La nullità funzionale a tutela del pluralismo nel settore delle telecomunicazioni

17 Dicembre 2019

L'art. 43, comma 4, del Tusmar prevede la nullità degli atti giuridici, delle operazioni di concentrazione e delle intese che contrastano con i divieti posti dalla legge a tutela del pluralismo e della concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni. Il presente contributo si concentra sulle peculiarità di tale fattispecie e analizza, anche sotto un profilo critico, le difficoltà di determinazione del regime giuridico applicabile ad una nullità funzionalmente collegata a circostanze estrinseche, quali la posizione dei contraenti nell'ambito del mercato di riferimento.
La tutela del pluralismo nel settore delle telecomunicazioni e la nullità prevista dall'art. 43 TUSMAR

Il Testo Unico della radiotelevisione (TUSMAR, d.lgs. n. 177/2005) contiene una disciplina speciale volta a regolare la prestazione di servizi di media audiovisivi e radiofonici e stabilisce i principi fondamentali a salvaguardia del pluralismo dei mezzi di comunicazione e della concorrenza.

In tale prospettiva, l'art. 5, comma 1, Tusmar enuncia il generale divieto di costituzione […] o mantenimento di posizioni lesive del pluralismo, secondo i criteri fissati nel presente Testo Unico, anche attraverso soggetti controllati o collegati” e al successivo art. 43 vengono individuate le fattispecie vietate.

Più nello specifico, la norma impone all'Autorità garante di verificare che non si creino posizioni dominati nel sistema integrato delle comunicazioni (definito come il settore economico che comprende le attività di stampa quotidiana e periodica, l'editoria annuaristica ed elettronica, radio e servizi media audiovisivi, cinema, pubblicità esterna, iniziative di comunicazione di prodotti e servizi e sponsorizzazioni) e nei singoli mercati che lo compongono, stabilendo precisi indici di carattere quantitativo che le imprese operanti in tali settori sono tenute a non superare anche attraverso partecipazioni indirette ovvero mediante società collegate o controllate.

La legge prescrive innanzitutto strumenti di prevenzione e di controllo diretti ad impedire, per quanto possibile ex ante, che si determino situazioni di concentrazione lesive della concorrenza. A tal fine, l'Autorità garante, qualora sia accertato il compimento di atti o di operazioni idonee a determinare una violazione, ha il potere di inibirne la prosecuzione ed ordinarne la rimozione degli effetti anche attraverso misure che incidano sulla struttura dell'impresa, quali, ad esempio, la dismissione di aziende, di suoi rami o di pacchetti azionari.

Nel delineare il sistema di tutele contemplato a garanzia del pluralismo, l'art. 43 Tusmar prevede altresì la nullità degli atti giuridici, delle operazioni e delle intese che contrastano con i limiti e i divieti di concentrazione fissati dalla legge.

Come è evidente, la sanzione di cui all'art. 43, comma 4, Tusmar è una nullità testuale fissata da una norma imperativa e può qualificarsi come una “nullità c.d. da disvalore” poiché colpisce un atto strutturalmente perfetto ma che contrasta con le finalità politiche e gli interessi che il legislatore ha inteso preservare.

Se sul piano sistematico tale fattispecie appare riconducibile all'ipotesi contemplata all'art. 1418, comma 3, c.c., più problematica può risultare, invece, l'individuazione del regime normativo di siffatta sanzione, tenendo conto della tipologia di atti che ne verrebbero colpiti, quali, in particolare, gli atti di acquisto di azioni dematerializzate nel sistema del mercato borsistico.

Ciò in considerazione del fatto che le conseguenze collegate sotto il profilo civilistico alla nullità dell'atto, quale, innanzitutto, la sua inefficacia, appaiono di fatto incompatibili con le previsioni contenute nello stesso art. 43 Tusmar. Il quinto comma del menzionato articolo stabilisce infatti che l'Autorità, qualora accerti il compimento di atti o operazioni in contrasto con i divieti posti dalla legge, ferma restando la loro nullità, «ne inibisce la prosecuzione e ordina la rimozione degli effetti», potendo anche imporre la dismissione di aziende o rami di azienda.

Da tale disposizione emerge in tutta evidenza l'incompatibilità logica fra l'inefficacia che caratterizza l'atto in quanto nullo e la necessità imposta dal legislatore di rimuoverne coattivamente gli effetti attraverso un atto d'imperio dell'Autorità garante.

