È legittima la limitazione dei mandati dei consiglieri forensi: l'analisi della pronuncia
11 Dicembre 2019
Limiti alla previsione di norme retroattive
Una volta analizzate le ragioni che sono state evidenziate dalle ordinanze di rimessione, in ordine all'asserita illegittimità intrinseca della limitazione dei mandati (si richiama, al riguardo, C. Trapuzzano, È legittima la limitazione dei mandati dei consiglieri forensi: le ragioni esposte dalle ordinanze di rimessione, su www.ilProcessoCivile.it), occorre soffermarsi sulle ragioni addotte a sostegno dell'argomentata retroattività della previsione censurata nonché sulle motivazioni che hanno indotto la Consulta a disattendere le questioni sollevate sotto tutti i profili denunciati. In base alla giurisprudenza costituzionale, la possibilità per il legislatore di dettare norme retroattive, siano esse di interpretazione autentica o innovative, è soggetta a precisi limiti. Infatti, se, da una parte, un espresso divieto di retroattività è previsto solo dall'art. 25 Cost., in relazione alle disposizioni penali sfavorevoli, dall'altra, le disposizioni retroattive incontrano il limite dell'art. 3 Cost.: tale limite si consacra in un ragionevole e puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata (Corte cost., sent. n. 271/2011). In particolare, devono essere salvaguardati i seguenti limiti: il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti coinvolti, quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (Corte cost., sent. n. 73/2017; sent. n. 170/2013; sent. n. 78/2012; sent. n. 209/2010). La palese erroneità dell'autoqualificazione come norma di interpretazione autentica può costituire un indice, sia pure non dirimente, della irragionevolezza della disposizione impugnata; mentre l'individuazione della natura interpretativa della norma non può ritenersi in sé indifferente nel bilanciamento di valori sotteso al giudizio di costituzionalità che cade sulle norme retroattive (Corte cost., sent. n. 73/2017; sent. n. 156/2014). Va inoltre riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo. Il legislatore può quindi adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (Corte cost., sent. n. 314/2013; sent. n. 271/2011; sent. n. 209/2010; sent. n. 170/2008). In conseguenza, non ricorre a priori la violazione del fisiologico limite della irretroattività (art. 11 delle preleggi), entro cui il legislatore può disciplinare il diritto di elettorato passivo, assunto come diritto fondamentale, poiché non vi è “costituzionalizzazione” del principio di irretroattività in tutti i casi in cui la Costituzione riserva alla legge la disciplina di diritti inviolabili (Corte cost., sent. n. 276/2016; sent. n. 236/2015). Ragioni della prospettata irragionevolezza della norma di interpretazione autentica che estende il divieto ai mandati pregressi
Ad avviso dei rimettenti, le ragioni di fondatezza delle questioni sollevate si fonderebbero sull'assunto secondo cui l'estensione del divieto di candidatura per il terzo mandato consecutivo ai procedimenti elettorali già iniziati ed in corso, alla stregua della rilevanza in senso retroattivo anche dei mandati svolti prima dell'entrata in vigore delle norme preclusive, lederebbe l'art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica. La norma censurata interverrebbe su procedimenti elettorali attualmente in corso, incidendo pesantemente non solo sulla presentazione delle candidature, ma anche sull'ammissibilità di candidature già presentate e, talora, già ammesse al voto. L'incidenza della disposizione censurata su procedimenti elettorali in corso ridonderebbe in una violazione del principio del legittimo affidamento sia di coloro che, in buona fede, si siano candidati confidando nella possibilità di essere eletti, sia di coloro che, altrettanto in buona fede, abbiano deciso di esprimere il proprio voto a favore di tali candidati. Cosicché la retroattività della norma in questione sarebbe ingiustificata, consistendo propriamente nel conferimento di effetti pro futuro a fatti accaduti in passato o a rapporti giuridici esauriti. Inoltre, l'irretroattività che regola la successione delle fonti dell'ordinamento nel tempo non consentirebbe alcuna deroga almeno in tutte le ipotesi in cui la legge, come nel caso di specie, incide su un diritto costituzionalmente garantito, qual è quello di elettorato passivo ex art. 51 Cost., producendo così un sacrificio del suo nucleo essenziale. Sicché l'art. 11 delle preleggi, nel prevedere espressamente la irretroattività della legge, pur non avendo diretta forza costituzionale e pur essendo derogabile dal legislatore successivo, assumerebbe rilievo costituzionale ove siano in gioco diritti fondamentali come quelli protetti dagli artt. 48 e 51 Cost. Ancora, vi sarebbe la violazione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, che rappresenta uno dei canoni di valutazione della ragionevolezza delle norme di interpretazione autentica (Corte cost., sent. n. 12/2018). E ciò perché la sopravvenienza legislativa avrebbe profondamente influito sull'esercizio delle funzioni attribuite dalla legge al Consiglio nazionale forense, che è giudice speciale anche ove investito del contenzioso in materia di elezioni dei consigli degli ordini forensi. La pronuncia della Corte costituzionale
