Nessun dubbio sulla fallibilità della società "in mano pubblica"

Beatrice Armeli
20 Dicembre 2019

I presupposti normativi per la dichiarazione di fallimento non sono esclusi dalla semplice circostanza che la società sia stata costituita con provvedimento normativo di carattere legislativo e non mediante le forme negoziali comuni (atto costitutivo e statuto), come avviene nel settore del diritto privato, dovendosi avere riguardo all'attività effettivamente esercitata dalla società medesima ed alla sua riconducibilità alla nozione di impresa commerciale.
Massima

I presupposti normativi per la dichiarazione di fallimento non sono esclusi dalla semplice circostanza che la società sia stata costituita con provvedimento normativo di carattere legislativo e non mediante le forme negoziali comuni (atto costitutivo e statuto), come avviene nel settore del diritto privato, dovendosi avere riguardo all'attività effettivamente esercitata dalla società medesima ed alla sua riconducibilità alla nozione di impresa commerciale.

Il caso

Casinò de la Vallèe s.p.a., depositato il ricorso per concordato preventivo con continuità aziendale diretta, veniva ammessa alla procedura dal Tribunale di Aosta. Il Commissario giudiziale nominato, pur riscontrando la convenienza del piano, individuava tuttavia alcune criticità, in parte superate da un disegno di legge presentato dalla Giunta regionale prima dell'adunanza dei creditori, approvato dal Consiglio regionale della Regione Autonoma Valle d'Aosta con la l.r. 4 luglio 2019, n. 8. La proposta di concordato veniva quindi approvata dai creditori e il competente Tribunale procedeva alla fissazione dell'udienza per il giudizio di omologazione. Nelle more, taluni creditori instavano per l'avvio del procedimento di revoca del concordato, evidenziando sia il compimento di atti di frode da parte della società, sia l'assenza delle condizioni per l'ammissibilità del concordato, segnalando in particolare, a tale riguardo, il difetto in capo alla società in questione dei presupposti soggettivi di fallibilità ex art. 1 l.fall.

Ritenuti dal Commissario giudiziale insussistenti i motivi per una segnalazione ai sensi dell'art. 173 l.fall., lo stesso chiedeva il rigetto delle opposizioni all'omologa nel frattempo intervenute. Il Collegio, in sede di omologazione ex art. 180 l. fall., giudicati non meritevoli di accoglimento i motivi di opposizione presentati dai creditori e considerato, inter alia, omologabile il concordato in continuità aziendale quando il fallimento costituisce un'alternativa rovinosa per l'interesse del ceto creditorio, provvedeva dunque ad omologare il concordato preventivo proposto da Casinò de la Vallèe s.p.a., dichiarando chiusa la relativa procedura.

La questione giuridica

Diversi sono stati i motivi di opposizione all'omologa proposti. Quello su cui si è scelto di sviluppare il presente commento è il primo esaminato dal Tribunale, ritenuto dallo stesso “palesemente infondato”. In particolare, la questione verte sulla assoggettabilità o meno della società di gestione della casa da gioco alle ordinarie procedure concorsuali. Il creditore opponente ne afferma l'esenzione dal fallimento, e dunque dal concordato preventivo, ai sensi dell'art. 1, c. 1, l.fall., in ragione della natura dell'attività esercitata, della destinazione dell'attività svolta al soddisfacimento di un interesse pubblico preminente e della disciplina di diritto speciale da primaria fonte legislativa di rango regionale. Il Collegio, invece, rifiuta la tesi che Casinò de la Vallèe s.p.a. possa sottrarsi alla disciplina delle procedure concorsuali in quanto ente pubblico economico ovvero quale società di diritto singolare, “per una nutrita serie di ragioni”.

La soluzione

Il Giudice dell'omologa, in via preliminare, ritiene anzitutto la tesi dell'opponente, da un lato contraddittoria, nella misura in cui invoca l'esenzione dal fallimento della società in concordato reputandola al contempo sottoponibile alla procedura di amministrazione straordinaria, e dall'altro lato non curante del fatto che la società in questione, svolgendo oltre all'esercizio del gioco d'azzardo anche attività alberghiera quale attività d'impresa di diritto privato comune, non può non essere assoggettabile al fallimento e alle altre procedure concorsuali.

