Dichiarazione di fallimento omisso medio: il recente arresto del Tribunale di Ancona

31 Dicembre 2019

Il dies ad quem dell'azione di risoluzione ex art. 186 l.fall. deve essere individuato nell'anno successivo al termine dell'ultimo adempimento previsto nel piano e nella proposta concordataria e richiamato nel decreto di omologa.
Massima

Il dies ad quem dell'azione di risoluzione ex art. 186 l.fall. deve essere individuato nell'anno successivo al termine dell'ultimo adempimento previsto nel piano e nella proposta concordataria e richiamato nel decreto di omologa.

La disciplina del concordato consente l'azione di risoluzione dalla quale sola potrà derivare il successivo e consequenziale fallimento. Lo stato di crisi/insolvenza che ha dato luogo alla procedura concordataria viene rimosso dall'effetto esdebitatorio dell'omologazione, da cui discende che l'impresa non può essere dichiarata fallita se non sulla scorta di una nuova insolvenza generatasi per effetto di obbligazioni contratte successivamente all'omologazione e rimaste inadempiute.

Il caso

Una Società creditrice di una S.r.l. in concordato preventivo, proponeva ricorso ex art. 186 l.fall. innanzi al Tribunale di Ancona, domandando la risoluzione per inadempimento del concordato omologato con decreto in data 06.10.2010 e, conseguentemente, il fallimento della S.r.l.

La Società debitrice, costituendosi in giudizio, eccepiva, innanzitutto, l'inammissibilità della domanda di risoluzione del concordato per decorso del termine decadenziale - previsto dallo stesso art. 186 l.fall. - di un anno dal giorno dell'ultimo adempimento indicato nel piano concordatario (nel caso di specie, pari a tre anni dalla data dell'omologazione del concordato in parola).

La S.r.l. eccepiva, inoltre, l'inammissibilità dell'istanza di fallimento proposta dalla Società creditrice, in assenza della preventiva risoluzione del concordato preventivo e, comunque, la carenza del requisito dello stato di insolvenza.

Con la pronuncia in commento, il Collegio presso il Tribunale di Ancona, nell'accogliere le difese della Debitrice, ha dichiarato inammissibile la domanda di risoluzione del concordato preventivo e, di conseguenza, l'istanza di fallimento proposta.

Questioni giuridiche

Il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, in relazione alle fattispecie trattate nella pronuncia in esame

Con il Decreto in esame, il Tribunale di Ancona si è recentemente espresso in materia di risoluzione del concordato preventivo ex art. 186 l.fall. e dichiarazione di fallimento c.d. omisso medio.

Il percorso motivazionale adottato nel provvedimento in commento si impernia sulla trattazione di due questioni giuridiche distinte, ma tra loro strettamente correlate.

La prima questione riguarda l'individuazione del termine entro il quale proporre la domanda di risoluzione del concordato omologato, termine che l'art. 186, comma 3 l.fall., così come modificato ex art. 17, D. Lgs. n. 169/2007, fissa espressamente in “un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato”.

La dottrina e la giurisprudenza, nel silenzio della norma hanno chiarito che la natura del termine annuale per il deposito del ricorso volto a richiedere la risoluzione del concordato è di decadenza, con la conseguenza che lo stesso non è suscettibile di sospensione o di interruzione alcuna (cfr. Vitiello M., Commento all'art. 186 l. fall., in Codice commentato del fallimento, diretto da Lo Cascio G., Milanofiori Assago, 2015, 2312-2313, Tribunale di Ravenna, 21.03.2014, sent.).

È evidente che quando la proposta di concordato preveda un termine specifico per l'adempimento delle obbligazioni concordatarie, non sorgono criticità nell'identificare il dies a decorrere dal quale si verificherà l'inadempimento, fermo restando che quest'ultimo dovrà essere “di non scarsa importanza”, alla luce degli obblighi concordatari nel complesso assunti (e non, quindi, limitatamente al pregiudizio del singolo creditore che insista per la sua risoluzione).

