Captatore informatico: inutilizzabili i risultati delle intercettazioni per la prova di reati diversi da quelli di criminalità organizzata

13 Gennaio 2020

Può essere utilizzato il captatore informatico per realizzare intercettazioni ambientali per la prova di reati diversi da quelli di criminalità organizzata? Quali sono i limiti che la sentenza delle Sezioni unite “Scurato” ha fissato per l'impiego del trojan nel corso delle indagini?
Massima

In tema di intercettazioni ambientali, alla luce del quadro normativo vigente, come interpretato dalla sentenza delle Sezioni unite 28 aprile 2016, n. 26889, Scurato, sono inutilizzabili i risultati delle captazioni eseguite per mezzo del captatore informatico per la prova di delitti diversi da quelli di criminalità organizzata (nella specie, omicidio ed altro).

Il caso

Il GUP del Tribunale di Palermo ha condannato gli imputati per il reato di omicidio e per quelli di porto e detenzione di armi da guerra e di minaccia aggravata dall'uso di armi. La Corte di assise di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del GUP, ha assolto uno degli imputati dal reato di detenzione di un'arma, confermando, nella restante parte la decisione di condanna, riducendo la pena inflitta in primo grado, previa esclusione delle circostanze aggravanti della premeditazione e dei futili motivi.

Avverso questa sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo, tra l'altro, l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni realizzate nel corso delle indagini per mezzo del captatore informatico installato nello smartphone di un familiare della vittima.

In particolare, secondo i difensori, l'autorizzazione giudiziale allo svolgimento di intercettazioni riguardava l'impiego di una microspia con la facoltà di utilizzare impianti esterni a quelli della Procura della Repubblica. «Nella specie, al contrario, si era provveduto utilizzando l'apparecchio del Mazzè (il familiare della vittima n.d.r.), con il suo consenso e impiegandolo anche come strumento attraverso cui si operavano le registrazioni».

L'intercettazione, inoltre, era stata autorizzata per la sola captazione dei flussi telematici che partivano dal telefono del Mazzé e non per eseguire intercettazioni ambientali; il provvedimento autorizzativo, pertanto, non ammetteva che il telefono fosse utilizzato come una microspia.

In ogni caso, erano state violate le disposizioni esecutive del provvedimento autorizzatorio. Il telefono, infatti, non poteva essere usato come strumento di registrazione, nonostante che, nel caso di specie, fosse stato raccolto il consenso del proprietario.

Le difese, inoltre, hanno rilevato che le intercettazioni erano già state dichiarate inutilizzabili dal giudice per le indagini preliminari al momento dell'emissione del titolo cautelare, perché il captatore informatico può essere adoperato solo per effettuare intercettazioni tra presenti in procedimenti che riguardavano delitti di criminalità organizzata. La sentenza impugnata, al contrario, ha adottato un'interpretazione diversa, censurata dai ricorrenti, ritenendo che il divieto di impiegare il captatore riguardi solo i casi in cui attraverso esso si sarebbe intesa registrare una conversazione nei casi vietati dalla legge (come quello delle intercettazioni ambientali nei luoghi di cui all'art. 614 c.p. in difetto di attività delittuosa in itinere), mentre l'uso di questo strumento dovrebbe essere limitato ai soli reati di criminalità organizzata. Per tale ragione, erano state utilizzate conversazioni intervenute in auto e all'esterno e non in luoghi di privata dimora, in tal modo, secondo i ricorrenti, violando le norme vigenti come interpretate dalla Corte di legittimità.

La questione

Può essere utilizzato il captatore informatico per realizzare intercettazioni ambientali per la prova di reati diversi da quelli di criminalità organizzata? Quali sono i limiti che la sentenza delle Sezioni unite “Scurato” ha fissato per l'impiego del trojan nel corso delle indagini? Il fatto che le intercettazioni siano avvenute in luoghi pubblici e non in un domicilio, rende legittime le captazioni a prescindere dal titolo di reato che permesso l'autorizzazione?

