L'assegnazione nell'espropriazione forzata mobiliare alla luce del nuovo art. 538 c.p.c.
12 Dicembre 2019
Massima
Nell'espropriazione forzata di cose mobili rimane consentita l'assegnazione del bene pignorato al debitore ai sensi dell'art. 505 c.p.c. Il caso
Nel caso in esame, l'amministratore giudiziale – nominato ex art. 2409 c.c. – di una società propose azione sociale di responsabilità avverso l'ex amministratore della predetta. Durante la pendenza del giudizio di responsabilità, la società in questione venne dichiarata fallita e l'azione di responsabilità fu proseguita dal fallimento. Al termine del giudizio di primo grado, l'ex amministratore fu condannato a risarcire alla curatela un danno di elevato importo e nel giudizio di appello tale condanna venne confermata anche se notevolmente ridotta nella portata. In forza della sentenza di primo grado, la curatela fallimentare intraprese l'espropriazione forzata, convertendo il già conseguito sequestro conservativo in pignoramento. La suddetta quota sociale pignorata venne venduta all'asta per ben sei volte, ma nessuno la acquistò. Pertanto, la curatela fallimentare avanzò istanza di assegnazione della quota sociale di cui era titolare l'ex amministratore condannato; il g.e. accolse con ordinanza tale istanza. L'ex amministratore, dal canto suo, propose opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso tale ordinanza; ed il g.e. – al termine della fase sommaria del procedimento di opposizione – sospese l'efficacia dell'ordinanza di assegnazione. Sia l'ex amministratore sia la curatela introdussero, con due distinti ricorsi, la fase di merito, che si concluse con sentenza di rigetto dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. A fondamento di tale decisione, il tribunale ritenne che: 1) l'interpretazione sistematica dell'art. 538 c.p.c. non vieta l'assegnazione in favore del creditore di quote societarie di s.r.l. rimaste invendute, in quanto la suddetta norma ammette l'assegnazione solo «nei limiti e secondo le regole del codice», e non tende a vietare l'assegnazione se non nei casi espressamente previsti dalla legge; 2) dall'art. 497 c.p.c. si desume che vendita e assegnazione sono misure equiparabili, mentre ritenere il contrario sminuirebbe il principio della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c.; 3) l'opponente oltretutto neanche aveva dedotto un concreto pregiudizio derivatogli dall'ordinanza di assegnazione. Tale sentenza fu impugnata giusta rituale ricorso per cassazione. La questione
Alla base della decisione in epigrafe constano tre rilevanti questioni: 1) l'art. 505 c.p.c. nella parte in cui consente al creditore di domandare l'assegnazione del bene pignorato «nei limiti e secondo le regole contenute nei capi seguenti» consente anche l'assegnazione di quote d'una s.r.l.? 2) L'art. 538 c.p.c., come riformato dal cit. art. 10 l. n. 52/2006, nell'abrogare la previgente versione della norma secondo cui «nel caso di asta infruttuosa, il G.E. poteva ordinare un nuovo incanto soltanto se nessuno dei creditori avesse presentato istanza di assegnazione», non consentirebbe l'assegnazione di quote societarie di una s.r.l.? 3) Il nuovo art. 532 c.p.c. (così come modificato dalla l. 30 giugno 2016, n.119, di conv. con mod. d.l. 3 maggio 2006, n. 59) con i nuovi artt. 538 e 540-bisc.p.c. non consentirebbero l'assegnazione del bene pignorato nel caso di infruttuosità della vendita? Le soluzioni giuridiche