Con la sentenza 10 luglio 2019, n. 173 la Consulta ha dichiarato la non fondatezza delle questioni sollevate. All'uopo, ha ritenuto che la limitazione dei mandati sia giustificata dal perseguimento di valori aventi rango costituzionale e che l'estensione del divieto anche ai mandati precedenti non comporti alcuna ipotesi di retroattività in senso proprio. In primis, la Corte ha chiarito che il riferito divieto opera in forma doppiamente circoscritta, in quanto, per un verso, impedisce la candidatura esclusivamente per il terzo mandato “consecutivo”, di conseguenza consentendola una volta decorsa una tornata elettorale dopo l'espletamento del secondo mandato consecutivo; e, per altro verso, rende, comunque, possibile il terzo mandato consecutivo ove uno dei due precedenti mandati non abbia raggiunto la durata dei due anni. Ancora, il Giudice delle leggi ha evidenziato che le Sezioni unite della Cassazione già hanno ritenuto detta limitazione compatibile con i valori costituzionali (sent. 19 dicembre 2018, n. 32781). Alle stesse conclusioni era pervenuta la giurisprudenza di legittimità con riguardo al medesimo limite posto per le candidature dei consiglieri dell'ordine dei commercialisti ed esperti contabili (Cass. civ., sez. I, ord., 21 maggio 2018, nn. 12461 e 12462). Ed infatti, simili limiti sono previsti da leggi che regolano altri ordinamenti professionali. Quindi, la Corte ha affermato che, pur essendo effettivamente non pertinente l'analogia tra il divieto di rielezione dei consiglieri dell'ordine circondariale forense (organo collegiale non politico) e quello relativo ai sindaci (organo monocratico politico), nondimeno, la previsione di un limite ai mandati che possono essere espletati consecutivamente è un principio di ampia applicazione per le cariche pubbliche (membri elettivi del CSM, componenti del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato, membri del CNF, componenti del Consiglio nazionale del notariato) ed è, comunque, un principio di portata generale nel più specifico ambito degli ordinamenti professionali. Pertanto, ad avviso della Consulta, l'uguaglianza nell'accesso alle cariche elettive, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due o più mandati consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell'elettorato, connotato da tratti peculiari di prossimità. Ne discende che il divieto del terzo consecutivo mandato favorisce il fisiologico ricambio all'interno dell'organo, immettendo “forze fresche” nel meccanismo rappresentativo (nella prospettiva di assicurare l'ampliamento e la maggiore fluidità dell'elettorato passivo). Blocca, altresì, l'emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza; e ciò in linea con il principio del buon andamento della amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza, riferito agli ordini forensi. Il che avviene anche a tutela dei valori di autorevolezza di una professione oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, in ragione della sua diretta inerenza all'amministrazione della giustizia e al diritto di difesa. La Corte ha, poi, rilevato che la contestata limitazione è coerente con le funzioni pubblicistiche di vigilanza e rappresentanza esterna, sottese alla regolamentazione ordinistica delle professioni. Con la conseguenza che il divieto non incide sulla sfera di autonomia degli ordini professionali. Infatti, gli ordini forensi sono enti pubblici non economici a carattere associativo (Cass. civ., Sez. Un., sent. 24 giugno 2009, n. 14812; 27 gennaio 2009, n. 1874; 12 marzo 2008, n. 6534), istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela dell'utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Il Giudice delle leggi ha escluso altresì che la disposizione di cui all'art. 11-quinquies del d.l. n. 135/2018, inserito dalla legge di conversione n. 12/2019, incorra nella violazione dei parametri costituzionali evocati dal Consiglio rimettente. E ciò perché la norma censurata, che riproduce alla lettera il testo dell'art. 1 del d.l. 11 gennaio 2019, n. 2, abrogato (con salvezza degli effetti prodotti e dei rapporti giuridici sorti sulla base di esso) dall'art. 1, comma 3, della stessa legge n. 12 del 2019, è dichiaratamente volta a fornire l'interpretazione autentica dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113/2017. Sennonché, in sede di esegesi dell'art. 3 della legge n. 113/2017, le Sezioni Unite della Cassazione (con la ricordata sentenza n. 32781/2018) avevano già in tal senso affermato la riferibilità del divieto della terza candidatura consecutiva ai mandati pregressi e cioè anche a quelli espletati, pure solo