Nulla la delibera approvata a maggioranza che esclude il pari uso di un bene comune

Nicola Frivoli
17 Dicembre 2019

Il giudicante è stato chiamato ad accertare l'invalidità di una delibera condominiale contenente un vizio di nullità poiché approvata a maggioranza, invece che all'unanimità, con susseguente illegittimità dell'installazione di un gazebo da parte di un condomino in una area comune.
Massima

In tema di condominio, la delibera approvata a maggioranza comporta il vizio di nullità quando mira ad escludere il pari uso del bene comune dei condomini. Di converso, la modifica del bene comune è consentita solo nel caso in cui vi sia il consenso unanime dei proprietari.

Il caso

Un condomino impugnava una delibera condominiale, con atto di citazione (art. 163 ss. c.p.c.) e conveniva in giudizio il condominio (Centro Commerciale e Direzionale) per accertare e dichiarare la nullità dell'atto collettivo emesso in assemblea per consentire ad un condomino la realizzazione di un gazebo su uno spazio esterno di un locale anche di uso pubblico.

Il deliberato autorizzava il condomino richiedente alla costruzione del gazebo esterno, però la deliberazione veniva approvata a maggioranza e non all'unanimità dei condomini, posto che era anche inserita nel regolamento condominiale una clausola ad hoc.

Si costituiva il convenuto-consesso, nei termini di legge, il quale eccepiva l'infondatezza dell'assunto di parte attrice in quanto la deliberazione era legittima, poiché approvata a maggioranza, e non vi era alcun motivo per porla nel nulla e tale autorizzazione alla costruzione del gazebo non creava alcuna alterazione del decoro.

La causa veniva istruita sia con prove orali (escutendo diversi testimoni) e con prove documentali prodotte dalle parti. Il magistrato adito riteneva il giudizio maturo per la decisione e lo rinviava per la precisazione delle conclusioni. A tale udienza il giudicante introitava la causa per la decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

Il Tribunale veneto accoglieva la domanda dell'attore e revocava la delibera assembleare, ponendola nel nulla, condannando il convenuto-condominio a rifondere le spese in favore dell'attore.

La questione

Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti, al caso posto all'attenzione del Tribunale competente, i motivi di nullità dell'impugnata delibera condominiale.

Tale aspetto è stato esaminato dal giudicante, il quale ha rilevato e verificato la presenza di un vizio di nullità del deliberato impugnato poiché le limitazioni all'uso di un bene comune comportano una radicale invalidità, oltre che una clausola regolamentare prevedeva tale limitazione.

Dunque, la delibera veniva dichiarata invalida (nulla) per le ragioni ut supra nonché la condanna del convenuto-condominio a rifondere le spese processuali in favore dell'attore, alla luce della fondatezza del suo assunto.

Le soluzioni giuridiche

In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia del Tribunale veneziano, in sede monocratica, secondo cui è stato dichiarata l'invalidità della deliberazione condominiale impugnata, con regolazione delle spese processuale in favore dell'attore.

Infatti, il giudice adìto, da un attento esame della documentazione in atti e delle prove orali assunte, aveva rilevato la fondatezza della domanda proposta dall'attore.

In primo luogo, il magistrato ha ritenuto fondata l'impugnativa alla delibera condominiale ove rilevava l'illegittimità della deliberazione approvata a maggioranza, nel punto afferente l'approvazione per l'autorizzazione di un'opera esterna (gazebo) poiché lesiva dei diritti di ciascun condomino nell'uso delle cose comuni.

In tale fattispecie, l'approvazione doveva avvenire non solo all'unanimità, ma dovevano essere presenti tutti i proprietari che avrebbero dovuto raggiungere i 1000 millesimi.

In secondo luogo, tale deliberazione, inoltre, violava una specifica clausola del regolamento condominiale secondo cui non poteva essere intrapresa dai condomini, senza l'autorizzazione totale dei proprietari, qualsivoglia opera esterna che modificasse l'architettura, l'estetica e la simmetria del fabbricato.

Va considerato che la predisposizione del gazebo e le modalità in cui veniva utilizzato, incideva in maniera significativa sui diritti dei condomini sulle cose comuni, perché veniva interdetto, in via definitiva, all'uso comune una porzione dell'area condominiale e limitato l'esercizio dei poteri e delle facoltà che normalmente ineriscono al contenuto del diritto di proprietà dei singoli sui beni comuni.

Tuttavia, la modifica in tutto e in parte di un bene comune può essere validamente deliberata soltanto all'unanimità, ossia mediante di una decisione che, nella sostanza, assuma valore contrattuale(Cass.civ. sez.II, 14 aprile 2015, n. 7459).

Il caso di specie si pone in pacifico contrasto con l'art. 1102 c.c., secondo cui: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”.

La norma che assoggetta l'uso del bene comune da parte del singolo e la facoltà di apportarvi modifiche pongono un duplice limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.

