Obbligo di preavviso della scadenza del comporto e licenziamento discriminatorio indiretto

Marta Filippi
25 Novembre 2019

Seppur non costituisce obbligo gravante sul datore di lavoro quello rappresentato dalla comunicazione preventiva dell'avvicinarsi dello scadere del periodo di comporto, detta omissione costituisce, nel caso di lavoratore affetto da significative e gravi patologie, violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuali, oltre che del principio di solidarietà ex art. 2 Cost. Pertanto, deve ritenersi illegittimo, in quanto viziato da discriminazione indiretta...
Massima

Seppur non costituisce obbligo gravante sul datore di lavoro quello rappresentato dalla comunicazione preventiva dell'avvicinarsi dello scadere del periodo di comporto, detta omissione costituisce, nel caso di lavoratore affetto da significative e gravi patologie, violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuali, oltre che del principio di solidarietà ex art. 2 Cost. Pertanto, deve ritenersi illegittimo, in quanto viziato da discriminazione indiretta come definita ai sensi del d.lgs. n. 216 del 2003 e del diritto europeo, il licenziamento intimato per superamento del comporto al lavoratore che versi in condizioni di salute di estrema gravità, in assenza del citato avviso di prossima scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro.

Il caso

Un lavoratore a seguito di comunicazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto adiva il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere chiedendo che venisse accertata l'illegittimità del recesso datoriale in quanto nullo per discriminazione indiretta e violazione dei principi di correttezza e buona fede per aver omesso il datore di lavoro di comunicare l'imminente scadenza del periodo di comporto al lavoratore affetto da gravi e croniche patologie, aggravatesi nel corso del rapporto lavorativo, impedendogli di fruire del successivo periodo di aspettativa previsto dal CCNL terziario. A tal fine chiedeva la reintegra nel posto di lavoro e l'adibizione a mansioni compatibili con il proprio stato di salute oltre al risarcimento del danno ex art. 18, l. n. 300 del 1970, ed al versamento dei contributi previdenziali.

Si costituiva quindi la società resistente contestando l'esistenza di un obbligo in capo al datore di lavoro di avvisare il lavoratore della prossima scadenza del periodo di conservazione del posto per malattia ed allegando giurisprudenza a sostegno della propria tesi

Fallito il tentativo di conciliazione tra le parti e deceduto nel contempo il ricorrente, con costituzione in giudizio della moglie, il Tribunale di primo grado, accoglieva il ricorso proposto dal lavoratore accertando la discriminazione indiretta e la violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuali da parte del datore di lavoro.

La questione

Il thema decidendum posto all'attenzione del giudice del lavoro riguarda l'illegittimità o meno del licenziamento intimato ad un lavoratore affetto da gravi e specifiche patologie ed in condizioni di salute critiche non preceduto dalla comunicazione dall'imminente scadenza del periodo di comporto previsto dal CCNL applicato al rapporto lavorativo.

In assenza di un tale specifico obbligo contrattuale è quindi in discussione la rilevanza e l'incidenza della violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuali nell'ipotesi di licenziamento intimato ad un lavoratore in condizione di minorata difesa e per tale motivo illegittimo in quanto indirettamente discriminatorio.

Le soluzioni

Il giudice di primo grado nell'ordinanza in commento accoglie la tesi proposta dal lavoratore.

Pur confermando l'inesistenza all'interno del CCNL di un obbligo in capo al datore di lavoratore di avvisare il lavoratore, assente per molto tempo, che il termine di conservazione del posto di lavoro per malattia sta scadendo e riportando l'orientamento giurisprudenziale in tal senso prevalente, il Tribunale campano ritiene di dovere condividere la tesi relativa alla violazione, nel caso specifico, dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro e pertanto dichiarare illegittimo il recesso in quanto affetto da discriminazione indiretta.

Secondo il ragionamento del giudice di prima istanza nel caso de quo si configura un ipotesi di minorata difesa del lavoratore, con riferimento alle sue specifiche condizioni di salute. Pertanto l'omissione datoriale connota il licenziamento del carattere della discriminazione, nella forma della discriminazione indiretta ai sensi del d.lgs. n. 216 del 2003 oltre che alla luce delle disposizioni del diritto europeo e di quelle contenute nella CEDU.

Osserva in primo luogo il giudice come il CCNL terziario preveda la possibilità per il lavoratore di fruire di quattro mesi di aspettativa non retribuita nel caso di esaurimento del periodo di comporto per gravi motivi di salute o terapie salvavita. Sulla base di tale considerazione, valorizzando la particolarità del caso e in accordo con gli ultimi approdi giurisprudenziali di maggiore “sensibilità” nei confronti del lavoratore malato, il giudice distingue tra casi di malattia comune e particolari, come nel caso della fattispecie posta alla sua attenzione. Ebbene, in tale ultima ipotesi un comportamento orientato alla buona fede contrattuale e alla correttezza, ex art. 1175 c.c, oltre che al principio costituzionale di solidarietà sociale, ex art. 2 Cost., impone al datore di lavoro il dovere di avvisare il lavoratore, presumibilmente non in grado di controllare la scadenza del comporto, del suo prossimo avvicinarsi, anche per informarlo della possibilità di fruire del periodo di aspettativa ulteriore. Ne consegue l'idoneità del licenziamento a discriminare il prestatore di lavoro per le sue condizioni di salute particolarmente critiche nella forma della discriminazione indiretta rappresentata da una prassi, comportamento o atto apparentemente neutro ma idoneo, nei fatti, a svantaggiare il lavoratore portatore di handicap rispetto ad altri colleghi. Ai sensi del diritto comunitario e della CEDU inoltre si ritiene discriminatorio anche l'assoggettamento al medesimo trattamento di lavoratori che versino in situazioni soggettive diverse.

Superata infine la nozione soggettiva di discriminazione da parte del d.lgs. n. 216 del 2003, per cui non occorre dimostrare l'intenzionalità discriminatoria del comportamento datoriale, il giudice, a conclusione dell'iter logico giuridico sviluppato, accoglie il ricorso con condanna alla reintegra del ricorrente oltre al risarcimento del danno, pur non potendosi procedere con la prima per decesso del lavoratore.

Osservazioni

Il ragionamento seguito dal giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rappresenta un ottimo esempio di utilizzo dei principi generali che reggono il diritto civile delle obbligazioni, quali quello di buona fede e correttezza, così come quello di solidarietà che infonde tutto il nostro ordinamento giuridico, all'interno del rapporto di lavoro attribuendogli valenza concreta.

Del resto, si noti, come la giurisprudenza più recente ricorra spesso a tali principi al fine di ampliare i doveri ricadenti sulle parti contrattuali. Nel caso di specie, le gravi patologie sofferte dal lavoratore, aggravatesi nel corso del rapporto lavorativo, oltre la difficile convalescenza, giustificano ampiamente una lettura non formalistica della normativa posta dall'art. 2110 c.c. oltre che di quella contrattuale, imponendo un comportamento atto a preservare il diritto del lavoratore al mantenimento della posizione lavorativa al fine di non aggravare maggiorente la situazione di sofferenza dallo stesso vissuta, in osservanza, come già evidenziato, del principio di solidarietà sociale espresso dalla Costituzione. Ne consegue che nell'ipotesi di mancato rispetto dei detti principi il licenziamento assume la forma della discriminazione indiretta rappresentando il lavoratore malato soggetto che necessita di una tutela maggiore.

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