Vero è che il processo di accertamento del requisito dell'inadempimento “di non scarsa importanza” è mutuato dai principi civilistici in tema di risoluzione del contratto (artt. 1453 ss. c.c. e s.s.), tuttavia la sua valutazione si atteggerà in modo differente a seconda del tipo di concordato confezionato dall'imprenditore e dipenderà dalle modalità di costruzione del piano e dai contenuti della proposta, attese le prospettive di soddisfacimento dei creditori.

La seconda questione, più controversa e oggetto di approfondite riflessioni da parte degli interpreti, concerne la possibilità di dichiarare il fallimento di una società in concordato preventivo omologato senza preliminarmente disporre la risoluzione di quest'ultima procedura (c.d. fallimento omisso medio).

A differenza, dunque, del fallimento c.d. in consecutio alla risoluzione - la quale determina senza dubbio la caducazione degli effetti modificativi dei rapporti giuridici derivanti dall'omologazione (primo tra tutti quello esdebitatorio) - la fattispecie c.d. omisso medio, non fondandosi sulla previa risoluzione concordataria, comporta il sorgere di maggiori criticità non solo nella prassi applicativa, ma anche sotto il profilo ermeneutico.

L'ammissibilità di tale fattispecie è discussa in dottrina e particolarmente sentita anche dalla giurisprudenza che si è interrogata più volte sulla questione proponendo soluzioni diverse, ad oggi non ancora armonizzate da un intervento risolutore.

Secondo un primo orientamento sposato dalla Corte di Cassazione (in particolare, si vedano le pronunce Cass., Sez. I civ., 17.10.2018, n. 26002, sent.; Cass., Sez. VI civ., 11.12.2017, n. 29632, ord.; Cass., Sez. VI civ., 17.07.2017, n. 17703, ord.) e dalla prevalente giurisprudenza di merito, il fallimento di un'impresa il cui concordato sia stato omologato ma sia rimasto inadempiuto, sarebbe ammissibile anche in assenza della sua preventiva risoluzione poiché nessuna norma di legge depone in senso contrario.

Anzi, “non consentire la dichiarazione di fallimento nell'ipotesi in cui la società in concordato versi in stato di insolvenza significherebbe creare una ingiustificata disparità di trattamento con gli altri soggetti imprenditoriali in bonis” (cfr. Tribunale di Arezzo, Sez. Fall., 3 maggio 2018, sent.). Devesi, infatti, escludersi “che la specialità dell'art. 186 abbia portata soppressiva degli artt. 6 e 7 l.fall.”, costituenti principi cardine del diritto fallimentare che consentono ai soggetti legittimati di provocare la dichiarazione di fallimento del debitore commerciale insolvente in presenza di determinati requisiti (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 11.12.2017, n. 29632, ord.).

La mancata risoluzione del concordato preventivo inciderebbe unicamente sulla misura del credito che potrà essere ammesso al passivo fallimentare: qualora la dichiarazione di fallimento intervenga successivamente al decorso del termine per chiedere la risoluzione del concordato, il creditore sarà ammesso al passivo solo nella misura prevista nel piano concordatario che risulta ormai consolidato e non per quanto originariamente spettante.

Detta impostazione, tuttavia, non è stata unanimemente condivisa ponendosi in contrasto con una differente corrente interpretativa - supportata, in passato, da alcune pronunce di Corti di merito minori e, di recente, dalla Corte d'Appello di Firenze - che nega la possibilità di ottenere una dichiarazione di fallimento senza la preventiva risoluzione del concordato, sostenendo - in sintesi - che (i) quest'ultima sia “l'unica possibilità di reazione creata dall'ordinamento per l'inadempimento alle obbligazioni assunte con quello specifico concordato omologato” (cfr.App. Firenze, Sez. I civ., 16.05.2019, n. 1148, sent.) e che (ii) l'eliminazione del fallimento d'ufficio quale automatica conseguenza del venir meno del concordato - secondo quello che era il disposto dell'art. 186 l.fall., anteriormente alla novella del 2007 - deporrebbe per la preclusione alla dichiarazione di fallimento senza previa risoluzione.

