I nuovi documenti nel giudizio di cassazione
31 Dicembre 2019
Il quadro normativo
Negli anni più recenti il legislatore e la giurisprudenza di legittimità hanno reso sempre più stringenti i requisiti del ricorso in Cassazione imposti a pena di inammissibilità. L'elevato carico di lavoro della Suprema Corte ha condotto la stessa, in particolare, a selezionare con rigore i ricorsi cui consentire l'accesso all'esame nel merito, per i quali è stato forgiato il principio pretorio dell'autosufficienza. Nel bilanciamento del diritto delle parti alla produzione documentale con quello di sinteticità degli atti – non codificato per il processo civile diversamente da quanto avviene con riguardo al giudizio amministrativo – il Protocollo cnf-sc del 17.12.15 alla pagina 4 dispone che «siano allegati al ricorso in apposito fascicoletto (che va pertanto ad aggiungersi alla allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell'art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., gli atti, i documenti, il contratto o l'accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso». In particolare, l'art. 366 c.p.c. viene interpretato nel senso che le ragioni dell'impugnazione devono essere indicate in maniera tale da permettere alla Corte di cassazione di valutare la fondatezza della stessa, senza la necessità di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso. L'autosufficienza del ricorso, secondo la ricostruzione assunta dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 8103/2016, può diversamente interpretarsi nel senso di richiedere la trascrizione integrale del documento, il riassunto del suo contenuto essenziale o dei suoi passi salienti o la localizzazione interna ed esterna (ipotesi preferita dalla Cass. civ., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726), ovverosia l'indicazione del luogo ove si conserva il documento e della parte di esso fondante la censura, individuate con il rigo e la pagina. L'attualità del tema dell'autosufficienza si interseca con quello dei nova ammessi in Cassazione, ovverosia i documenti non prodotti nei precedenti gradi di giudizio e prodotti per la prima volta in sede di legittimità. Tali documenti sembrerebbero inclusi, a prima vista, tra i documenti di cui all'art. 369 c.p.c. da inserire nel “fascicoletto” sopra menzionato. Coerentemente con l'assenza di qualsivoglia fase istruttoria dinanzi alla Suprema Corte, infatti, la natura del giudizio di legittimità esclude, in via generale, il sindacato della stessa sul fatto e si traduce nel fondamentale divieto imposto dall'art. 372 c.p.c. di produrre atti e documenti non versati agli atti nei precedenti gradi di giudizio (Cass. civ.,sez. I, 20 settembre 2013, n. 21596; Cass. civ.,sez. II, 28 agosto 2002, n. 12607). Più in generale, infatti, in Cassazione è esclusa la proposizione di domande, eccezioni e prove nuove, salvo i casi di jus superveniens o di nuove conclusioni la cui necessità sia sorta in conseguenza della sentenza di Cassazione ai sensi dell'art. 394, c. 3 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 19 giugno 1987, n. 5372) (Molfese G., 723). In particolare, a causa della prassi adottata in passato dai Giudici Supremi di decidere in via definitiva l'intera controversia dinanzi ad essa pendente, ad esempio pervenendo ad una decisione di merito anche nei casi di “improponibilità assoluta” della domanda dopo essere stati investiti con il regolamento di giurisdizione, l'elevato arretrato della Cassazione ha reso necessaria la trasformazione del giudizio di terzo grado in giudizio di revisione (Panzarola A., 357 ss.). La centralità del divieto sancito dall'art. 372 c.p.c., tuttavia, non esclude la sua possibile deroga nei casi di documenti necessari a provare la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso e del controricorso. Si tratta di requisiti formali – della sentenza o del ricorso – che hanno dato origine ad una pluralità di interpretazioni tutt'oggi protagoniste di un acceso dibattito in dottrina e giurisprudenza. In particolare, ancora aperte e prive di soluzione condivisa rimangono le questioni concernenti, da un lato, i vizi da inquadrarsi negli errores in procedendo rilevanti ai fini della nullità della sentenza, dall'altro, quelli che determinano l'inammissibilità del ricorso e del controricorso secondo il dispositivo della norma. I nuovi documenti nel diritto vivente
