale della controparte sul capo concernente la liquidazione delle spese di lite.

La questione

Una delle questioni esaminate nella pronuncia in commento riguarda il potere del giudice dell'impugnazione di modificare, in senso peggiorativo per l'appellante, la regolamentazione delle spese del precedente grado di giudizio, non oggetto di alcun gravame, nonostante l'accoglimento, sia pur parziale, dell'appello medesimo.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha accolto il settimo motivo di impugnazione, richiamando il proprio consolidato orientamento secondo cui il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite; mentre, in caso di conferma della decisione impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione.

Nel caso di specie, il giudice d'appello, dopo aver confermato la statuizione del giudice di primo grado in ordine all'esclusione della responsabilità dell'amministrazione sanitaria appellata con riguardo ai danni neurologici subiti dalla minore, aveva dichiarato una maggiore incidenza invalidante, sulla salute della minore, della paralisi dell'arto superiore sinistro determinata dall'inadempimento già accertato a carico della struttura sanitaria, provvedendo conseguentemente ad aumentare l'entità della condanna al risarcimento dei danni già pronunciata dal primo giudice.

La sentenza di primo grado era stata, quindi, riformata dal giudice d'appello, ma in senso più favorevole agli appellanti, ossia limitatamente all'incremento dell'importo del danno agli stessi già riconosciuto in primo grado. Pertanto, non essendo stato proposto appello incidentale sul capo concernente la liquidazione delle spese operata dal primo giudice (che aveva compensato per metà le spese del giudizio di primo grado, ponendo la restante metà a carico dell'amministrazione convenuta), il giudice d'appello erroneamente aveva modificato il regolamento delle spese di primo grado in pejus per gli appellanti, ponendo a carico dell'amministrazione sanitaria solo un terzo (anziché la metà) delle spese del giudizio di primo grado.

In effetti, nel caso in esame, essendo inoperante il cd. effetto espansivo interno, previsto dall'art. 336, comma 1, c.p.c. in ordine ai capi della sentenza non espressamente impugnati – atteso che tale effetto è applicabile solo in quanto i capi non impugnati siano dipendenti da quelli riformati o cassati, ipotesi non ricorrente nella specie –, l'accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado aveva emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non poteva comportare, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione della suddetta condanna. Invero, la preclusione nascente dal giudicato (formatosi sulle spese del primo grado) impedisce al giudice dell'impugnazione di modificare la pronunzia sulle spese della precedente fase di merito qualora egli abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa in primo grado (Cass. civ., 7 gennaio 2004, n. 58).

In altri termini, mancando un appello incidentale sulle spese, e considerata la preclusione formatasi su tale statuizione in ragione dell'assenza di una concreta dipendenza del capo sulle spese dalla riforma operata in sede d'appello sulla questione principale, il giudice del gravame non poteva d'ufficio incidere sulle spese del primo grado in termini meno favorevoli per gli appellanti, trattandosi di regolamentazione ormai irretrattabile.

La Suprema Corte, quindi, dopo aver rigettato i primi sei motivi di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata in relazione al (solo) settimo motivo, condannando l'amministrazione sanitaria convenuta al pagamento delle spese del giudizio di primo grado nella misura già determinata dal tribunale.

Osservazioni

I principi affermati nella sentenza in commento sono condivisibili.

Riassumendo gli approdi della giurisprudenza di legittimità sulla questione in esame, premesso che la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all'art. 91 c.p.c. il giudice di merito che ritenga la parte come soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Cass. civ., 28 settembre 2015, n. 19122), può dirsi che il giudice d'appello è tenuto a sindacare il provvedimento di liquidazione delle spese processuali adottato dal giudice di primo grado:

  1. anche d'ufficio, ove riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, in quanto il relativo onere va attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all'art. 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese (Cass. civ., 22 dicembre 2009, n. 26985). Peraltro, il principio secondo cui la riforma, anche parziale, della pronuncia di primo grado determina la caducazione ex lege anche della statuizione di condanna alle spese, non risulta violato nel caso in cui il giudice di secondo grado confermi espressamente, per le parti non riformate, la sentenza di primo grado, così recependo il pregresso regime delle spese di lite sulla base di una complessiva riconsiderazione, seppure implicita, riguardante entrambi i gradi, dell'esito della lite (Cass. civ., 6 novembre 2009, n. 23634);
  2. in caso di conferma della sentenza impugnata, quando il relativo capo della decisione di primo grado abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione (Cass. civ., 24 gennaio 2017, n. 1775; Cass. civ., 14 ottobre 2013, n. 23226; Cass. civ., 7 luglio 2006, n. 15557). Infatti, il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito, confermando la sentenza di primo grado, non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare il contenuto della statuizione sulle spese processuali assunta dal giudice di primo grado, in quanto la relativa decisione si tradurrebbe in una violazione del giudicato (Cass. civ., 19 novembre 2009, n. 24422).

Nel caso sub 1), tuttavia, occorre operare un ulteriore distinguo, a seconda che la riforma della pronuncia di primo grado incida o meno sulla regolamentazione delle spese contenuta nella sentenza impugnata.

