Il lavoratore deve dimostrare il danno subito a causa di demansionamento e dequalificazione

La Redazione
17 Dicembre 2019

La prova del danno da demansionamento e dequalificazione professionale può essere offerta dal lavoratore anche ai sensi dell'art. 2729, c.c. con l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. L'onere del lavoratore di specifica allegazione dei fatti è alleggerito però in caso di inadempimento del datore di lavoro con conseguente totale inattività del lavoratore.

Massima. La prova del danno da demansionamento e dequalificazione professionale può essere offerta dal lavoratore anche ai sensi dell'art. 2729, c.c. con l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. L'onere del lavoratore di specifica allegazione dei fatti è alleggerito però in caso di inadempimento del datore di lavoro con conseguente totale inattività del lavoratore.

La vicenda. La Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, condannava Trenitalia al risarcimento del danno da demansionamento richiesto da un lavoratore dipendente, confermando la pronuncia nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da mobbing. Il lavoratore ha impugnato la pronuncia con ricorso per cassazione.

Onere della prova.La Corte coglie l'occasione per ricordare che la consolidata giurisprudenza, data la peculiarità del rapporto di lavoro cui ineriscono gli obblighi di cui agli artt. 2103 e 2087 c.c. “ha qualificato come inadempimento contrattuale la violazione degli obblighi di tutela della professionalità, della salute e della personalità modale dei lavoratori” (Cass. n. 25743 del 2018, n. 1327 del 2015, n. 19785 del 2010). È stato poi precisato che dall'inadempimento datoriale non deriva automaticamente l'esistenza del danno. Ed infatti vanno tenuti distinti l'inadempimento ed il danno risarcibile, secondo gli ordinari principi civilistici di cui agli artt. 1218 e 1223, c.c. “cioè tra il momento della violazione degli obblighi di cui agli artt. 2087 e 2103, c.c. e quello della produzione del pregiudizio, nei differenti aspetti che lo stesso può assumere”. Dall'inadempimento datoriale possono infatti derivare per il lavoratore diverse conseguenze lesive in termini di danno professionale patrimoniale, danno biologico, danno all'immagine o alla vita relazione quali danni non patrimoniali, le quali possono anche coesistere con la conseguente necessità di specifica allegazione e prova da parte di chi assume di essere stato danneggiato, ovvero il lavoratore.

Proseguendo il ragionamento, la Corte ricorda che la prova del danno da demansionamento e dequalificazione professionale può essere offerta dal lavoratore anche ai sensi dell'art. 2729, c.c. con l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, "potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione" (Cass. n. 25743 del 2018; n. 19778 del 2014).

Ricordano poi i Supremi Giudici l'onere del lavoratore di specifica allegazione dei fatti è alleggerito laddove sia riscontrabile un inadempimento del datore di lavoro con conseguente totale inattività del lavoratore, senza attribuzione di mansioni o assegnazione di compiti, soprattutto se tale inattività, in assoluto contrasto con l'art. 2103, c.c., si sia protratta per molto tempo.


Avendo la sentenza impugnata, correttamente applicato i ricordati principi, la Corte non può che dichiarare inammissibile il ricorso.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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