I sostenitori di tale tesi, pur ammettendo la possibilità di una dichiarazione di fallimento a fronte di una “nuova insolvenza” – ossia per obbligazioni sorte successivamente all'omologa ed estranee alla procedura concorsuale – ritengono che il decreto di omologazione del concordato preventivo provochi un effetto esdebitativo che potrebbe validamente essere rimosso solamente per il tramite dell'azione di risoluzione ex art. 186 l.fall. (cfr. in particolare, Tribunale di Pistoia, Sez. Civ., 21 dicembre 2017, decr.).

Il caso concreto e la soluzione offerta dalla pronuncia in commento

Nel quadro sopra delineato, si inserisce la pronuncia del Tribunale di Ancona offrendo un interessante arresto in tema di fallimento c.d. omisso medio.

Per quanto concerne l'aspetto relativo ai termini di proposizione dell'azione di risoluzione, il Tribunale marchigiano si conforma alla lettera dell'art. 186, comma 3 l.fall. e all'orientamento giurisprudenziale maggioritario, precisando che il termine decadenziale di un anno per la richiesta di risoluzione del concordato preventivo debba decorrere dalla data prevista per l'adempimento, così come stabilito nella proposta e richiamata nel decreto di omologazione.

Non sarebbe ammissibile, infatti, far decorrere il termine dall'ultimo adempimento in concreto posto in essere poiché una tale interpretazione, da un lato, non sarebbe aderente al dettato normativo e, dall'altro lato, farebbe discendere il termine decadenziale da un avvenimento - l'ultimo atto effettivamente posto in essere dal concordato - futuro ed incerto.

Quanto alla questione principale affrontata dal Tribunale e concernente la possibilità di richiedere il fallimento c.d. omisso medio dell'impresa inadempiente rispetto agli obblighi assunti con l'omologa del concordato preventivo, il Collegio adito ha ritenuto inammissibile la domanda avanzata dalla Società creditrice, aderendo alla tesi minoritaria che nega la possibilità di dichiarare il fallimento senza previa risoluzione del concordato.

La conclusione cui perviene il Tribunale di Ancona si fonda principalmente su due ordini di considerazioni.

In primo luogo, l'applicabilità, alla fattispecie in esame, del principio di specialità (lex specialis derogat generali) che si rinviene anche in altre pronunce avallate dalla corrente giurisprudenziale minoritaria (tra le quali, vedasi Tribunale di Pistoia, Sez. Civ., 21 dicembre 2017). In particolare, secondo il Collegio marchigiano, in assenza di una disposizione di legge che regoli la materia, si ritiene che l'art. 186 l.fall. sia in rapporto di specialità con l'art. 6 l.fall. (reputato addirittura “inconferente”), sicché il primo si applicherebbe con preferenza rispetto al secondo.

Ne discende che “la disciplina del concordato consente invero l'azione di risoluzione dalla quale unicamente può derivare il successivo e consequenziale fallimento”.

In secondo luogo, il Tribunale di Ancona si concentra sul rapporto tra requisito dell'insolvenza ed effetto esdebitatorio realizzato dall'omologazione del concordato, osservando che quest'ultimo - non essendosi il concordato risolto - impedirebbe una successiva dichiarazione di fallimento sulla base del medesimo stato di crisi/insolvenza che aveva dato origine alla procedura concordataria. Tanto che “lo stato di insolvenza viene rimosso dall'effetto esdebitatoro dell'omologazione”.

Pertanto, secondo il Collegio, ne discende che il fallimento può essere pronunciato solamente qualora sopraggiungano nuovi debiti” e una “nuova insolvenza”, riferibile questa volta ad obbligazioni contratte in seguito all'omologazione e rimaste inadempiute.