A proposito della prima questione, ove la Cassazione è chiamata a giudicare in qualità di giudice del fatto potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito (Cass. civ.,sez. VI, 11 settembre 2018, n. 22095), se un primo orientamento giurisprudenziale ammette la nullità della sentenza per i soli vizi sostanziali o formali propri dell'atto, quali vizi intrinseci dovuti alla mancanza dei suoi requisiti essenziali (Cass. civ., sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24048; Cass. civ., sez. lav., 2 luglio 2014, n. 15073), altro orientamento più estensivo la rinviene anche in presenza di vizi del processo, i quali danno origine a nullità derivate (Cass. civ., sez. VI, 11 settembre 2018, n. 22095). A sostegno di quest'ultima posizione si deduce che, talvolta, «la produzione di documenti costituisce l'unico modo per dimostrare, con il vizio del procedimento, la nullità della sentenza, per cui il divieto di produzione di nuovi documenti si tradurrebbe in una ingiustificata limitazione del diritto di difesa della parte» (così Cass. civ.,sez.I, 17 dicembre 2004n. 23576; Cass. civ.,sez. III, 31 maggio 2006, n. 13011; Cass. civ.,sez. III, 8 giugno 2007, n. 13535). Inoltre, in talune pronunce i Giudici Supremi ammettono la produzione di nuovi documenti in Cassazione ove si lamentino errores in procedendo idonei ad inficiare direttamente la validità della pronuncia impugnata qualora quest'ultima sia reclamabile solo con il ricorso in cassazione, come avviene nel caso di impugnazione del lodo arbitrale, il cui giudizio si svolge in un unico grado di merito(Cass. civ., sez. VI, 11 luglio 2014, n. 16036). A proposito della seconda tipologia di vizi, a fronte di un orientamento che include nella deroga concernente l'ammissibilità del ricorso anche le ipotesi di sua improcedibilità (Cass. civ., sez.II,21 marzo 2011, n. 6411; Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 2016, n. 3934 che vi include addirittura «ogni documento incidente sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo»), se ne contrappone un secondo più restrittivo e letterale che la rinviene nei soli casi di inammissibilità (Cass. civ., sez. lav., 16 luglio 2009, n. 16619). Ad ogni modo, non si riscontra un'ipotesi di improponibilità della domanda laddove essa sia manifestamente infondata, nel qual caso il Giudice Supremo è chiamato ad assumere eccezionalmente una pronuncia di rigetto nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., preclusiva certamente del deposito di nuovi documenti finalizzato ad evitare una cassazione di tal portata del ricorso. Per poter far valere i nuovi documenti relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, rinvenuti dopo la scadenza dei termini, infatti, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 12 luglio 2018, n. 18464). Piuttosto pacificamente, invero, si dice che il documento concerne l'ammissibilità del ricorso o del controricorso ove l'atto serva a provare la legittimatio ad causam (in tal senso Cass. civ., sez. Un.,4 marzo 2016, n. 4248), la precedente omessa relata di notifica o la capacità processuale della parte, per i qual casi l'art. 372, comma 2, c.p.c. ammette la scissione temporale del loro deposito rispetto a quello del ricorso o del controricorso. La Suprema Corte ha infatti fissato a tal fine, come termine ultimo, la celebrazione dell'udienza di discussione, ove è ancora possibile convalidare con effetto retroattivo l'attività processuale svolta in precedenza, purché venga in tal caso notificato alla controparte l'elenco dei nuovi documenti prodotti (Cass. civ., sez.II, 23 dicembre 2010, n. 26009; Cass. civ.,sez. III, 14 marzo 2006, n. 5480; Cass. civ., sez. lav., 7 maggio 2004, n. 8713; Cass. civ., sez. lav., 5 aprile 2004, n. 6656; Cass. civ., sez. Un., 16 giugno 2000, n. 13916; Cass. civ.,sez. lav., 2 marzo 1995, n. 2431). Un minoritario orientamento giurisprudenziale fissa, invero, il termine per siffatto deposito nell'ultimo giorno entro cui deve essere prodotta la memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2011 n. 7515). Infine, la mancata menzione nell'art. 372, comma 2, c.p.c. dei documenti comprovanti la nullità della sentenza conduce la giurisprudenza ad imporre, per il loro deposito, il rispetto del termine generale previsto dall'art. 369 c.p.c., trattandosi di documenti sui quali il ricorso si fonda a pena di inammissibilità. Il superamento pretorio della lettera della legge