Il tramonto della nullità quale categoria dogmatica unitaria

Ormai da tempo la dottrina evidenzia come la nullità negoziale debba oggi essere necessariamente declinata al plurale e come la rigida bipartizione logico-sistematica che contrappone l'annullabilità alla nullità, seppur astrattamente utile all'interprete sul piano descrittivo, non rifletta più l'eterogeneità delle patologie negoziali che vengono ricondotte nell'alveo dell'invalidità.

La tradizionale distinzione che contrappone la nullità (quale vizio rilevabile da chiunque vi abbia interesse, anche d'ufficio dal giudice, insanabile e imprescrittibile) all'annullabilità (che colpisce il negozio contrastante solo con gli interessi di una parte, la quale è la sola legittimata a chiederne l'invalidazione nel termine di prescrizione) è, in realtà, solo apparente ed invero è lo stesso legislatore del Codice Civile a non rispettare tale rigida dicotomia prevedendo la possibilità di eccezioni.

Già nell'impianto originario del Codice Civile del 1942 si registrano ipotesi di nullità convalidabili o sanabili, irrilevabili d'ufficio o relative e, all'opposto, nello stesso si prevede un'ipotesi di annullabilità assoluta (art. 1441, comma 2., c.c.), intendendosi con tale classificazione le fattispecie in cui la cerchia di soggetti legittimati a rilevare il vizio non è predeterminata ex lege.

Se si analizza più in generale la disciplina della nullità del matrimonio, nonché quella della invalidità dei negozi mortis causa e, infine, il regime delle patologie degli atti endosocietari, si può rilevare come la linea di demarcazione fra le due specie di invalidità negoziale divenga sempre più labile e incerta, tanto che si è giunti ad affermare che la nullità quale categoria unitaria non esista più perché non sussiste più alcun tratto comune che la contraddistingue. L'ultima caratteristica rimasta era forse l'imprescrittibilità dell'azione, ma anche questa ormai è venuta meno con la riforma del diritto societario, che all'art. 2379 c.c., così come riformulato, prevede un termine triennale per impugnare le deliberazioni assemblearinulle.

Inoltre, negli ultimi decenni, il sistema delle invalidità codicistiche è stato profondamente innovato dalla legislazione speciale, di origine europea o nazionale, nella quale la figura della nullità si è andata sempre più discostando dal “modello classico”, sia in relazione alle cause generative di tale vizio, sia in relazione alle modalità di “funzionamento” del rimedio; esemplificative al riguardo sono le c.d. “nullità relative” o di “protezione”.

Il problema del regime della nullità funzionale di cui all'art. 43 TUSMAR

Come anticipato, il Tusmar, al fine di garantire il pluralismo informativo, sanziona con la nullità tutte quelle operazioni di concentrazione che comportano il superamento dei tassi soglia fissati dalla legge allo scopo di preservare la libera concorrenza nel mercato delle comunicazioni.

Tale fattispecie conferma l'evoluzione che la figura della nullità ha avuto negli ultimi anni, specie in relazione alle patologie negoziali introdotte dalla legislazione di derivazione europea.

In particolare, nel diritto antitrust la sanzione della nullità si discosta dalla “logica della fattispecie”, che concepisce la nullità come sanzione derivante da una imperfezione dell'atto in sé considerato per un difetto di uno dei suoi elementi costitutivi, e opera come strumento di governo del regolamento negoziale. Si è parlato al riguardo di nullità-funzione, ossia di nullità che rileva ed opera in relazione ad un determinato assetto di interessi.

In tali fattispecie rileva la situazione generale del mercato nella quale il contratto si colloca, nel senso che il medesimo contratto può essere giudicato valido o nullo non solo con riguardo al suo contenuto, ma in considerazione di circostanze esterne ed estranee alla sfera di conoscenza e di controllo delle parti (o quantomeno di uno dei contraenti).