Le soluzioni giuridiche

1. La Corte di cassazione, con la sentenza delle Sezioni unite 28 aprile 2016, n. 26889, Scurato, è soffermata sulla possibilità di impiegare, per lo svolgimento delle intercettazioni tra presenti, programmi informatici inseriti a distanza in apparecchi elettronici come smartphone, computer o tablet.

Il nucleo centrale della questione e l'aspetto di maggiore rilevanza si incentra sul carattere di tali dispositivi. Essi seguono ordinariamente l'utilizzatore e ne permettono l'impiego come "microspie". A ciò si aggiunge anche la possibilità di sfruttarne il profilo itinerante, con la conseguenza di un agevole impiego anche per effettuare intercettazioni all'interno di un domicilio e con il rischio di possibili elusioni dei divieti, oltre che dei limiti normativamente fissati (come quello di cui all'art. 266, comma 2, c.p.p. secondo cui in un domicilio, per compiere intercettazioni, è necessario che l'attività delittuosa sia in itinere), senza possibilità di indicazione, ex ante, dei luoghi in cui acquisire le informazioni, per mezzo della captazione delle conversazioni.

La decisione delle Sezioni unite indicata ha ammesso l'uso del particolare strumento informatico nei soli casi di delitti di criminalità organizzata, casi in cui trova applicazione la disposizione speciale di cui all'art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella legge 12 luglio 1991, n. 203, che, in deroga all'art. 266, comma 2, c.p.p. permette le intercettazioni nel domicilio, anche in difetto di attività delittuosa in

corso. Negli altri casi, l'uso di questo strumento non è ammissibile.

2. Dopo la sentenza illustrata, è intervenuta la riforma della disciplina delle intercettazioni.

Le innovazioni hanno avuto ad oggetto specificamente i commi 2 e 2-bis dell'art. 266 c.p.p. Interpolando il secondo comma di tale norma, si è prevista la possibilità di disporre intercettazioni di comunicazioni tra presenti, anche mediante l'inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile. Se dette intercettazioni avvengono in luoghi privati (614 c.p.), tuttavia, esse sono possibili solo se ivi si stia svolgendo attività criminosa.

La previsione della possibilità di procedere con un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è stata aggiunta dall'art. 4, comma 1, lett. a), n. 1), del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216.

Ai sensi dell'art. 9, comma 1, dello stesso decreto, come modificato dall'art. 9, comma 2, lett. a), del d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv. in legge 8 agosto 2019, n. 77 la disposizione riformata si applica alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti di autorizzazione emessi dopo il 31 dicembre 2019.

3. La disciplina illustrata, peraltro, trova una deroga per i delitti di criminalità organizzata. In relazione a tali reati, le intercettazioni anche tra presenti, nei luoghi di privata dimora, non sono subordinate all'esistenza di attività delittuosa in corso, dovendo trovare applicazione l'art. 13 del d.l.13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella legge 12 luglio 1991, n. 203.

A tal proposito, per mezzo della modifica dell'art. 266 e dell'inserimento del comma 2-bis c.p.p. si è previsto che l'intercettazione anche delle conversazioni tra presenti, a mezzo captatore e su dispositivo portatile, operi, senza ulteriori condizioni, per i delitti di criminalità organizzata e per quelli dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con pena non inferiore a cinque anni.

Il comma in esame è stato, ancora una volta, aggiunto dall'art. 4, comma 1, lett. a), n. 2, del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216.

Ai sensi dell'art. 9 comma 1 dello stesso decreto, come modificato dall'art. 9, comma 2, lett. a), del d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv. in l. 8 agosto 2019, n. 77 anche questa disposizione si applica alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti di autorizzazione emessi dopo il 31 dicembre 2019.

L'unica ulteriore precisazione, sia pur non rilevante nel caso in esame, come ha osservato la decisione in commento, riguarda i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione ai quali si applica, per effetto dell'art. 6 comma 1 del d.lgs.n. 216 del 2017, la disciplina dell'art. 13 d.l. 13 maggio1991, n. 152, conv. con mod. nella legge 12 luglio 1991, n. 203. Questa norma sarebbe immediatamente operativa («il rinvio alla norma anzidetta renderebbe a regime la nuova disciplina e di operatività immediata il relativo statuto regolatore»).