La presunta tassatività delle eccezioni suddette viene decisamente negata dal diritto vivente che, in primis, ammette pacificamente la possibilità di depositare nuovi documenti in Cassazione che dimostrino la cessazione della materia del contendere (Cass. civ., sez. I,10 giugno 2011, n. 12737; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2008, n. 21122). Questi ultimi rilevano esclusivamente per il merito, in quanto in essi si rinviene la disciplina del rapporto tra le parti destinata a prevalere rispetto a quella sancita antecedentemente dalla pronuncia impugnata. Per tale via si esclude la necessità che intervenga una nuova sentenza sulla controversia, la quale finirebbe per provocare un inutile dispendio di attività della Corte in quanto destinata a non trovare applicazioni tra le parti: è d'uopo evidenziare, infatti, che il referente temporale per la quaestio facti permarrebbe l'udienza di precisazione delle conclusioni della fase di merito, antecedente all'accordo raggiunto tra le parti. Eppure, formalmente, tra le tipologie di pronunce della Cassazione non si scorge quella della cessazione della materia del contendere. Ebbene, l'escamotage adottato dalla Cassazione è quello di ricollegare la pronuncia in questione alla carenza di interesse all'impugnazione del ricorrente, strettamente connessa all'ammissibilità del ricorso (Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2000, n. 1854; sul punto v. anche Luiso F. P., 251 ss.). In realtà, si precisa, l'inammissibilità del ricorso presuppone un vizio genetico dell'atto di impugnazione in tal caso insussistente e dovrebbe determinare il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, invero ivi superata dall'accordo raggiunto tra le parti, sicché autorevole dottrina giustifica la produzione dei nuovi documenti qualificando la pronuncia di cessazione della materia del contendere come pronuncia di cassazione senza rinvio ai sensi dell'art. 382 c.p.c. (Panzarola A., 373). Ad ogni modo, la produzione di un documento che attesti la transazione della lite «non può trovare applicazione allorquando l'atto poteva e doveva essere prodotto nella fase di merito, perché anteriore alla conclusione della stessa» (Cass.civ., sez. lav., 7 dicembre 2017, n. 29439). Il divieto di produzione documentale non riguarda, invero, l'interrogatorio formale delle parti, non incluso tra i mezzi di prova e strumento disponibile nelle mani del giudice in ogni stato e grado del processo ai sensi dell'art. 117 c.p.c. (Cass. civ.,sez. I, 30 marzo 1988, n. 2698). Esso non sembrerebbe estendersi neppure ai casi di documenti non prodotti nei precedenti gradi di giudizio che, tuttavia, siano relativi a questioni proponibili in ogni stato e grado del processo e rilevabili d'ufficio (Cass. civ., sez. VI, 22 dicembre 2016, n. 26862; in senso contrario v. però Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 2007, n. 22900). Le deroghe testualmente previste dall'art. 372 c.p.c. non includono, al contrario, atti e documenti inseriti nei fascicoli d'ufficio (Cass. civ., sez. II, 14 maggio 2018, n. 11683)o di parte (Cass. civ.,sez. I, 31 gennaio 2014, n. 2125), né tanto meno le fonti normative o la giurisprudenza, queste ultime non attinenti alla costruzione in fatto riservata alla fase di merito. Difatti, il divieto di proporre nuove questioni di diritto vige solamente ove esse comportino una modifica della controversia, mentre è sempre consentito alle parti dedurre nuove tesi giuridiche e profili di difesa