in parte, prima dell'entrata in vigore della norma; e avevano escluso che ciò ne implicasse una interpretazione retroattiva. Secondo la Corte, il contenuto precettivo attribuito alla disposizione interpretata si uniforma puntualmente alla lettura offertane dalle Sezioni Unite e riflette, quindi, il “diritto vivente” quanto alla regola di rilevanza dei mandati espletati prima della entrata in vigore della legge n. 113/2017, ai fini dell'operatività del divieto del terzo mandato consecutivo. La disposizione così interpretata non esige poi di essere giustificata sul piano della retroattività, poiché essa non ha portata retroattiva (in senso proprio). Ha, in proposito, osservato la Corte che detta disposizione non regola in modo nuovo fatti del passato (non attribuisce cioè direttamente ai precedenti mandati conseguenze giuridiche diverse da quelle loro proprie nel quadro temporale di riferimento), ma dispone per il futuro, ed è solo in questa prospettiva che attribuisce rilievo, di requisito negativo, al doppio mandato consecutivo espletato prima della ricandidatura. Il Giudice delle leggi ha aderito alla ricostruzione volta a riconoscere che, a fronte della previsione sul divieto di espletamento di più di due mandati consecutivi, che indubbiamente comprime il diritto di elettorato passivo e attivo, si contrappongono giustificazioni prevalenti, che hanno un diretto appiglio costituzionale. In questa dimensione, la limitazione apportata dalla norma censurata rappresenta un principio cardine dell'ordinamento, secondo cui si deve favorire quanto più possibile il rinnovamento delle componenti elettive, vieppiù a base associativa, qual è il consiglio dell'ordine, onde agevolare il ricambio che potrebbe essere frenato, anche come ostacolo di mero fatto, dalla presenza di chi ha ricoperto quel ruolo per lungo tempo. Non necessariamente tale vincolo deve essere ricondotto a ragioni di indegnità morale dell'aspirante candidato, ma ben può essere collegato a motivi di opportunità (Corte cost., sent. n. 25/2002), nel caso di specie connessi al fatto di aver ricoperto precedenti mandati nella stessa carica. Infatti, le cause di ineleggibilità ben possono riguardare situazioni idonee a provocare effetti distorsivi nella parità di condizioni tra i vari candidati, nel senso che, avvalendosi della particolare posizione in cui versa, il soggetto non eleggibile può variamente influenzare a suo favore il corpo elettorale (Corte cost., sent. n. 283/2010). Così potrebbe giustificare la ineleggibilità il pericolo che la carica pubblica possa essere utilizzata, attraverso captatio benevolentiae o metus publicae potestatis, per acquisire illecitamente, o comunque “forzatamente” (condizionando la libertà di espressione del voto), consensi elettorali (Corte cost., sent. n. 344/1993; sent. n. 571/1989; sent. n. 58/1972). Sennonché gli interessi contrapposti che il meccanismo del limite dei mandati intenderebbe bilanciare attingono, in relazione a posizioni soggettivamente distinte, dai medesimi diritti costituzionali di cui si lamenta la violazione. In questo senso, la previsione circoscrive provvisoriamente il diritto di accesso alle cariche pubbliche di taluni soggetti, che quelle cariche hanno già rivestito a lungo, per consentire che il medesimo diritto di accesso abbia portata effettiva, e non solo formale, in capo a tutti gli altri potenziali candidati. Come prima evidenziato, medesime finalità sono perseguite con riferimento ad altri ordini professionali, diversi dall'ordine forense. Dunque, la ratio della previsione risiede essenzialmente nella valorizzazione delle condizioni di uguaglianza che l'art. 51 Cost. pone alla base dell'accesso alle cariche pubbliche. Uguaglianza che, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente minata da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più mandati) consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell'elettorato. Infatti, detto elettorato, nel caso di specie, si pone, rispetto alle cariche elettive, in una relazione di particolare prossimità. Né simmetricamente sussiste la compressione arbitraria della libertà di voto, essendo, invece, la previsione in commento diretta a garantire che l'espressione del voto sia effettivamente scevra da influenze e potenziali pressioni, anche solo putative. Ne discende che la disposizione censurata non è, in alcun modo, idonea a prefigurare un risultato elettorale o ad alterare artificiosamente la composizione della rappresentanza consiliare, né vi sono, in base a tale disposizione, candidati più favoriti o più svantaggiati rispetto ad altri, ma solo una eguaglianza di opportunità, particolarmente rafforzata da una norma che incentiva la partecipazione in condizioni di parità di tutti gli iscritti nella rappresentanza consiliare, soprattutto quelli che mai si sono cimentati in precedenti tornate elettorali (sent. n. 4/2010; sent. n. 96/1968). Pertanto, la limitazione dell'espletamento di due mandati