4. Nel caso di specie, il giudice per le indagini preliminari aveva emesso due decreti autorizzativi, stabilendo le condizioni d'applicazione del captatore informatico come microspia e, segnatamente, escludendo i domicili privati dai luoghi in cui lo strumento poteva essere adoperato. Secondo il Gip, sarebbe stato possibile accertare preventivamente la modalità di impiego delle captazioni, sfruttando la connessione dati e la localizzazione GPS. Trattandosi di reato diverso da quelli di criminalità organizzata, l'uso dello strumento informatico era stato sottoposto alla condizione che le conversazioni captate non avvenissero in luogo di privata dimora.

Valorizzando tale profilo, nella sentenza impugnata sono state ritenute utilizzabili due conversazioni, registrate, rispettivamente, in un'automobile e sulla pubblica via.

La Corte non ha condiviso questa interpretazione.

Sulla scorta della sentenza selle Sezioni unite “Scurato”, è stato rilevato che, nell'autorizzare le intercettazioni per mezzo del captatore informatico, il giudice non ha la possibilità di predeterminare i luoghi in cui avverrà l'intercettazione, attesa la natura portatile dello strumento impiegato. Esso, in altri termini, condiziona l'impiego della tecnologia software, poiché è suscettibile per sua struttura e finalità, di svolgere un modello di intercettazione aperta, con carattere itinerante e privo sostanzialmente di ogni limitazione.

A ciò va aggiunto che, là dove uno dei due interlocutori sia a conoscenza della captazione e collabori in fase di esecuzione, «residuerebbe ampia possibilità di influire anche sul risultato "acquisitivo" accedendo o spegnendo l'apparecchio o isolando la cd. local positioning», con la conseguente reale impossibilità di comprendere ove l'intercettazione verrà eseguita.

In ogni caso, «il rischio sarebbe quello di acquisire informazioni e conversazioni anche in luoghi di privata dimora, in violazione non solo del provvedimento giudiziale di autorizzazione, ma della stessa disposizione di legge che ne regolamenta l'attuazione».

Ne consegue, secondo la decisione in commento, «la necessità di offrire un'interpretazione rigorosa della disposizione che esclude ab origine la possibilità di ammettere l'intercettazione delle conversazioni, a mezzo di captatore informatico, in difetto del fondato motivo che nei luoghi di cui all'art. 614 c.p. si stia svolgendo attività delittuosa, in ambito di delitti diversi da quelli di criminalità organizzata».

Non è ammissibile, inoltre, un controllo postumo funzionale alla verifica d'utilizzabilità. La valutazione di legittimità non potrebbe essere operata ex post, attraverso una verifica con effetto legittimante postumo, tale da indurre una legalizzazione "successiva" dei risultati delle captazioni, a fronte di una materia in cui l'intercettazione deve, piuttosto, risultare legittima, sin dalla sua genesi e dal provvedimento che la autorizza.

Secondo la decisione in commento, «nella specifica vicenda si discuterebbe di intercettazioni realizzate in difetto di una previsione normativa espressa e si aprirebbero rischi evidenti, in punto di lesione dei diritti di libertà, oggetto di presidio costituzionale».

Discende, da quanto premesso, che «le intercettazioni per delitti diversi da quelli di criminalità organizzata, nel quadro normativo vigente non possono essere eseguite nei luoghi di privata dimora, per mezzo del captatore informatico, se non vi sia fondato motivo di ritenere che ivi sia in corso attività criminosa».

Esso captatore, accedendo a dispositivi portatili e che hanno possibilità di realizzare ascolti itineranti, non sono, pertanto, utilizzabili come strumenti di intercettazioni non alle anzidette condizioni, giacché la caratteristica degli strumenti stessi condiziona la modalità di autorizzazione e acquisitiva delle conversazioni, oltre a rischiare di esporre ad acquisizioni non

conformi al testo di legge, allo stato in vigore.

5. Nella specifica vicenda, pertanto, la Corte ha ritenuto che le intercettazioni acquisite con captatore informatico non sono conformi allo statuto normativo e vanno espunte dal materiale probatorio a carico degli imputati.