fondati sugli stessi elementi di fatto già dedotti in sede di merito (Molfese G., 226 ss.). Le allegazioni di fatti rilevanti per il merito, com'è noto, possono essere prodotte esclusivamente nell'eventuale fase di rinvio idonea a rinnovare il referente temporale della quaestio facti, che diverrebbe la nuova udienza di precisazione delle conclusioni. Invero, superflua sarebbe stata la menzione nella norma dello ius superveniens, che deve sempre essere assunto a fondamento della decisione della Corte, in quanto giudice di legittimità, «ove rilevante ai fini della riforma della decisione di merito» e alla quale resiste solamente il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. civ., sez. trib., 08 febbraio 2017, n. 3349). Giudicato e prospective overruling
Peculiare species del genus documenti è, inoltre, il giudicato. La Suprema Corte ha ripetutamente riconosciuto la rilevabilità d'ufficio del giudicato esterno e interno non solo qualora esso emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui esso si sia formato successivamente alla sentenza impugnata. Il divieto sancito dall'art. 372 c.p.c., infatti, è limitato ai documenti formatisi nel corso del giudizio di merito e al giudicato che, invocato dalla parte, sia anteriore alla pronuncia impugnata e non sia stato prodotto nei precedenti gradi del processo (Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2018, n. 1534; Cass. civ., sez. trib., 21 gennaio 2015, n. 950; Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2011, n. 1883; Cass. civ., Sez. Un., 16 giugno 2000, n. 13916). A conferma di ciò, il giudicato viene definito nel diritto vivente quale «patrimonio non esclusivo delle parti», ma volto a «garantire l'interesse pubblico della stabilità delle decisioni, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata» (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2017, n. 10379). Esso individua in particolare la regula iuris cui il giudice ha il dovere di conformarsi e, incidendo sull'interesse delle parti alla decisione, è riconducibile al novero dei documenti che riguardano l'ammissibilità del ricorso. Pertanto, ove il giudicato si sia formato dopo la notifica del ricorso per cassazione, i relativi documenti giustificativi possono essere prodotti, dalla parte regolarmente costituitasi, sino all'udienza di discussione (in tal senso v. Cass. civ., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916; Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2011, n. 1883). «Diversamente opinando», si legge in altre pronunce della Suprema Corte, «sarebbe vulnerato il principio del ne bis in idem posto nell'interesse pubblico e volto anche ad evitare che — attraverso attività inutili — si metta in pericolo il bene, costituzionalmente protetto, della ragionevole durata del processo»(Cass. civ., sez. lav., 13 settembre 2005, n. 18129). In particolare, nel caso di prospective overruling, qualora si vada a formare un nuovo orientamento giurisprudenziale nazionale, sovranazionale o addirittura della Corte EDU successivamente al ricorso per cassazione, la Suprema Corte ha recentemente ammesso la produzione del giudicato sino all'udienza di discussione se, al momento della proposizione del ricorso, esso non aveva efficacia ai fini della decisione e la sua presa in considerazione sia volta all'esercizio di un diritto di azione o di difesa della parte. (Cass. civ., sez. trib., 21 gennaio 2015, n. 950). Nel caso sottoposto all'esame della Corte, infatti, l'irrilevanza dell'overruling,integrato dal sopravvenuto giudicato penale, avrebbe integrato una violazione del diritto di difesa della parte comportando l'impossibilità di avvalersi del principio del ne bis in idem. In conclusione