consecutivi è volta - per un verso - a favorire un fisiologico ricambio all'interno dell'organo, immettendo “forze fresche” nel meccanismo rappresentativo (nella prospettiva di assicurare l'ampliamento e la maggiore fluidità dell'elettorato passivo), e - per altro verso - a bloccare l'emersione di figure di “consiglieri di professione”, quale fenomeno deprecabile di “sclerotizzazione” della rappresentanza; tutto ciò nel rispetto del principio del buon andamento, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza, ex art. 97 Cost. In relazione a tali finalità, la misura individuata dal legislatore è perfettamente ragionevole e proporzionata, poiché la limitazione del diritto all'elettorato passivo è circoscritta nel tempo, ai sensi del terzo periodo del comma 3 dell'art. 3 (saltata una tornata elettorale, l'iscritto che incorre nel divieto del doppio mandato consecutivo può comunque ricandidarsi ed essere eletto). Conseguentemente, dopo un periodo di tempo non superiore a quattro anni, pari alla durata di un intero mandato, l'avvocato potrà ripresentare una nuova candidatura. Peraltro, il legislatore ha altresì previsto che dei mandati di durata inferiore a due anni non si tenga conto ai fini del rispetto del divieto di cui al secondo periodo. Con la conseguenza che la portata del divieto è ulteriormente limitata, non solo nella sua durata, ma anche nei suoi presupposti. Ne discende che il divieto di espletamento di più di due mandati consecutivi recepisce i principi di cui agli artt. 2, 3 e 97 Cost. nonché di cui all'art. 51 Cost., al fine di proteggere il bene giuridico dell'imparziale e trasparente esercizio dell'ufficio di consigliere dell'ordine, il cui potenziale turbamento, a causa della permanenza nella carica, sarebbe particolarmente lesivo della dignità ed autorevolezza di una professione oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, sulla scorta della sua diretta inerenza all'amministrazione della giustizia. Per le stesse ragioni la Corte (Corte cost., sent. n. 138/2011) ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, comma 6, R.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, come successivamente modificato, che fissa preclusioni alla candidatura nei consigli degli ordini forensi e negli organismi della cassa forense, in ragione della partecipazione, come componente, alle commissioni di esame di abilitazione forense, per le elezioni immediatamente successive all'incarico ricoperto. In specie, tale pronuncia ha sostenuto che la preclusione alla candidatura non riguarda un periodo né temporalmente indeterminato né, in sé, eccessivo o irragionevole, poiché il divieto normativo si riferisce soltanto alle elezioni immediatamente successive allo svolgimento dell'incarico e denota una scelta di separazione funzionale, secondo una prospettiva di trasparenza amministrativa e di efficienza gestionale perfettamente in linea con i valori espressi al riguardo dalla Carta fondamentale. Ma vi è di più. Sostenere che i valori contro-bilanciabili non avrebbero “tono” costituzionale poiché, diversamente dai vertici monocratici di natura politica delle autonomie locali, i consigli circondariali degli ordini forensi sarebbero organi collegiali di natura amministrativa, riconducibili ad un mero – e all'evidenza riduttivo – fenomeno associativo con valenza prettamente privatistica, significherebbe trascurare le innegabili funzioni pubblicistiche sottese alla regolamentazione ordinistica delle professioni. Ed invero, l'art. 29 (Compiti e prerogative del consiglio), comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, attribuisce al consiglio i seguenti compiti di vigilanza e rappresentanza, compiti aventi una chiara impronta pubblica con rilevanza esterna: a) provvedere alla tenuta degli albi, degli elenchi e dei registri; b) approvare i regolamenti interni, i regolamenti in materie non disciplinate dal CNF e quelli previsti come integrazione ad essi; c) sovraintendere al corretto ed efficace esercizio del tirocinio forense [a tal fine, secondo modalità previste da regolamento del CNF, istituisce ed organizza scuole forensi, promuove e favorisce le iniziative atte a rendere proficuo il tirocinio, cura la tenuta del registro dei praticanti, annotando l'abilitazione al patrocinio sostitutivo, rilascia il certificato di compiuta pratica]; d) organizzare e promuovere l'organizzazione di eventi formativi ai fini dell'adempimento dell'obbligo di formazione continua in capo agli iscritti; e) organizzare e promuovere l'organizzazione di corsi e scuole di specializzazione e promuovere, ai sensi dell'articolo 9, comma 3, l'organizzazione di corsi per l'acquisizione del titolo di specialista, d'intesa con le associazioni specialistiche di cui all'articolo 35, comma 1, lettera s; f) vigilare sulla condotta degli iscritti e trasmettere al consiglio distrettuale di disciplina gli atti relativi ad ogni violazione di norme deontologiche di cui sia venuto a conoscenza, secondo