Sul punto, è riscontrabile un evidente parallelo con la già richiamata sentenza resa dalla Corte d'Appello di Firenze, nella quale viene affermato che “… non si ritiene che la insolvenza al patto concordatario sia nuova insolvenza del debitore imprenditore, rispetto alla insolvenza originaria valutata con la omologa del concordato preventivo” (App. Firenze, Sez. I civ., 16.05.2019, cit.).

Ad ulteriore specificazione delle tesi propugnate, il Tribunale precisa, poi, che i debiti concordatari “non sono qualificabili quali nuove obbligazioni rispetto ai debiti ammessi al concordato” e, dunque, l'inadempimento rispetto al piano e alla proposta “non può essere valorizzato quale nuova crisi/insolvenza” poiché questa è già valorizzata nell'ambito della procedura concordataria sfociata nell'omologa, con ciò determinandosi in nuce la ragione impeditiva della dichiarazione di fallimento c.d. omisso medio riservata alla diversa ipotesi in cui sorgano nuove esposizioni debitorie e una nuova incapacità di far fronte con regolarità ai propri debiti (i.e. nuova insolvenza).

La risoluzione del concordato rappresenterebbe, dunque, l'unico strumento con il quale i creditori possono liberarsi di tutti quegli effetti modificativi che il concordato produce e l'insolvenza sembrerebbe rivestire il carattere della novità solo se riferibile ad obbligazioni sopravvenute alla chiusura del procedimento concordatario, non potendo quelle geneticamente riconducibili all'originaria insolvenza “ricostituirsi” nel loro primigenio ammontare (se non - appunto - attraverso la risoluzione che, tuttavia, nel caso di specie è preclusa per decorrenza dei termini previsti ex lege al fine di proporre la relativa azione).

Osservazioni conclusive

Se sulla questione del termine per proporre l'azione di risoluzione del concordato il Tribunale di Ancona nulla aggiunge all'attuale panorama giurisprudenziale, confermando l'impostazione maggioritaria che individua il dies a quo per proporre l'azione di risoluzione nella lettera dell'art. 186 l.fall., diverso è l'approccio in merito alla questione del c.d. fallimento omisso medio, dove la tesi sostenuta dal Tribunale si pone in netto contrasto con la giurisprudenza maggioritaria di merito e con le precedenti pronunce di legittimità.

Ad avviso di chi scrive, tuttavia, il percorso ermeneutico delineato dalla pronuncia in commento non appare del tutto convincente.

Innanzi tutto, pur ammettendo la centralità dell'art. 186 l.fall. e senza disconoscerne la portata di lex specialis, non si ritiene di poter dedurre, dal silenzio della norma citata, alcuna implicita preclusione in ordine alla possibilità di richiedere il fallimento dell'impresa in concordato nel caso in cui sia spirato il termine utile per chiedere la risoluzione del concordato; al contrario, nessuna disposizione vieta espressamente il fallimento in simili circostanze.

Inoltre, la pronuncia de qua appare frutto di un'erronea valutazione circa la portata dell'effetto esdebitativo del concordato preventivo omologato e non più soggetto all'azione di risoluzione. Il Collegio sembrerebbe voler affermare che in tal caso venga definitivamente rimossa l'originaria insolvenza dell'imprenditore, senza che sussista alcuna disposizione normativa in tal senso.

Non appare, infatti, convincente sostenere - come vorrebbe il Tribunale di Ancona - che la mancata risoluzione del concordato omologato “cancelli” lo stato di crisi che ha dato il via alla prima insolvenza e che unicamente una “nuova insolvenza” (derivante da obbligazioni assunte dopo l'omologa) possa far sorgere la possibilità di avviare una procedura di fallimento: i crediti esistenti al momento dell'apertura della procedura di concordato vengono sì falcidiati, ma non eliminati.

Il mancato adempimento delle obbligazioni cristallizzate nel piano concordatario omologato ben potrebbe condurre al fallimento dell'impresa, laddove ne ricorrano i presupposti ex artt. 1-5 l.fall. ed anche in assenza della previa risoluzione del concordato, a tutela dei diritti di credito non onorati entro i termini previsti.

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