La sentenza, peraltro, ha ritenuto che il quadro dimostrativo della responsabilità degli imputati resista, nonostante l'espunzione dal materiale probatorio dei testi dei colloqui indicati.

Osservazioni

1. Il tema dell'utilizzabilità delle intercettazioni tra presenti compiute per mezzo del “captatore informatico”, come è noto, dopo una prima decisione (Cass. Sez. 6, n. 27100 del 26/05/2015, Musumeci, Rv. 265655), è stato posto al vaglio delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, Scurato). Secondo questa decisione, l'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l'installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all'art. 13 del d.l. n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto.

Nella motivazione di tale sentenza, la Corte ha sottolineato che, in considerazione della forza intrusiva del mezzo usato, la qualificazione del fatto reato, ricompreso nella nozione di criminalità organizzata, deve risultare ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso).

La Corte, nella stessa pronuncia, inoltre, ha affermato che, ai fini dell'applicazione della disciplina derogatoria delle norme codicistiche prevista dall'art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. nonché quelli comunque facenti capo ad un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

2. Secondo le Sezioni unite, dunque, lo strumento tecnologico in esame può essere impiegato per compiere intercettazioni “tra presenti” esclusivamente nei procedimenti per delitti di “criminalità organizzata”. In questi casi, infatti, trova applicazione la disciplina di cui all'art. 13 del decreto legge n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che, derogando ai presupposti fissati dall'art. 266, comma 2, c.p.p., consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza che sia necessaria la preventiva indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto.

Al contrario, la pronuncia ha escluso l'utilizzo del mezzo di ricerca della prova per reati diversi da quelli qualificabili come di criminalità organizzata. In questo caso, infatti, ai sensi dell'art. 266, comma 2, c.p.p., per legittimare lo svolgimento di intercettazioni tra presenti occorre che sia in corso l'attività criminosa oggetto delle investigazioni. Il dispositivo elettronico portatile, tuttavia, ha una naturale vocazione ad essere introdotto in luoghi di privata dimora, anche diversi da quelli oggetto dell'autorizzazione del giudice a compiere intercettazioni. Nel momento in cui deve apprezzare i presupposti del provvedimento richiestogli, pertanto, il giudice non sarebbe in grado di verificare la sussistenza della condizione prevista dalla norma citata (né, ovviamente, in quali abitazioni il telefono cellulare potrebbe essere portato).

Sul punto, nella motivazione è stato precisato che «… anche se fosse teoricamente possibile seguire gli spostamenti dell'utilizzatore del dispositivo elettronico e sospendere la captazione nel caso di ingresso in un luogo di privata dimora, sarebbe comunque impedito il controllo del giudice al momento dell'autorizzazione, che verrebbe disposta "al buio" … si correrebbe il concreto rischio di dar vita ad una pluralità di intercettazioni tra presenti in luoghi di privata dimora del tutto al di fuori dei cogenti limiti previsti dalla vigente normativa codicistica, incompatibili con la legge ordinaria ed in violazione delle norme della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo …».

3. La delimitazione dell'impiego del captatore per i soli reati di criminalità organizzata, nella logica accolta dalle Sezioni unite discende dalle caratteristiche tecniche del mezzo elettronico utilizzato come moderna microspia. Trattandosi di uno strumento “itinerante”, prima o poi, finisce con registrare colloqui all'interno di un domicilio. È per questa ragione che il captatore è stato riservato dalla Suprema Corte ai soli casi in cui la normativa speciale permette di derogare alla tutela del domicilio.

Su questo specifico punto, però, sono state sollevate notevoli riserve.

Ad esempio, è stato ipotizzato che l'autorizzazione del giudice potrebbe essere circoscritta alle conversazioni che avverranno in un determinato luogo pubblico o aperto al pubblico. Il dispositivo infettato, inoltre, potrebbe essere un personal computer installato in un determinato posto non domiciliare e non trasportabile ovvero in un portatile abitualmente tenuto fermo. Ma soprattutto l'agente intrusore è controllabile a distanza; il microfono può essere acceso o spento a richiesta e lo smartphone può essere “tracciato”, così evitando di procedere a registrazioni quando il portatore del telefono infettato entra in un domicilio; anzi, sarebbe utile spegnere il microfono per evitare abnormi consumi della batteria del cellullare che potrebbero insospettire la persona intercettata.