Questo accade, per esempio, in caso di intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale, che sono vietate a pena di nullità ai sensi dell'art. 2 della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

In tale contesto si pone il problema di definire quale sia la disciplina applicabile alla nullità di cui all'art. 43 Tusmar, poiché, sebbene la stessa possa qualificarsi come una nullità testuale ex art. 1418, comma 3, c.c., il regime normativo di diritto comune, quale l'imprescrittibilità dell'azione e l'insanabilità del vizio, nonché l'improduttività degli effetti dell'atto, potrebbe risultare inadeguato, se non addirittura controproducente, rispetto agli interessi che la sanzione mira a proteggere e, in ogni caso, difficilmente attuabile in relazione alle categorie di atti che verrebbero colpite da tale sanzione.

Se si considera che le operazioni che possono dare origine al superamento delle soglie fissate per legge a tutela del pluralismo informativo e che quindi sarebbero nulle ex art. 43, comma 4, Tusmar sono costituite da cessioni di pacchetti azionari, non di rado di società quotate nel mercato borsistico, ovvero da trasferimenti di aziende o rami d'azienda, emergono chiaramente le difficoltà attuative del rimedio.

L'atto nullo, infatti, è improduttivo di effetti; tuttavia, in tali fattispecie la nullità non deriva da un vizio genetico dell'atto in sé considerato, ma dalle conseguenze in termini di assetti proprietari e di controllo che tali trasferimenti comportano nell'ambito del mercato di riferimento. Ciò implica, fra l'altro, la necessità di valutare a posteriori e in concreto gli effetti del contratto al fine di decidere sulla sua validità e ciò sulla base di fattori esterni e di regola estranei alla sfera di controllo quantomeno di una delle parti.

La nullità di cui all'art. 43, comma 4, Tusmar sorgerebbe quindi in relazione alle conseguenze che derivano dall'esecuzione dell'operazione, perché solo nel momento in cui si perfeziona il trasferimento si realizza quella situazione di concentrazione vietata che il legislatore ha inteso sanzionare con la nullità degli atti che ne hanno dato origine.

Ciò è confermato dal quinto comma della disposizione in esame in cui è previso che l'Autorità, qualora accerti il compimento di atti o operazioni in contrasto con i divieti posti dalla legge, ferma restando la loro nullità, «ne inibisce la prosecuzione e ordina la rimozione degli effetti», potendo anche imporre la dismissione di aziende o rami di azienda.

(Segue) Il caso sottoposto al Tribunale di Milano

Il problema degli effetti degli atti compiuti in violazione dei tassi soglia previsti dall'art. 43 Tusmar e del regime della nullità funzionale prevista da tale disposizione si è recentemente posto all'attenzione del Tribunale di Milano.

Il caso è noto ed ha origine dalla decisione del C.d.A. di Mediaset S.p.A. di paralizzare l'esercizio dei diritti amministrativi inerenti alle azioni di titolarità di Vivendi S.A. e, per conto di quest'ultima, della Simon Fiduciaria S.p.A. nell'assemblea ordinaria di Mediaset in ragione dell'accertata violazione da parte di Vivendi dell'art. 43 Tusmar.

Nello specifico, l'Agcom con delibera n. 178/17/Cons. ha accertato la violazione da parte di Vivendi dell'art. 43, comma 11, Tusmar, in ragione del fatto che a quest'ultima, per effetto del collegamento con Telecom e Mediaset, erano riconducibili ricavi nel settore delle telecomunicazioni superiori ai limiti fissati per legge.

In ottemperanza alla delibera dell'Autorità che ha ordinato ai sensi dell'art. 43, comma 5, Tusmar di rimuovere la situazione vietata, Vivendi ha intestato fiduciariamente a Simon Fiduciaria la quota del 19,19% di azioni Mediaset.

In tale contesto, Mediaset ha paralizzato ex art. 83-septies Tuf l'esercizio da parte di Simon Fiduciaria dei diritti amministrativi per quelle azioni la cui titolarità integrava la violazione da parte di Vivendi dei tassi soglia imposti dalla legge, opponendo alla fiduciaria tutte le eccezioni relative al rapporto con il titolare sostanziale di tali azioni.

Al riguardo, il Tribunale ha rilevato che «il titolare delle azioni conseguite con un atto nullo ex art. 43 comma 4 e 11 Tusmar non possa esercitare i diritti inerenti le partecipazioni, soprattutto quelli amministrativi che costituiscono l'elemento fondante il collegamento e quindi la concertazione vietata» e ha ritenuto legittima la determinazione della società emittente (Trib. Milano, ord., 23 novembre 2018; confermata in sede di reclamo con ord., 17 gennaio 2019).