quanto previsto dall'articolo 50, comma 4; g) eleggere i componenti del consiglio distrettuale di disciplina in conformità a quanto stabilito dall'articolo 50; h) eseguire il controllo della continuità, effettività, abitualità e prevalenza dell'esercizio professionale; i) tutelare l'indipendenza e il decoro professionale e promuovere iniziative atte ad elevare la cultura e la professionalità degli iscritti e a renderli più consapevoli dei loro doveri; l) svolgere i compiti indicati nell'articolo 11 per controllare la formazione continua degli avvocati; m) dare pareri sulla liquidazione dei compensi spettanti agli iscritti; n) nel caso di morte o di perdurante impedimento di un iscritto, a richiesta e a spese di chi vi ha interesse, adottare i provvedimenti opportuni per la consegna degli atti e dei documenti; o) costituire camere arbitrali, di conciliazione ed organismi di risoluzione alternativa delle controversie, in conformità al regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite; p) intervenire, su richiesta anche di una sola delle parti, nelle contestazioni insorte tra gli iscritti o tra costoro ed i clienti in dipendenza dell'esercizio professionale, adoperandosi per comporle [degli accordi sui compensi è redatto verbale che, depositato presso la cancelleria del tribunale che ne rilascia copia, ha valore di titolo esecutivo con l'apposizione della prescritta formula]; q) costituire o aderire ad unioni regionali o interregionali tra ordini, nel rispetto dell'autonomia e delle competenze istituzionali dei singoli consigli [le unioni possono avere, se previsto nello statuto, funzioni di interlocuzione con le regioni, con gli enti locali e con le università, provvedono alla consultazione fra i consigli che ne fanno parte, possono assumere deliberazioni nelle materie di comune interesse e promuovere o partecipare ad attività di formazione professionale; ciascuna unione approva il proprio statuto e lo comunica al CNF]; r) costituire o aderire ad associazioni, anche sovranazionali, e fondazioni purché abbiano come oggetto attività connesse alla professione o alla tutela dei diritti; s) garantire l'attuazione, nella professione forense, dell'art. 51 Cost.; t) svolgere tutte le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge e dai regolamenti; u) vigilare sulla corretta applicazione, nel circondario, delle norme dell'ordinamento giudiziario segnalando violazioni ed incompatibilità agli organi competenti. L'insieme di queste funzioni conferisce agli ordini forensi il carattere di organismi di diritto pubblico, che devono sottostare alle esigenze di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost., esigenze in concreto perseguite dalla statuizione sulla limitazione dei mandati (Corte cost., sent. n. 240/2008; sent. n. 1020/1988). Anche la Consulta, nell'ammettere l'intervento degli ordini circondariali forensi nel processo costituzionale, ritenendoli titolari di un interesse differenziato e qualificato ad intervenire, ha puntualizzato che l'ordine degli avvocati è costituito presso ciascun tribunale, ha in via esclusiva la rappresentanza istituzionale dell'avvocatura a livello locale e promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni, è istituito per garantire il rispetto dei principi previsti dalla legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela dell'utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale (Corte cost., sent. n. 237/2013). Le funzioni pubbliche dei consigli sono state esaltate pure dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha riconosciuto che il consiglio circondariale dell'ordine forense ha natura di ente pubblico non economico e che i pareri espressi nello svolgimento dei suoi compiti sono atti soggettivamente ed oggettivamente amministrativi, emessi nell'esercizio di poteri autoritativi (Cass. civ., Sez. Un., sent. 24 giugno 2009, n. 14812; Cass. civ., Sez. Un., sent. 27 gennaio 2009, n. 1874; Cass. civ., Sez. Un., ord. 12 marzo 2008, n. 6534). I citati compiti connotano in senso pubblicistico gli ordini forensi come formazioni sociali atte a promuovere la massima partecipazione alle cariche elettive, impedendo rendite di posizione e cristallizzazioni di centri di potere, derivanti dall'espletamento di precedenti mandati, finalità anch'essa di rango costituzionale ex art. 2 Cost., che giustifica ampiamente la limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo, conseguente alla previsione dei vincoli temporali nell'espletamento dei mandati. La Corte costituzionale ha altresì escluso la violazione del parametro costituzionale di cui all'art. 18 Cost. proprio muovendo dal fatto che gli ordini circondariali forensi sono enti pubblici non economici a carattere associativo, dotati di autonomia regolamentare, organizzativa e finanziaria ex art. 24, comma 3, legge 31 dicembre 2012, n. 247, istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela dell'utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Il