Invero, la riforma della sentenza impugnata, a seguito di accoglimento, anche parziale, dell'appello, determina l'obbligo del giudice del gravame di rimodulare le spese del giudizio di primo grado, pur in mancanza di appello specifico in ordine alla relativa statuizione, solo qualora la decisione d'appello venga ad incidere su tali spese, ossia allorquando, ai sensi dell'art. 336 comma 1 c.p.c., la regolamentazione di queste ultime sia strettamente connessa all'oggetto della decisione d'appello (si pensi al caso in cui l'attore interamente soccombente in primo grado e condannato al pagamento delle relative spese processuali, veda accolto, anche solo in parte, il proposto appello). In proposito, si è rilevato, in generale, che la decisione dell'impugnazione sulla questione principale può comportare la modificazione, in virtù del cosiddetto “effetto espansivo interno”, anche della questione dipendente (ad es., riguardante gli accessori del credito), pur se autonoma e non investita da specifica censura. Le ragioni di tale “effetto espansivo” sono evidenti solo che si pensi che, ove, ad es., per effetto dell'impugnazione, venga accertata l'insussistenza (o la minore consistenza) del credito, il capo relativo agli accessori, ancorché non impugnato, verrebbe travolto o modificato, non potendo certo ritenersi la formazione del giudicato in relazione alla condanna al pagamento di accessori su di una somma che, a seguito di impugnazione, si accerti non dovuta. L'autonomia del capo della sentenza relativo agli accessori, pertanto, non comporta l'insensibilità di esso alle sorti dell'impugnazione relativa al credito principale, così come il capo relativo alle spese processuali, benché autonomo, può eventualmente essere modificato in seguito alla decisione sull'impugnazione, pur non essendo stato oggetto di specifica censura.

Tuttavia, tale “modificabilità” dei capi di sentenza autonomi ma dipendenti da altro capo, costituendo un'eccezione al principio della formazione del giudicato in mancanza di impugnazione, va applicata con estremo rigore, dovendosi perciò escludere che l'impugnazione della statuizione sulla questione principale rimetta in ogni caso in discussione la decisione sulla questione dipendente, attribuendo perciò sempre al giudice dell'impugnazione il potere di deciderla nuovamente e autonomamente, posto che ciò potrà e dovrà accadere solo ove sia imposto dal tenore della decisione relativa all'impugnazione principale, ossia quando tale ultima decisione si ponga in contrasto (di fatto o di diritto, assoluto o relativo) con quella sulla questione dipendente, e potrà modificarla solo nei limiti in cui ciò sia necessario ad “assorbire” il contrasto tra le due statuizioni. In tal caso, la direzione e i limiti dell'intervento consentito al giudice dell'impugnazione sulla statuizione dipendente non colpita da impugnazione non potranno che dedursi, con estremo rigore, dalle necessità di coerenza imposte dalla decisione sulla questione principale e dai motivi posti a sostegno della medesima (Cass. civ., 26 settembre 2019, n. 23985; Cass. civ., 6 ottobre 2004, n. 19937).

Ed infatti, nel caso oggetto della pronuncia in commento, la riforma della sentenza di primo grado, essendo inerente al solo aumento del danno già riconosciuto, in favore dell'appellante, in primo grado, non incideva direttamente sulla regolamentazione delle spese del primo grado, sicchè queste ultime non potevano essere modificate dal giudice d'appello in senso peggiorativo per l'appellante, in mancanza di uno specifico appello incidentale, non operando l'effetto espansivo interno di cui al citato art. 336 comma 1 c.p.c.

In definitiva, si assiste ad una cristallizzazione delle spese del grado precedente nel caso in cui la posizione del vincitore in primo grado si sia modificata in secondo grado in senso a lui più favorevole (nel caso di specie con incremento dell'importo del danno liquidato in suo favore), attesa la natura sostanziale di questo mutamento e, quale limite dei suoi effetti processuali, la preclusione derivante dal giudicato, ragion per cui il giudice d'appello non può penalizzare l'appellante vittorioso andando a modificare, in termini per lui meno favorevoli, le spese del giudizio di primo grado, non gravate da appello incidentale della controparte e certamente non incise dalla pronuncia d'appello. Non è cioè configurabile un automatismo di coinvolgimento del capo delle spese della prima sentenza derivante dal fatto che essa viene riformata, occorrendo che il contenuto della riforma sia connesso con la decisione sulle spese nel senso che quest'ultima, in concreto e non sulla base di asserti astratti, ne dipenda in modo ineludibile, e dunque conforme al principio espansivo dell'art. 336 c.p.c., inibendo l'opposto fenomeno processuale della formazione di un giudicato interno.

Già Cass. civ., 21 giugno 1996, n. 5748, aveva, quanto al funzionamento dell'art. 336 c.p.c., ben rimarcato il corretto ruolo del principio di soccombenza nel senso che “la regola della dipendenza del capo di sentenza concernente le spese processuali da quelli recanti le statuizioni di merito opera nei limiti della soccombenza effettiva della parte impugnante, e quindi con esclusivo riguardo alle ipotesi in cui il giudice dell'impugnazione possa rivedere in senso più favorevole al vincitore anche la statuizione sulle spese non direttamente impugnata”(conformi Cass. civ., 7 ottobre 1996, n. 8755; Cass. civ., 1° luglio 1998, n. 6440; Cass. civ., 18 settembre 1998, n. 9394); sulla stessa linea poi si rinviene, in una posizione ancor più dirimente, Cass. civ., 30 marzo 2001, n. 4739, che ha espressamente affermato che l'impugnazione può giovare soltanto a chi la propone, esercitandone il diritto (il che è proprio l'esatto principio regolatore del rapporto questioni principali/questione spese), non potendo l'impugnazione portare l'appellante ad una posizione peggiore di quella che questi aveva prima di esercitare il relativo diritto.

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