La non genuinità dell'appalto alla luce dell'attuale contesto organizzativo-produttivo dell'attività d'impresa
12 Dicembre 2019
Massima
Nell'accertamento in ordine alla genuinità o meno del contratto di appalto assumono rilievo specifici indici sintomatici quale, particolarmente, il concreto assoggettamento dei lavoratori dell'appaltatore al potere direttivo del committente o di suoi dipendenti.
Negli appalti c.d. “endoaziendali” il divieto d'intermediazione opera tutte le volte in cui l'appaltatore, messa a disposizione del committente una prestazione lavorativa, conservi solo i compiti di gestione amministrativa del rapporto, mancando invece una reale organizzazione della prestazione stessa. Il caso
Il lavoratore proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Bari affinché, accertata e dichiarata la nullità dei contratti di appalto stipulati dalla società F.soc.coop. e la A.D. s.r.l., nonché tra quest'ultima e la E. soc.coop. e la A. Distribuzione s.r.l., venisse riconosciuta la costituzione del rapporto di lavoro, dedotto in giudizio, ab origine in capo alla A.D. s.r.l., nella qualità di società utilizzatrice della prestazione lavorativa.
In subordine veniva domandato l'accertamento della irregolarità della somministrazione, con le medesime conseguenze in punto di costituzione del rapporto lavorativo.
Chiedeva in ogni caso, che venisse accertata l'inesistenza dell'intimato licenziamento disciplinare, in quanto proveniente da soggetto privo della relativa legittimazione, ovvero la illegittimità del recesso datoriale per le ragioni indicate nel ricorso, con conseguente reintegrazione (fatto salvo il diritto alla richiesta dell'indennità sostitutiva di cui al comma 3 dell'art. 18 della l. n. 300 del 1970). La questione
Nell'ambito di un appalto endoaziendale, quali sono gli elementi di fatto sintomatici di una interposizione di manodopera? La soluzione
Il Tribunale ha escluso l'ipotesi di somministrazione irregolare, non risultando tale contratto essere stato stipulato tra le società resistenti, negando anche l'ipotizzabilità di un centro unico di imputazione del rapporto di lavoro, postulando tale fattispecie che il collegamento economico-funzionale tra imprese sia tale da comportare l'utilizzazione contemporanea e indistinta della prestazione lavorativa. Il ricorrente deduceva invece di aver lavorato per la sola committente.
Il caso di specie è stato pertanto ricondotto al fenomeno dell'appalto non genuino e, in particolare, del c.d. appalto endoaziendale, la cui caratteristica peculiare è data dal fatto che l'esecuzione dell'appalto avviene all'interno dei luoghi di svolgimento dell'attività del committente.
Nell'accertamento della regolarità o meno del negozio, il giudice rammenta che non può ritenersi sufficiente la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se esse siano riconducibili al potere direttivo del datore, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, ovvero al risultato che tali prestazioni debbono realizzare, il che potrebbe formare oggetto di un genuino contratto di appalto.
Afferma il Tribunale che gli appalti c.d. “endoaziendali” sono caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, con operatività del divieto d'intermediazione tutte le volte in cui il primo metta a disposizione del secondo una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto, difettando invece una reale organizzazione della prestazione stessa.
Oggetto di esame deve essere il rapporto nella sua interezza, così da accertare se l'appaltatore, assumendo su di sé il rischio economico dell'impresa, operi in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all'appaltante e, dunque, se sia provvisto di una propria organizzazione d'impresa, nonché se abbia assunto in concreto su di sé l'alea economica insita nell'attività produttiva oggetto dell'appalto. I lavoratori impiegati dovranno inoltre risultare effettivamente diretti dall'appaltatore, agendo alle sue dipendenze.
L'organo giudicante, tenuto conto del materiale probatorio assunto, ha affermato che le varie cooperative avevano assunto il rischio economico dell'impresa e avevano operato con sostanziale autonomia organizzativa e gestionale rispetto alla committente. Non è stata rinvenuta invece una prova sufficiente del fatto che il ricorrente fosse stato assoggettato al potere direttivo e di controllo dei dipendenti della società committente (indice principale della non genuinità dell'appalto). Sul punto veniva pertanto rigettata la domanda del lavoratore, con conseguente esclusione anche dell'illegittimità del licenziamento. Osservazioni
Diversamente da quanto accade in un appalto “regolare”, nell'ambito di una interposizione illecita di manodopera lo pseudo-appaltatore si limita a porre a disposizione dello pseudo-committente l'attività lavorativa dei propri dipendenti, i quali vengono ad essere de facto sottoposti al potere direttivo del secondo, operante quindi quale reale datore di lavoro.
La giurisprudenza di legittimità ha tentato di individuare dei requisiti di carattere oggettivo la cui esistenza consente di accertare la genuinità di un appalto, ossia: l'assunzione del rischio economico da parte dell'impresa appaltatrice (recte l'alea rispetto alla possibilità che vi sia un disavanzo tra il prezzo corrisposto dal committente ed i costi da sostenere per ottenere il risultato produttivo); l'autonomia organizzativa e gestionale rispetto all'impresa committente; l'effettiva direzione dei propri lavoratori da parte dell'appaltatore, dovendo essi operare alle sue dipendenze e nel suo interesse.
Indici rilevatori di un appalto non genuino sono stati invece così compendiati dalla giurisprudenza:
In merito agli strumenti di indagine circa la genuinità o meno di un appalto, tenuto conto dei mutamenti economici e tecnologici che hanno interessato gli ultimi decenni, sembra opportuno comunque fare alcune precisazioni.