Impedire agli altri partecipanti condominiale di farne uso secondo il loro diritto, è un limite invalicabile poiché i condomini-utenti hanno tutti pari diritto d'uso (Cass.civ. sez. II, 11 settembre 2017, n. 21049).

In senso lato, il termine impedire che compare nell'art. 1102 c.c. si intende limitare, diminuire e, sebbene impropriamente, pregiudicare, e in senso stretto e rigoroso, come proibire, rendere impossibile con degli ostacoli, che è qualcosa di più del semplice limitare o diminuire.

Per completezza, l'assemblea condominiale, nelle sue attribuzioni fissate tassativamente nell'art. 1135 c.c., non può invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata specificatamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento condominiale che lo preveda (Cass.civ., sez.II, 10 marzo 2016, n.4726).

Osservazioni

Per la nullità delle deliberazioni condominiali va considerato il principio, sancito dall'art. 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere dedotta in ogni tempo e può essere rilevata d'ufficio, trovando applicazione nell'àmbito del giudizio di impugnazione della delibera condominiale.

Il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità ex art. 1421 c.c. - applicabile in questo caso per analogia anche oltre l'àmbito contrattuale - va coordinato con le regole fissate dagli artt. 99 e 112 c.p.c., con la conseguenza che, soltanto se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, l'eventuale nullità dell'atto stesso, mentre, qualora il thema verta direttamente sull'illegittimità di questo, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d'ufficio, né può essere dedotta per la prima volta in grado di appello, trattandosi di una domanda nuova e diversa da quella ab origine proposta dalla parte nell'esercizio del suo diritto di azione (Cass. civ., sez. I, 14 marzo 1998, n. 2772; Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402; Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1985, n. 5958).

Il codice civile non distingue tra delibere inesistenti, nulle, annullabili, irregolari, inefficaci ed invalide, tali espressioni sono state, infatti, create dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In particolare, la giurisprudenza ha accentrato la sua attenzione sulla distinzione tra le delibere nulle ed annullabili, distinzione estremamente rilevante sotto il profilo pratico. Spartiacque per la distinzione tra le delibere nulle ed annullabili, in tema di condominio degli edifici è stata la pronuncia della Suprema Corte, a Sezioni Unite, 7 marzo 2005, n.4806, la quale, confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma del 29 aprile 2000, ha tracciato le linee guida per il distinguo, secondo cui, debbono qualificarsi:

- Delibere nulle quelle emesse dall'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito (contrarie all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume) o che non rientrano nella competenza dell'assemblea, quelle che incidono su diritti individuali dei condomini, sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini.

- Delibere annullabili quelle emesse dall'organo deliberativo contenenti vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione delle prescrizioni legali, convenzionali e regolamentari, attinenti al procedimento della convocazione o di informazione dell'assemblea, nonché quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.

Tale pronuncia della Suprema Corte è stata più volte confermata, sia da sentenze di legittimità che di merito (v. Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2014, n.1439; Cass. civ., sez.VI, 13 febbraio 2013, n.3586; Trib. Torino 1 aprile 2014, n. 2396; App. L'Aquila 19 ottobre 2013, n.1035; Trib. Foggia 13 giugno 2012, n. 817).

Il giudizio intrapreso per l'impugnazione della deliberazione condominiale (materia condominiale-annullabilità e nullità), deve essere preceduto dalla procedura di media-conciliazione, a pena di inammissibilità, così come disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n.28, che regola il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie vertenti su diritti disponibili ad opera delle parti, attuando la direttiva dell'Unione europea n. 52 del 2008. Con sentenza del 24 ottobre 2012, n. 272, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale parte di tale legge, rendendo facoltativo, e non più obbligatoria la mediazione. Il d.l. 21 giugno 2013, n.69 (c.d. decreto del fare), convertito in l. 9 agosto 2013, n.98, ha ripristinato il detto procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie elencate dall'art.5, comma 1, d.lgs. n.28/2010, riportando in vigore le norme dichiarate illegittime dalla Corte delle leggi La mediazione, pertanto, diventava inizialmente obbligatoria sino al 2017, precisamente sino al 22 agosto 2017, per le seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successione ereditaria, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Poi la procedura di mediazione è stata istituzionalizzata, nelle predette materie, con l'art.11-ter, d.l.24 aprile 2017, n.50 (c.d. Manovrina 2017), inserito in sede di conversione dalla l.21 giugno 2017, n.96 (pubblicata nel s.o. n. 31 alla Gazzetta ufficiale n. 144 del 23 giugno 2017).

Guida all'approfondimento

Celeste, Impugnazione della delibera (procedimento), in condominioelocazione.it

Celeste, Uso cose comuni (pari uso), in condominioelocazione.it

Frivoli - Tarantino, Il contenzioso del condominio, Milano, 2018, 14

Tedeschi, Vizi delle deliberazioni assembleari, in condominioelocazione.it

Voi, Uso delle cose comuni (alterazione della destinazione), in condominioelocazione.it

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