Il giudice non fa la CTU percipiente? La Suprema Corte cassa e rinvia

Redazione scientifica
13 Dicembre 2019

Nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza, specie a fronte di una istanza di parte in tal senso, costituisce una grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza.

Il caso. Il tribunale di Pescara rigettava le domande di rimozione o di arretramento delle opere realizzate a distanza inferiore a quella legale, nonché di risarcimento dei danni proposte nei confronti di una società di costruzioni. La Corte d'appello rigettava la richiesta formulata dall'appellante di disporre ulteriore CTU per accertare il rispetto delle distanze da parte della società nella realizzazione della costruzione in contestazione, respingeva l'impugnazione, confermando la sentenza di primo grado.

Il soccombente ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la Corte d'appello avrebbe dovuto disporre CTU, già richiesta in sede di giudizio di primo grado, ai fini dell'accertamento della dedotta violazione, non effettuabile altrimenti, data la necessità di specifiche conoscenze tecniche. Erroneamente, poi, il giudice del gravame avrebbe ritenuto tardiva siffatta istanza.

CTU. Il Collegio ricorda come in materia di procedimento civile, la consulenza tecnica non costituisce un vero e proprio mezzo di prova, ma è finalizzata all'acquisizione, da parte del giudice del merito, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze.

Grave carenza nell'accertamento dei fatti. La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d'ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione proveniente da una delle parti, che non può mai ritenersi tardiva (proprio perché non è prova in senso tecnico), dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l'istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza, specie a fronte di una istanza di parte in tal senso, costituisce una grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza, anche a seguito della modifica dell'art. 360, n. 5, c.p.c., ratione temporis applicabile, integrando ipotesi di motivazione apparente ovvero assente (cfr. Cass. civ., n. 17399/2015).

A parere della Suprema Corte deve, pertanto, essere accolta la censura avente ad oggetto la statuizione che ha negato l'ammissione di «una ulteriore consulenza tecnica» relativa alla valutazione della violazione delle distanze, la sentenza impugnata cassata e la causa rinviata alla Corte d'appello in diversa composizione.

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