legislatore ha così riconosciuto agli ordini circondariali forensi uno statuto autonomo basato sull'autogoverno, in modo non dissimile da quanto previsto per l'ordine giudiziario. Ebbene, proprio per il Consiglio superiore della Magistratura, quale organo di autogoverno dell'ordine giudiziario, l'art. 104, comma 6, Cost. prevede che i membri elettivi del Consiglio durino in carica quattro anni e non siano immediatamente rieleggibili. Invero, sono appunto le numerose funzioni di carattere istituzionale attribuite dal legislatore ai consigli degli ordini circondariali forensi, come la tenuta degli albi, la verifica della continuità dell'esercizio della professione, la rappresentanza dell'avvocatura, molte delle quali integranti un'attività esterna destinata a concludersi con la formazione di atti soggettivamente e oggettivamente amministrativi a carattere autoritativo - perché emessi nell'esercizio di un potere riconosciuto in via esclusiva come espressivo di potestà amministrativa per finalità di pubblico interesse -, a giustificare una disciplina elettorale improntata sulla pubblicità, trasparenza e uguaglianza nell'accesso. Infatti, dall'obbligatorietà dell'iscrizione agli ordini circondariali per l'espletamento della professione forense discende la peculiare natura di associazione obbligatoria degli ordini professionali, evidentemente preordinata alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale, quali, in primis, la tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost., mediante vigilanza sull'adeguata competenza, sull'aggiornamento costante e sull'effettivo svolgimento della professione da parte degli avvocati. In questa prospettiva il legislatore se, da una parte, limita, in negativo, la libertà di associarsi in capo a chi voglia esercitare la professione forense, dall'altro, contempera l'autonomia, comunque ampiamente riconosciuta, degli ordini stessi, in modo da garantire che qualunque iscritto possa accedere in condizioni di effettiva parità alle cariche sociali. Sicché l'autonomia e l'indipendenza degli ordini circondariali forensi sono assicurate anche attraverso le disposizioni censurate, laddove l'impedimento temporaneo alla ricandidatura appare evidentemente preordinato ad impedire la formazione e la cristallizzazione di gruppi di potere interni all'avvocatura, o quantomeno a limitarne l'eventualità, mediante il ricambio delle cariche elettive e la conseguente salvaguardia della parità delle voci dell'avvocatura.
In ordine alla norma che ha previsto l'estensione del divieto anche ai mandati espletati in epoca precedente all'introduzione del divieto medesimo, il primo nodo da sciogliere concerne la stessa qualificazione della norma interpretata (ossia dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113/2017) come norma retroattiva, alla luce della lettura che ne ha dato la norma interpretativa (ossia l'art. 11-quinquies del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, introdotto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, e – in precedenza – l'art. 1 dell'abrogato decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2). Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza 19 dicembre 2018, n. 32781), che – si badi bene – hanno dato alla norma interpretata la medesima lettura poi resa dalla norma interpretativa (cioè ancora prima che quest'ultima fosse adottata), hanno negato la natura retroattiva, sostenendo che la previsione produce effetti per le candidature future, sebbene su tali candidature incidano dei fatti eventualmente verificatisi (e già esauriti) nel passato. Tali fatti costituiscono presupposti (o condizioni) inibitori di una fattispecie che postula, però, un fatto successivo: le candidature per l'avvenire. Sono, invece, retroattive in senso proprio le norme che attribuiscono effetti a circostanze pregresse, senza richiedere alcun completamento della fattispecie con fatti successivi, limitandosi a disciplinare il passato. In conseguenza, l'espletamento di plurimi mandati, prima che la norma che ha introdotto il divieto di ricoprire il terzo mandato consecutivo sia stata adottata, assume rilievo solo per le eventuali candidature successive all'entrata in vigore del divieto. Non sono inficiati, invece, i mandati consecutivi al terzo, espletati prima di tale entrata in vigore. In base ad un primo orientamento, tale lettura della retroattività, considerata esclusivamente quoad effectum, costituirebbe in realtà una guarentigia puramente formale, a fronte di un diverso trattamento sostanziale diretto a colpire ex post diritti e libertà fondamentali di soggetti qualificati, all'interno dei corpi sociali ai quali appartengono. Il che in concreto significherebbe, al contrario di quanto ritenuto dalle Sezioni Unite, che la norma così interpretata introduce un regime transitorio di sostanziale retroattività, ossia applicabile anche ai consiglieri delle consiliature passate, in assenza di indicazione