Parimenti, nell'ambito del giudizio di merito introdotto da Vivendi e avente ad oggetto l'annullamento ex art. 2378 c.c. della delibera assembleare di Mediaset per effetto della quale non le è stato possibile esercitare il diritto di voto in assemblea, Vivendi ha agito in via cautelare nei confronti di Mediaset al fine di preservare il proprio diritto di voto limitatamente alle azioni Mediaset ancora detenute.

Come puntualmente rilevato dal Tribunale, a seguito della dismissione di parte delle azioni Mediaset a Simon fiduciaria in ottemperanza al provvedimento dell'Agcom, l'attuale partecipazione di Vivendi in Mediaset si pone al di fuori dei limiti sanzionati dal Tusmar, sicché è stata esclusa la possibilità di paralizzare l'esercizio dei diritti amministrativi inerenti le azioni in Mediaset ancora detenute da Vivendi (Trib. Milano, ord., 31 agosto 2019).

Da tali casi emerge chiaramente la peculiarità della fattispecie di cui all'art. 43 Tusmar. Il Tribunale, infatti, coerentemente con le finalità sanzionatorie previste dalla disposizione in esame, ha inibito l'esercizio dei diritti inerenti solo le azioni la cui titolarità integrava la violazione dei limiti imposti dal Tusmar, mentre ha riconosciuto in capo a Vivendi la possibilità di esercitare i diritti relativi a quella residua parte di azioni il cui possesso, a seguito della dismissione a Simon Fiduciaria, non risultava più in violazione delle soglie di legge.

In conclusione

La nullità prevista dall'art. 43, comma 4, Tusmar, che opera a rafforzamento della disciplina a tutela della concorrenza e del pluralismo del settore dell'informazione, appare di difficile inquadramento dogmatico.

Da una parte, il fondamento della declaratoria di nullità dell'atto non è riconducibile ad un vizio intrinseco dello stesso, ma nel fatto che l'operazione, collocata in un determinato contesto di mercato, è idonea a determinare la situazione di concentrazione distorsiva della concorrenza vietata dalla legge.

Il medesimo atto posto in essere da parte di soggetti economici differenti potrebbe sfuggire alla sanzione in quanto non influente sulla struttura concorrenziale del mercato.

Infatti, la valutazione di liceità investe l'effetto dell'atto e non la sua struttura o i suoi elementi costitutivi; pertanto, solo con l'esecuzione del contratto si realizza quella fattispecie vietata dalla legge e la nullità colpisce un atto produttivo di effetti che, secondo la stessa disciplina legale, non sembra poter divenire inefficace ex tunc. Il comma 5 dell'art. 43 Tusmar prevede, infatti, che l'Autorità possa adottare tutti i provvedimenti necessari ad eliminare le posizioni lesive del pluralismo, ivi inclusa la possibilità di imporre dismissioni di aziende o di rami di azienda, circostanza di per sé non configurabile se il contratto fosse improduttivo di effetti perché darebbe luogo ad un trasferimento a non domino.

Benché il dato letterale della norma sia inequivocabile, la disciplina che il legislatore associa alla nullità ex art. 43 Tusmar sembrerebbe tradursi in un'inefficacia relativa degli atti distorsivi della concorrenza, nel senso che non è precluso l'effetto traslativo, anzi è proprio la situazione di concentrazione ad esso conseguente che fa scattare la sanzione, ma al titolare è impedito esercitare i diritti inerenti e connessi al bene oggetto dell'operazione o dell'intesa vietata fintantoché con atti di dismissione o cessione, anche su imposizione dell'Autorità vigilante, non si ristabiliscano gli equilibri concorrenziali.

Quanto al regime giuridico della nullità di cui all'art. 43 Tusmar, in mancanza di previsioni specifiche, non potrà che essere quello di diritto comune. Si tratterà pertanto di una nullità assoluta, rilevabile d'ufficio e imprescrittibile fintantoché persista la situazione di concentrazione vietata dalla legge. Del resto, sebbene sorga spontaneo interrogarsi sulla adeguatezza del rimedio della nullità come tecnica di tutela nel diritto antitrust, allo stato, anche in relazione alla sanzione prevista dal Tusmar, non può prescindersi dalla lettera della legge.

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