Scendendo poi ulteriormente nel merito dell'infondatezza delle argomentazioni sostenute per il diniego dell'omologa, il Tribunale osserva che le peculiari modalità di costituzione di una società a esclusiva partecipazione pubblica non possono confondersi con i presupposti normativi per la dichiarazione di fallimento. In sostanza, la semplice circostanza che la società, come quella di cui si discute, sia costituita mediante provvedimento normativo di carattere legislativo, anziché negozio giuridico privato, non vale a qualificare la stessa come ente pubblico economico, escluso, come noto, dalla disciplina sul fallimento e sul concordato preventivo. A detta del Collegio, infatti, la natura di diritto speciale della società costituita ex lege si esaurisce nel suo momento genetico e nei rapporti con il socio (pubblico) di maggioranza. A riprova, il decreto in commento richiama la giurisprudenza di legittimità già espressasi sul punto (Cass. civ., sez. un., n. 17279/2018) e, per il tramite di essa, in particolare l'art. 1, c. 3, d.lgs. 175/2016 (t.u. in materia di società a partecipazione pubblica). Il Tribunale, inoltre, esclude che Casinò de la Vallèe s.p.a. possa considerarsi ente pubblico, sulla scorta di quanto già ritenuto in sede amministrativa, ove si è rilevato che lo scopo di gestire una casa da gioco non può essere considerato una finalità di interesse pubblico (TAR Valle d'Aosta, sez. I, 15 novembre 2007, n. 140, che ha altresì escluso la natura di organismo di diritto pubblico del Casinò de la Vallèe) e alla stregua di quanto già previsto sia dalla giurisprudenza ordinaria di merito in una situazione analoga riferita a Casinò di Campione d'Italia s.p.a. (App. Milano, n. 1055/2019, inedita, cit. dal decreto), sia dalla Corte di giustizia UE che ha qualificato i giochi d'azzardo come attività economiche (causa C-06/01, sent. 11 novembre 2003).

Alla luce delle precedenti considerazioni, pertanto, il Collegio ha ritenuto Casinò de la Vallèe s.p.a. non configurabile come ente pubblico economico o come società di diritto regionale singolare, qualificandola piuttosto come società a totale partecipazione pubblica esercente un'attività di natura imprenditoriale che non costituisce esercizio né di funzione pubblica, né di pubblico servizio a favore della collettività, quanto piuttosto attività imprenditoriale autorizzata dalla legge, e, in quanto tale, assoggettabile a fallimento e alle altre procedure concorsuali, tra cui il concordato preventivo, pertanto, nella fattispecie, omologato.

Osservazioni

La pronuncia in commento, relativamente alla massima in epigrafe, si pone senza soluzione di continuità nel solco già tracciato dalla giurisprudenza della Cassazione, laddove, sulla base oggi anche del dato normativo offerto dal d.lgs. 175/2016, riconosce la sottoponibilità a fallimento, e dunque a concordato preventivo, delle società cc.dd. “in mano pubblica”, che, nel trattamento concorsuale, nettamente si distinguono dagli enti pubblici economici, notoriamente esentati dalle predette procedure di concorsuali ai sensi dell'art. 1, c. 1, l.fall. A riguardo, il Tribunale di Aosta basa le proprie conclusioni su due osservazioni. La prima attiene alla modalità di costituzione della società in concordato, la seconda alla sua attività. A detta dei giudici: il primo aspetto non è sufficiente a sottrarre Casinò de la Vallèe s.p.a. dall'applicazione delle comuni norme concorsuali; al contempo, il secondo è sufficiente a confermarne l'applicazione. Entrambi i profili, dunque, concorrono nel riconoscere l'ammissibilità, per la società in questione, ad accedere a concordato preventivo, in quanto impresa commerciale fallibile.