La Cassazione dal canto suo, in primis, rigettava le eccezioni preliminari della curatela aventi ad oggetto vizi di notifica del ricorso introduttivo e del contraddittorio instaurato con soggetti estranei all'oggetto del giudizio; in secundis, nel dichiarare infondato il ricorso, statuiva che per l'art. 505 c.p.c. «il creditore pignorante possa chiedere l'assegnazione dei beni pignorati nei limiti e secondo le regole contenute nei capi seguenti». Tale norma ha una portata applicativa “generale” tale da adattarsi a qualsiasi tipologia di espropriazione forzata per due ordini di ragioni. La prima è data dalla collocazione topografica della stessa norma nel Capo I, Titolo II, Libro III, del c.p.c. dedicato all'espropriazione forzata in generale. La seconda invece è data da una serie di norme “generali” in tema di espropriazione forzata che richiamo l'assegnazione forzata, fra cui: 492, 495, 497, 501, 502, 534-bis c.p.c., tutte norme che, per collocazione e contenuto, sono incompatibili con l'opinione volta a circoscrivere l'applicabilità dell'assegnazione nell'espropriazione forzata mobiliare alle sole ipotesi contemplate dagli artt. 538 e 539 c.p.c. In particolare, in merito alla prima questione, la Cassazione ribadisce che la previsione di cui all'art. 505 c.p.c. ha portata “generale” e non contiene alcun espresso divieto di assegnazione; e nella parte in cui stabilisce che si può far luogo all'assegnazione “nei limiti” e “secondo le regole” successivamente esplicitate, non limita l'assegnazione di beni mobili alle “sole” ipotesi di cui agli artt. 529 e 539 c.p.c. riguardanti rispettivamente (titoli di credito e merci quotate, la prima) e (oro ed argento, la seconda), ma si limita semplicemente a stabilire che, se vi sono regole speciali in tema di assegnazione, queste ultime prevalgono sulla regola generale dell'art. 505, e conseguentemente si può far luogo all'assegnazione di quote sociali di s.r.l. rimaste invendute, ciò non essendo espressamente vietato dal prefato disposto. Sulla seconda questione, la novella del 2006, nell'espungere dal testo originario dell'art. 538 c.p.c. il periodo «se delle cose rimaste invendute nessuno dei creditori chiede l'assegnazione», non vuole dire che è venuto meno l'istituto dell'assegnazione nell'espropriazione mobiliare; anzi, alla luce dell'eliminazione anche del dovere del G.E. di «fissare un nuovo incanto se nessuno dei creditori richiedeva l'assegnazione del bene invenduto», la nuova versione dell'art. cit. comporta che il g.e. fisserà «un nuovo incanto ad un prezzo inferiore di un quinto di quello precedente» a prescindere dall'esistenza o meno di istanze di assegnazione avanzate dai creditori. Sulla terza ed ultima questione, l'infruttuosità della vendita non può dare luogo ad una chiusura anticipata della procedura esecutiva alla luce dei nuovi artt. 532, 538 e 540-bisc.p.c.; si profilerebbe, altrimenti, l'ipotesi per cui, nonostante il debitore possegga dei beni ed il creditore sia disponibile ad accettarli con l'assegnazione, il primo rimarrebbe debitore ed il secondo rimarrebbe insoddisfatto, con conseguente violazione dei principi della ragionevole durata e della efficienza ed effettività dell'ordinamento processuale. Infine, per la Corte di legittimità, il processo esecutivo non ha come scopo necessario quella della fruttuosità della vendita o comunque del soddisfacimento del creditore, ma quello della massima fruttuosità possibile; cosa che si desume sia dai principi generali dell'ordinamento sia da previsioni normative espresse, quali l'art. 164-bisdisp. att. c.p.c. Osservazioni
In merito alle soluzioni prospettate dalla Cassazione sulle tre questioni supra evidenziate, riteniamo che esse siano pienamente condivisibili, avendo la Corte ragionevolmente interpretato l'art. 538 c.p.c. e dato significativi lumi sulla portata dello scopo perseguito dal processo esecutivo. Secondo la decisione in esame, infatti, lo scopo necessario dell'esecuzione forzata sarebbe rinvenibile nontanto «nella fruttuosità della vendita o comunque nel soddisfacimento del creditore» quanto nella «massima fruttuosità possibile» della vendita forzata; fruttuosità che dovrebbe – a nostro avviso – assurgere ad un livello tale da soddisfare il creditore nella misura maggiore possibile anche in forza dell'assegnazione di beni pignorati rimasti invenduti dopo molteplici tentativi di vendita (sempre che non consti un espresso divieto ex lege di assegnazione).
|