La carica di amministratore di società di capitali è compatibile con la qualità di lavoratore dipendente
19 Dicembre 2019
Premessa
Con il messaggio del n. 3359 del 17 settembre 2019, l'Inps ha stabilito le condizioni che rendono possibile la coesistenza della carica di amministratore di società di capitali con un contratto di lavoro subordinato con la stessa società. L'intervento dell'Istituto recepisce l'orientamento giurisprudenziale più recente, concentrando la propria attenzione sulle figure del socio e dell'amministratore unico, del presidente del Consiglio di amministrazione e dell'amministratore delegato. Nel messaggio, l'Inps ripercorre i propri precedenti in materia: se con la circolare 8 agosto 1989, n. 179 era pervenuta ad escludere in linea di massima la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo a presidenti, amministratori unici e consiglieri delegati, con il successivo messaggio 8 giugno 2011, n. 12441 aveva invece affermato che il presidente di una società cooperativa potesse esserne al tempo stesso lavoratore subordinato.
Ora, con il messaggio in commento, l'Istituto individua tre condizioni essenziali per poter configurare la compatibilità della carica sociale con il contratto di lavoro subordinato: 1. il potere deliberativo diretto a formare la volontà dell'ente deve essere affidato ad un organo collegiale di amministrazione della società nel suo complesso o ad un altro organo sociale espressione della volontà dell'ente; 2. l'organo sociale è assoggettato all'effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell'organismo sociale a cui appartiene; 3. il soggetto in questione svolge, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società o attività che non rientrino nei poteri gestori che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite. Del resto, il revirement dell'Istituto risente del dibattito giurisprudenziale, sempre in fermento: la Suprema Corte di Cassazione ha infatti più volte affermato che “l'essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione dell'ente” (cfr. Cass. 18476/2014 e n. 24972/2013). Pertanto, in linea generale, la carica di amministratore di società di capitali è tutt'altro che incompatibile con lo status di lavoratore subordinato, a patto che rilevi il già citato vincolo di subordinazione, che prevede la sottoposizione dell'amministratore alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell'organo collegiale. Il messaggio Inps richiama i principi giurisprudenziali espressi dalla Suprema Corte (cfr. sentenze Cass., Sez. Un., n. 10680/1994 e Cass. n. 1793/1996) secondo cui “né il contratto di società, né l'esistenza del rapporto organico che lega l'amministratore alla società, valgono ad escludere la configurabilità di un rapporto obbligatorio tra amministratori e società, avente ad oggetto, da un lato la prestazione di lavoro e, dall'altro lato la corresponsione di un compenso sinallagmaticamente collegato alla prestazione stessa. Ciò perché, in particolare, il rapporto organico concerne soltanto i terzi, verso i quali gli atti giuridici compiuti dall'organo vengono direttamente imputati alla società; con la conseguenza che, sempre verso i terzi, assume rilevanza solo la persona giuridica rappresentata, non anche la persona fisica. Ma nulla esclude che nei rapporti interni sussistano rapporti obbligatori tra le due persone”, anche di lavoro subordinato. Tanto premesso, è il concreto atteggiarsi del rapporto e delle attività svolte dal soggetto che ricopre la carica sociale (che devono essere diverse ed ulteriori rispetto a quelle tipiche di tale carica) a determinare poi la sussistenza o meno degli indici della subordinazione e, di conseguenza, compatibilità o incompatibilità con il lavoro dipendente. Le diverse cariche societarie a confronto con la casistica giurisprudenziale
Passando ad esaminare la casistica affrontata dal messaggio Inps, la giurisprudenza esclude in modo univoco la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel caso dell'amministratore unico in quanto “non possono riunirsi in un unico soggetto la qualità di esecutore subordinato della volontà sociale e quella di organo competente ad esprimere tale volontà” (Cass., Sez. Lav., n. 7312/2013). Al contrario, la figura del consigliere d'amministrazione, membro cioè di un organo collegiale, non è incompatibile con il vincolo di subordinazione, a condizione che venga provato l'effettivo assoggettamento al potere direttivo esercitato dall'organo di amministrazione, nonostante la carica rivestita. Proprio con riferimento ai consiglieri d'amministrazione è rilevante distinguere tra amministratori esecutivi, a cui può estendersi il principio appena formulato, e non esecutivi, per i quali il vincolo di subordinazione appare insussistente. Non sussiste ostacolo tra la riconoscibilità di un rapporto di lavoro subordinato e la qualità di rappresentante legale della società, ma può