In particolare, Casinò de la Vallèe è una società che è stata istituita con provvedimento legislativo (l.r. 30 novembre 2001, n. 36) ed è a esclusiva partecipazione pubblica, essendo interamente partecipata da due enti pubblici, ovvero dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta (per oltre il 99,5%) e dal Comune di Saint Vincent (per la quota che residua). Ebbene, per il Collegio detti tratti non valgono certo a qualificare la società come ente pubblico economico, ma determinano la specialità della società solo nel suo momento genetico di costituzione e nei rapporti con il socio pubblico, che peraltro, nel caso di specie, ha giocato un ruolo rilevante anche ai fini dell'approvazione del piano concordatario, con l'emanazione di una legge regionale ad hoc, in conformità alla quale la società ha deliberato una modifica statutaria proprio in vista dell'adunanza dei creditori. Dunque, la costituzione ex lege e la partecipazione pubblica totalitaria non si riverberano su aspetti diversi rispetto ai predetti, per cui con riguardo a tali aspetti – si può dire non “influenzati” dalla mano pubblica – non è possibile discostarsi dalle norme dettate per l'impresa commerciale di diritto privato. Lo stesso organo giudicante, poi, al fine di differenziare il soggetto societario in questione dall'ente pubblico economico sottratto al fallimento, sottolinea la necessità di “avere riguardo all'attività effettivamente esercitata dalla società medesima e alla sua riconducibilità alla nozione di impresa commerciale”. Appurato quindi che la gestione di una casa da gioco, lungi dall'avere una finalità di interesse pubblico, è qualificabile come attività imprenditoriale di natura commerciale, nessun dubbio può insinuarsi sulla fallibilità di Casinò de la Vallèe s.p.a., legittimamente ammessa a concordato preventivo.

Sul punto, paiono opportune alcune precisazioni. Non è infatti un'interpretazione di chi scrive la riferibilità dell'esenzione prevista dall'art. 1, c. 1, l.fall. agli enti pubblici esercenti in via esclusiva o prevalente un'attività economica. I cc.dd. “enti pubblici economici” sono infatti definiti dalla dottrina amministrativistica come persone giuridiche pubbliche che svolgono, nell'interesse dello Stato o di altro ente pubblico territoriale, proprio attività imprenditoriale. Dunque, anche l'ente pubblico economico può svolgere attività di impresa commerciale. A dispetto di quanto asserito – forse un po' troppo frettolosamente – nella pronuncia in commento, non è quindi l'attività esercitata l'elemento di discrimine tra il sotto-insieme delle società pubbliche, assoggettate a fallimento e concordato preventivo, e la macro-classe degli enti pubblici economici esentati, bensì la natura del soggetto (Cass. civ., sez. un., n. 26283/2013), che, solo in quest'ultimo caso, determina l'esigenza di mantenere in capo all'ente la titolarità delle funzioni amministrative, evitando l'ingerenza dell'autorità giudiziaria in ambiti riservati all'autorità amministrativa e, per questo, l'applicazione delle ordinarie procedure concorsuali. Nel merito, pertanto, il decreto in commento, pur giungendo a conclusioni ineccepibili, non ripercorre le argomentazioni più volte sostenute dai giudici di legittimità (v. oltre alla sentenza sopra citata, anche: Cass. civ., sez. un., n. 22406/2018; Cass. civ., sez. un., n. 24591/2016), invece richiamate, in un'occasione similare a quella di specie, dal Tribunale di Como (sent. 27 marzo 2018, che ha dichiarato il già menzionato fallimento di Casinò di Campione d'Italia s.p.a., proprio escludendo la sua riconduzione alla categoria degli enti pubblici). In diverse sedi, infatti, in tema di fallibilità delle società pubbliche, si è ricordata la riserva di legge sancita dall'art. 4 l. 70/1975 in ordine all'attribuzione della qualità pubblica di un ente; qualità che, ove non disvelata dal legislatore, comunque “deve necessariamente potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco”, non potendo derivare da una mera scelta dell'interprete. Il decreto del Tribunale di Aosta, pur non esplicitando il predetto principio, avrebbe comunque il pregio di chiarire che il solo fatto che una società – oltre a essere a partecipazione pubblica – sia costituita per atto normativo non è indice rivelatore di quella qualità “pubblica” voluta dal legislatore e capace di spogliare il soggetto giuridico, a cui è attribuita, della sua veste privatistica, la quale invece rileva ai fini dell'applicazione delle norme sulle società contenute nel codice civile e di quelle generali di diritto privato, ai sensi del citato art. 1, c. 3, d.lgs. 175/2016. Ancorché non venga espressamente richiamato nella pronuncia in esame, è opportuno peraltro ricordare anche l'art. 14 dello stesso t.u., ove è chiaramente statuito – per quel che qui rileva – che “le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo”. In sostanza, pertanto, non è vero che per il solo fatto che un soggetto presenti tratti di rilievo pubblicistico, per ciò stesso sia anche qualificabile come ente pubblico. Piuttosto detto soggetto, proprio in quanto società per azioni, deve intendersi sottoposto alle regole privatistiche comuni e quindi anche a quelle proprie del diritto concorsuale, non essendovi ragioni per discostarsi dalla disciplina della società commerciale, per tutto ciò che non attiene al suo momento costitutivo (nella specie avvenuta mediante legge regionale) e al rapporto con il socio pubblico (v. anche Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 2019, n. 5346, riguardo al fallimento della società in house; nonché Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3196).