delle ragioni di interesse pubblico che lo giustificherebbero. In conseguenza, l'estensione a tali soggetti, che hanno svolto le loro funzioni in un regime normativo improntato all'opposto principio dell'assoluta libertà di candidatura e di elezione senza alcun limite, renderebbe ancora più evidente la sostanziale incidenza delle norme transitorie così lette, che pretendono di applicare ex post un divieto ed un limite rispetto a presupposti maturati e conclusi nella vigenza del regime opposto. In base all'indirizzo avverso, la disposizione denunciata non comporta un'applicazione retroattiva, in quanto valevole solo per le candidature successive alla sua entrata in vigore. Così come non si tratterebbe di applicazione retroattiva ove una disposizione stabilisca la decadenza dalla carica elettiva, presso enti locali piuttosto che presso ordini professionali, per avere riportato condanne penali, anche se anteriori all'entrata in vigore della legge o comunque relative a reati commessi anteriormente a tale entrata in vigore (Corte cost., sent. n. 236/2015). Anche per l'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113/2017 è, pertanto, integrata una ipotesi di ordinaria operatività immediata della legge e non un'ipotesi di retroattività in senso tecnico con effetti ex tunc (Corte cost., sent. n. 118/1994). Se così non fosse, gli esponenti dei consigli, che abbiano espletato due o più mandati consecutivi prima della previsione del divieto, potrebbero espletare altri due mandati consecutivi a decorrere dal 31 dicembre 2018, sicché il divieto diverrebbe effettivamente operativo solo dal 31 dicembre 2026. In termini analoghi non si dubita che la previsione di cui all'art. 3, comma 3, primo periodo, della legge n. 113/2017, secondo cui sono eleggibili gli iscritti che hanno diritto di voto, che non abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell'avvertimento, si applichi anche ai candidati che abbiano riportato condanne disciplinari prima dell'entrata in vigore di tale legge. La legge n. 113/2017, stabilendo il divieto di candidarsi a seguito dell'espletamento di due mandati consecutivi, ha, invero, disposto una causa di temporanea ineleggibilità, o più propriamente di incandidabilità, valevole pro futuro, ossia in relazione alle elezioni successive rispetto all'entrata in vigore della legge stessa. Ciò però non implica per nulla che i fatti pregressi siano irrilevanti ai fini della verifica dei presupposti di eleggibilità, verifica che avvenga dopo l'entrata in vigore della legge medesima. In tal caso deve escludersi la ricorrenza di una norma retroattiva, avendo il legislatore disposto per l'avvenire, ossia per le elezioni da indirsi a decorrere dall'entrata in vigore della norma, assegnando rilevanza giuridica, ed i conseguenti effetti, a fatti già formati. Tutto ciò non per sanzionare condotte già integrate, bensì per regolare condotte future. Il che non importa alcuna forma di retroattività. Si avrebbe, infatti, un regime retroattivo ove il legislatore avesse assegnato ad un fatto del passato, in quanto tale (ossia al doppio mandato consecutivo espletato prima dell'entrata in vigore della legge Falanga), una conseguenza giuridica, come sarebbe accaduto qualora si fosse stabilito che chi avesse in passato ricoperto cariche ordinistiche per una certa durata debba sottostare ad una sanzione o non possa difendere dinanzi alle giurisdizioni superiori (o che gli atti emanati dai consigli composti da esponenti dell'avvocatura, che avessero ricoperto in passato più di due mandati consecutivi, siano nulli), cosicché, indipendentemente da qualsiasi nuova condotta del soggetto, il consigliere (ovvero la stessa integrità del consiglio) sarebbe sottoposto a conseguenze giuridiche per la sola circostanza di avere esercitato in passato la funzione. Diversa situazione si determina nel caso in cui ad essere regolato non sia il fatto del passato, bensì la nuova condotta del destinatario della previsione (nel caso di specie, la candidatura). Pertanto, affinché si abbia retroattività in senso stretto è necessaria l'automatica applicazione di effetti a fatti del passato, senza che alcun fatto nuovo sia intervenuto ad azionare i meccanismi dell'ordinamento. Secondo il Giudice delle leggi, questa evenienza non si realizza nel caso in disputa, atteso che l'identificazione dei requisiti di eleggibilità ha luogo necessariamente al momento dell'elezione dell'organo o in tempo ad essa prossimo (fatto futuro), ma non può che avere riferimento a presupposti di fatto verificatisi in precedenza, qualificandoli ai fini della partecipazione alla competizione elettorale. In base alla puntuale ricostruzione fatta propria dalla Consulta, il legislatore è intervenuto per chiarire, in senso meramente confermativo (e non già per smentire), il quadro giuridico determinato dalla sentenza della Cassazione sopra ricordata (in questo senso si esprime la relazione di accompagnamento al d.l. n. 2/2019 e la