configurarsi una perfetta coesistenza tra i due ruoli, soprattutto quando nel primo sussistano le caratteristiche dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione dell'ente” (cfr. Cass. n. 18476/2014 e n. 24972/2013). Ciò può affermarsi sicuramente con riferimento alla figura dell'amministratore di società di capitali, allorché tale carica non faccia venir meno i requisiti tipici della subordinazione. Altrettanto si può sostenere per colui il quale rivesta la qualifica di Presidente o Vice Presidente del consiglio di amministrazione, relativamente al quale il rapporto organico con la società concerne soltanto i terzi, verso i quali gli atti giuridici compiuti dall'organo vengono direttamente imputati alla società. Sempre verso i terzi, assume rilevanza solo la persona giuridica rappresentata e non anche la persona fisica, ma nulla esclude che nei rapporti interni sussistano rapporti obbligatori tra le due persone, quale quello di lavoro subordinato: e difatti, nel lavoro del normale dirigente, per la sua posizione di alter ego dell'imprenditore, tenuto all'attuazione di direttive di carattere generale, è parzialmente ravvisabile la natura imprenditoriale dell'attività, natura che poi caratterizza del tutto quella dell'institore (art. 2203 c.c.), figura senz'altro rientrante nel novero dei prestatori d'opera subordinati (in tal senso, cfr. Cass., Sez. Lav., n. 1793/1996). Tali considerazioni possono altresì essere estese alla figura dell'amministratore delegato, con i limiti riguardanti la portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione. Infatti nel caso in cui tale delega abbia portata generale e conferisca la facoltà di agire senza il previo consenso del Consiglio, la compatibilità con la subordinazione è da escludere. Al contrario, l'attribuzione del solo potere di rappresentanza o il conferimento di deleghe circoscritte a determinata materie non costituisce ostacolo alla riconoscibilità della sussistenza del vincolo di subordinazione. È in ogni caso opportuno rilevare che le peculiarità del caso concreto possono tuttavia far approdare a soluzioni diverse da quelle appena prospettate: secondo il caso esaminato dalla Cassazione con la sentenza n. 1726/1999, infatti, “la qualifica di lavoratore subordinato non è compatibile con quella di amministratore delegato di società di capitali, né con quella di amministratore che abbia comunque la titolarità effettiva di tutto il potere gestionale in quanto appartenente alla famiglia azionista di riferimento della società controllante la società amministrata, non essendo configurabile il vincolo di subordinazione ove manchi la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in un unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di organo competente ad esprimerle”. La qualità di socio ed amministratore di società di capitali composta da più soci è compatibile con la configurabilità del rapporto di lavoro subordinato: condizioni essenziali sono che il vincolo della subordinazione emerga da un concreto assoggettamento del socio alle direttive ed al controllo dell'organo collegiale amministrativo formato dagli altri soci, che non si tratti di amministratore unico ma membro di un consiglio ed infine che la volontà della società non sia riconducibile a quella del solo amministratore (in tali termini, cfr. Cass., Sez. Lav., n. 21759/2004). Se tuttavia il socio è unico, rileva allora il principio per cui la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di un solo soggetto esclude la sua soggezione alle determinazioni di un diverso organo societario. Così con riferimento a quanto disposto dalla pronuncia appena richiamata, il socio che abbia assunto di fatto nell'ambito della società l'effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione, tanto da risultare “sovrano” della società stessa, non può assumere contemporaneamente anche la diversa figura di lavoratore subordinato essendo esclusa la possibilità di ricollegare ad una volontà “sociale” distinta la costituzione e gestione del rapporto di lavoro.
In conclusione
Si può, quindi, conclusivamente affermare che, laddove sussista vincolo di subordinazione (che si concreta nella sottoposizione gerarchica e al potere direttivo esercitato dall'organo amministrativo della società) unitamente allo svolgimento di mansioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle tipiche di amministrazione e al di fuori dei peculiari casi dell'amministratore unico, sussiste la compatibilità con il rapporto di lavoro di tipo subordinato. Spetterà al soggetto che intende vedersi riconosciuta la subordinazione l'onere di fornire elementi di prova in tal senso, anche attraverso presunzioni precise, univoche e concordanti (cfr. in tal senso la già citata Cass., n. 1793/1996), mentre alla società quello di dedurre e provare circostanze idonee a superare la presunzione dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. |