Il dato testuale dell'art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, non fa espresso riferimento alla figura dell'imprenditore strictu sensu, sicché il legislatore sembrerebbe rivolgersi con il termine “appaltatore” a qualunque soggetto in grado di organizzare i mezzi necessari e sufficienti per l'esecuzione del servizio/opera. La sussistenza di una interposizione di manodopera è stata accertata, d'altronde, anche ove l'appaltatore era risultato fornito di una effettiva ed autonoma organizzazione ma, nell'esecuzione del contratto, lo stesso si era limitato a prestato esclusivamente la manodopera, senza assumere alcun rischio economico nell'esecuzione del contratto. La fittizietà dell'impresa, sebbene costituisca un dato indiziario, non sembra dunque sufficiente, dovendo l'operatore del diritto spingere la propria indagine oltre al profilo strettamente soggettivo del negozio.
Il contesto moderno mostra non raramente fattispecie in cui per l'esecuzione di un appalto sia richiesta la semplice attività lavorativa (c.d. “labour intensive”, distinti da quelli “capital intensive”). In tali ipotesi oggetto dovrà verificarsi chi e come organizzi in concreto l'energia dei lavoratori, ossia in capo a quale parte contrattuale sia riconducibile l'esercizio di fatto del potere direttivo ed organizzativo.
Sul punto si rammenta il contenuto della circolare del Ministero del lavoro n. 5/2011: “L'organizzazione dei mezzi, requisito imprescindibile dell'appalto genuino, deve intendersi in senso ampio, attesa la possibilità. normativamente prevista, che essa si sostanzi, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, nel puro esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché nell'assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa”.Un appalto di “dare”, diversamente, configurerebbe una mera, ed illecita, fornitura di manodopera, limitandosi l'appaltatore a fornire forza lavoro al committente il quale ne fa uso secondo le proprie necessità. La sfera direzionale ed organizzativa entro la quale operano i lavoratori è pertanto quella dell'appaltante e non quella di colui che, quantomeno formalmente, ne è datore di lavoro (rectius l'appaltatore).
Non sorgono dubbi sulla genuinità dell'appalto in cui manchi una diretta e concreta ingerenza del committente (o del suo personale) nello svolgimento delle prestazioni lavorative degli impiegati dell'appaltatore. Analogamente qualora venga accertata una direzione meramente tecnica dei lavori – da distinguere dall'esercizio del potere direttivo - ovvero il committente proceda ad un mero coordinamento funzionale dell'attività oggetto di appalto con quelle svolte in proprio.
In passato (l. n. 1369 del 1960) l'impiego di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante consentiva di presumere l'esistenza di una interposizione di manodopera vietata. Tale orientamento è stato abbandonato in ragione delle esigenze di taluni settori nei quali il servizio/opera oggetto del contratto è in genere necessariamente eseguito mediante l'utilizzo di beni e strutture del committente. Tale è l'ipotesi dell'appalto c.d. endoaziendale.
L'interprete dovrà allora porre l'accento sul tipo di gestione ed organizzazione del lavoro posto in essere dall'appaltatore, dovendosi valutare, caso per caso, il necessario apporto materiale al quale è tenuto con riferimento al contenuto sostanziale del contrato ( si veda sul punto la circolare del Ministero del lavoro n. 34/2010: “il solo utilizzo di strumenti di proprietà del committente da parte dei dipendenti dell'appaltatore non costituisce elemento decisivo per qualificare la fattispecie come appalto non genuino, dovendosi valutare tutte le circostanze concrete dell'appalto, a condizione che la responsabilità dell'utilizzo rimanga totalmente in capo all'appaltatore e che la fornitura dei mezzi non inverta il rischio di impresa che deve gravare sull'appaltatore”).
Alcuni problemi sono sorti relativamente ad appalti in cui, oltre a non essere rilevante l'aspetto dei beni materiali, non lo è nemmeno l'esercizio del potere direttivo datoriale, svolgendo i lavoratori delle mansioni altamente specializzate. In tali circostanze suddetto potere si presenta più sfumato, tanto da poter affermare che ad una più elevata expertise ed autonomia organizzativa del dipendente, corrisponderà una maggiore difficoltà nell'individuazione di elementi denotanti il ruolo di organizzatore/direttore della prestazione in capo all'appaltatore. In tali ipotesi, ai fini della determinazione della genuinità o meno dell'appalto, dovrà pertanto farsi riferimento ad ulteriori e diversi elementi, quale ad esempio l'autonomia del risultato produttivo dell'appaltatore rispetto a quello del committente.
Alla luce di quanto sopra, sembra potersi concludere che il giudizio di liceità dell'appalto resta un esame analitico, il quale non può prescindere dal singolo contesto fattuale, dovendo il giudice confrontarsi costantemente con le peculiarità del caso e con i mutamenti del settore. Per approfondire
Costantino C., Appalti labour intensive fittizi e irregolari: spunti di riflessione, in Lav. giur., 2017, 6, pp. 549 ss.; Campanella P., Attività estranea all'oggetto dell'appalto tra interposizione illecita e prestazione di fatto, in Arg. dir. lav., 2013, 4-5, pp. 1040ss.; Leone E., Appalti endoaziendali: la sottile linea di confine tra liceità e illiceità, in Nuova giur. civ., 2003, 4, pp. 10569 ss. |