motivazione dell'emendamento governativo alla legge di conversione del d.l. n. 135/2018). Ora, la finalità della resa interpretazione autentica era già esplicitata nell'abrogato d.l. n. 2/2019, che perseguiva espressamente l'esigenza di garantire un ordinato rinnovo dei consigli e di tutelare la loro funzionalità. Peraltro, l'art. 17, comma 3, della legge n. 113 del 2017, nel dettare la relativa disciplina transitoria, già ha fatto salva l'integrale applicazione dell'art. 3, come tale applicabile anche alle elezioni per il 2019. Sicché l'intervento normativo denunciato, chiaramente qualificabile come di interpretazione autentica, poiché volto a corroborare il tenore letterale dell'art. 17, comma 3, primo periodo, l. n. 113/2017, secondo la lettura già espressa in sede di legittimità, è del tutto ragionevole (Corte cost., sent. n. 150/2015), in quanto la retroattività trova adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale” (Corte cost., sent. n. 156/2014). L'opzione alla quale ha aderito il legislatore era ricompresa tra quelle desumibili dal testo originario ed era volta a dirimere una situazione di oggettiva incertezza determinata dal contrasto tra le opzioni interpretative del Consiglio nazionale forense e del massimo organo della nomofilachia (Corte cost., sent. n. 132/2016; sent. n. 170/2008). Quanto ai tempi di adozione della legge di interpretazione autentica, peraltro anticipata da decreto-legge di identico contenuto, poi abrogato, la sua introduzione nell'ordinamento è discesa dalla necessità di fornire sicuri elementi applicativi in vista degli imminenti rinnovi dei consigli degli ordini circondariali, il cui scioglimento era previsto per la data del 31 dicembre 2018. Essa risponde alla specifica richiesta rivolta al Parlamento e al Governo, in un deliberato dell'Organismo congressuale forense del 21 dicembre 2018, affinché fosse assunto un intervento di normazione primaria atto a risolvere, con tempestiva urgenza ed in via definitiva, ogni dubbio in merito al periodo intertemporale di riferimento del limite del doppio mandato, così assicurando immediata certezza giuridica alle elezioni in corso e al corretto e adeguato funzionamento delle istituzioni forensi. Per l'effetto, non sussiste violazione dell'art. 3 Cost., appunto perché l'opzione ermeneutica prescelta dal legislatore non ha introdotto nella disposizione interpretata elementi ad essa estranei, ma le ha assegnato un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, cioè ha reso vincolante un dettato comunque ascrivibile al tenore letterale della disposizione interpretata, così come accaduto per la scelta ermeneutica seguita dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Corte cost., sent., n. 15/2012). Né vi è spazio per la tutela del legittimo affidamento e tanto per i seguenti motivi: nel momento in cui è stato avviato il procedimento elettorale per le candidature la norma già esisteva, come pure l'interpretazione delle Sezioni Unite, e quindi la legge di interpretazione autentica non può dirsi essere giunta all'improvviso, avendo appunto fatto proprio, recependolo, l'orientamento delle Sezioni Unite; in aggiunta, a chi sia stato già consigliere dell'ordine almeno per due mandati la norma introdotta non preclude la possibile ricandidatura in futuro, essendo tale facoltà solo limitata per un periodo di tempo definito e ragionevole, pari alla durata del mandato già espletato, in ciò ravvisandosi un evidente ed equilibrato bilanciamento di interessi a cura del legislatore. Per le medesime ragioni non può ritenersi che la norma abbia indebitamente interferito con le funzioni giurisdizionali spettanti al Consiglio nazionale forense, chiamato a decidere sui reclami in materia elettorale dei consigli circondariali, orientandone la decisione, poiché ha semplicemente suffragato una conclusione già ricavabile dal testo della norma precedente, e dunque plausibile, letta negli stessi termini dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite (Corte cost., sent., n. 135/2006). Al riguardo, si evidenzia che non è configurabile, a favore del giudice, «una esclusività dell'esercizio dell'attività ermeneutica che possa precludere quella spettante al legislatore, in quanto l'attribuzione per legge ad una norma di un determinato significato non lede la potestas iudicandi, ma definisce e delimita la fattispecie normativa che è oggetto della potestas medesima». Pertanto, fermo restando il punto che l'incidenza di una norma interpretativa su giudizi in corso è fenomeno fisiologico, detta norma non interferisce sull'esercizio della funzione giudiziaria e sulla parità delle parti nello specifico processo, bensì pone una disciplina generale ed astratta sull'interpretazione di un'altra norma e, dunque, si colloca su un piano diverso da quello dell'applicazione giudiziale delle norme a singole fattispecie (Corte cost., sent. n. 15/2012; sent. n. 229/1999).
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