Quindi, è proprio l'uso dello strumento privatistico, e non già l'attività esercitata (su cui invece fa leva il decreto in epigrafe) – attività che invero potrebbe ben essere anche a finalità pubblica – a comportare la fallibilità delle società in mano pubblica, ovverosia l'assunzione in capo alle stesse dei rischi connessi alla loro insolvenza o comunque al loro stato di difficoltà economico-finanziaria. Così, anche in ossequio ai principii di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto (Cass. civ., sez. un., n. 24591/2016; Cass. civ., sez. I, n. 22209/2013), la loro riconosciuta veste di imprenditore commerciale importa, sul piano della disciplina concorsuale, una perfetta equiparazione con le società private.

Tale approdo ha trovato peraltro conferma anche nel nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. In particolare, ai sensi dell'art. 2, c. 1, lett. f), del d.lgs. 14/2019, per “società pubbliche” si intendono “le società a controllo pubblico, le società a partecipazione pubblica e le società in house”, e le stesse, in conformità a quanto già previsto dal summenzionato t.u., ai sensi dell'art. 1, c. 1 e c. 3, del medesimo decreto, risultano ricomprese nell'ambito applicativo del Codice.

Conclusioni

Punto di forza della pronuncia in commento, relativamente alla questione giuridica qui affrontata, è senza dubbio il ribadire la sottoponibilità a fallimento, e pertanto anche a concordato preventivo, della società a partecipazione pubblica, evidenziando al riguardo l'irrilevanza della costituzione ex lege. L'anello debole delle argomentazioni si coglie invece nell'aver attribuito espressamente portata determinante al carattere commerciale dell'attività svolta dal soggetto giuridico e, subordinatamente, alla finalità non pubblicistica della stessa, posto che, se è vero nel caso di specie che la gestione di una casa da gioco è attività commerciale scevra da qualunque finalità pubblicistica (il che basta a far rientrare Casinò de la Vallèe s.p.a. tra i soggetti fallibili), altrettanto vero è che pure gli enti pubblici esclusi dal fallimento e dal concordato preventivo possono esercitare attività imprenditoriale (così gli enti pubblici economici), come, per contro, le società partecipate possono anche perseguire scopi di rilievo pubblicistico senza per questo essere esentate, in virtù della riconosciuta neutralità delle forme societarie. E ciò si confermerà anche con l'entrata in vigore del nuovo Codice.

Guida all'approfondimento

Guerrieri, Anche le società pubbliche possono fallire: il caso del Casinò di Campione, in IlFallimentarista.it, 10 settembre 2018; Schirra, Nuove frontiere delle società partecipate: il dissesto e la fallibilità, in IlFallimentarista.it, 1° luglio 2016; Codazzi, La società in mano pubblica e fallimento: alcune considerazioni sulla disciplina applicabile tra diritto dell'impresa e diritto delle società, in Giur. comm., 2015, 1, I, 74; Scarafoni, Il fallimento delle società a partecipazione pubblica, in Dir. fall., 2010, I, 438; D'Attorre, Le società in mano pubblica possono fallire?, in Fall., 2009, 715.

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