In conclusione, il divieto dei nova si estende ragionevolmente anche al giudizio di rinvio che segue, come fase rescissoria, la cassazione della sentenza impugnata. Trattasi infatti di giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, tanto che l'art. 394 c.p.c. è comunemente inteso nel senso che alle parti sono vietate tutte le attività difensive nuove (nuove domande, eccezioni, allegazioni di fatti e nuove richieste istruttorie, con eccezione del giuramento decisorio), salvo il caso in cui esse siano rese necessarie dalla sentenza della cassazione, da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione o dall'impossibilità di anteriore deposizione per causa di forza maggiore (Cass. civ., sez. VI, 18 ottobre 2018, n. 26108; Cass. civ., sez. VI, 29 settembre 2014, n. 20535;Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2014, n. 8872; Cass. civ., sez. trib., 30 settembre 2015, n. 1942). In particolare, ove la sentenza della Cassazione renda rilevanti fatti ritenuti irrilevanti nella fase di merito, l'esigenza di assicurare pienezza al diritto di difesa impone di permettere alle parti di richiedere le prove prima non richieste, di produrre documenti, di formulare nuove eccezioni. Il fondamento di tale assunto si rinviene nell'art. 389 c.p.c., secondo il quale al giudice di rinvio possono essere proposte le domande di restituzione, la riduzione in pristino e ogni domanda conseguente alla sentenza di cassazione (Verde G., 268). Stante il trait d'union tra diritto di azione e diritto alla prova, infatti,l'effettività della tutela giurisdizionale non sarebbe assicurata qualora tali domande non potessero essere sorrette dalla produzione di nuove prove. Quanto al potere istruttorio del giudice, invero, si ritiene per quest'ultimo possibile disporre una consulenza tecnica (come mezzo di valutazione e non di acquisizione delle prove), un'ispezione, ovvero un interrogatorio libero. Da ultimo, vi è da dire che la garanzia del diritto di difesa, quale espressione del fondamentale principio del contraddittorio, viene attuata dall'obbligo di notifica dei nuovi documenti gravante sulla parte. Sin dal 2000 le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 13916, hanno infatti statuito che, qualora la produzione del relativo documento avvenga oltre il termine stabilito dall'art. 378 c.p.c. per il deposito delle memorie (così sposando l'orientamento ut supra che ammetteva il deposito dei documenti sino all'udienza di discussione), la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dal nuovo testo dell'art. 384, comma 3, c.p.c., deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni. A tal fine si presuppone, chiaramente, che la controparte sia venuta a conoscenza delle novità depositate grazie alla loro obbligatoria notifica ex art. 372, comma 2 c.p.c., la cui omissione è ammessa solamente ove sulla questione si sia già formato il contraddittorio (così Cass. civ.,sez. lav., 2 marzo 1995, n. 2431; Cass. civ., sez. lav., 7 maggio 2004, n. 8713; Cass. civ., sez. lav.,5 maggio 2004, n. 6656). Infatti, la Corte ha affermato che la regola secondo cui nel giudizio di legittimità l'elenco dei documenti relativi all'ammissibilità del ricorso, che siano stati prodotti successivamente al deposito di quest'ultimo, debba essere notificato alle altre parti si può derogare quando, nonostante l'omissione della notifica, il contraddittorio sia stato comunque garantito(Cass. civ.,sez. III, 23 settembre 2013, n. 21729). L'insufficienza del mero deposito dei documenti nella cancelleria della Corte, come avviene per le memorie ex art. 372 c.p.c., è dovuta alla natura innovativa dell'attività ivi sottostante e costituisce l'unica soluzione possibile per garantire la piena attuazione del contraddittorio (in tal senso si è espressa Cass. civ., Sez. Un., 22 aprile 2013, n. 9692). La sanzione conseguente alla violazione di siffatto dictat è, a parere della giurisprudenza, il divieto della loro presa in considerazione da parte della Corte, in quanto «la notificazione costituisce uno specifico procedimento volto a realizzare la conoscenza legale del fatto che ne costituisce l'oggetto», tanto da poter condurre all'inammissibilità del ricorso stesso ove il documento rimasto sconosciuto alla controparte sarebbe stato essenziale per provarne l'ammissibilità (Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2007, n. 10122; Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2006, n. 11474).
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