Queste critiche, in verità, evidenziano limiti strutturali della decisione delle Sezioni unite, che non avrebbe tenuto in debito conto questi profili, mirando piuttosto a realizzare un equilibrato contemperamento tra le esigenze di repressione dei reati e la tutela di prerogative fondamentali dell'individuo come quelle previste dagli art. 2, 14 e 15 Cost. In questa prospettiva, lo strumento in esame, in ragione della sua notevole portata intrusiva nella vita delle persone, è stato circoscritto ai gravi reati di criminalità organizzata, senza considerare che ne poteva essere limitato l'impiego a determinate condizioni, come le sole conversazioni che avvengono in luoghi pubblici.

4. Nella vicenda oggetto della decisione in esame, il Gip pare aver recepito le critiche illustrate alla sentenza delle Sezioni unite “Scurato”, stabilendo specifiche condizioni per l'uso del captatore come microspia. In particolare, è stato escluso che potesse essere impiegato in domicili privati. Secondo il Gip, poteva essere accertato preventivamente il luogo di impiego delle captazioni, sfruttando la connessione dati e la localizzazione GPS dello smartphone. Trattandosi di reato diverso da quelli di criminalità organizzata, dunque, l'uso dello strumento informatico era stato sottoposto alla condizione che le conversazioni captate non avvenissero in luogo di privata dimora.

Valorizzando i limiti che il Gip aveva stabilito nel provvedimento autorizzativo delle intercettazioni, nella sentenza impugnata sono state ritenute utilizzabili due conversazioni captate con il trojan, perché erano state registrate, rispettivamente, in un'automobile e sulla pubblica via.

La Corte di cassazione, invece, nella sentenza illustrata, attestandosi sull'interpretazione contenuta nella sentenza delle sezioni unite più volte citata, ha dichiarato inutilizzabili i risultati delle intercettazioni che erano state compiute per mezzo del captatore, sebbene si procedesse per reati diversi da quelli di criminalità organizzata (i soli per quali opera l'art. 13 del d.l. n. 152 del 1991).

5. Come è noto, la materia è stata innovata dal d.lgs. n. 216 del 2017(ma, forse, si potrebbe anche affermare che sia stata disciplinata “per la prima volta”).

Nella sentenza in esame, la Corte ha illustrato la portata delle innovazioni, rilevando che una di essere concerne proprio l'uso del trojan per le intercettazioni relative a reati diversi da quelli di criminalità organizzata in luoghi pubblici o in un domicilio, sempre che, in quest'ultimo caso, sussista la prova che sia in corso l'attività criminosa, in modo da rispettare la condizione posta dall'art. 266 c.p.p.

La sentenza, però, pur entrata in vigore, ha rilevato che la nuova disciplina non è ancora efficace, potendo essere applicata, ai sensi dell'art. 9 comma 1 dello stesso d.lgs. n. 216 del 2017, come modificato dall'art. 9, comma 2, lett. a), del d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv. in legge 8 agosto 2019, n. 77 alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti di autorizzazione emessi dopo il 31 dicembre 2019.

L'unica ulteriore precisazione, sia pur non rilevante nel caso in esame - e, dunque, da considerarsi come un mero obiter dictum - riguarda i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione ai quali si applica, per effetto dell'art. 6, comma 1, del d.lgs.n. 216 del 2017 (che, va ricordato, rappresenta l'unica norma del d.lgs. n. 216 del 2017 efficace alla fine del normale periodo di vacatio legis), la disciplina dell'art. 13 d.l. 13 maggio1991, n. 152, conv. con mod. nella legge 12 luglio 1991, n. 203. Questa norma sarebbe immediatamente operativa («il rinvio alla norma anzidetta renderebbe a regime la nuova disciplina e di operatività immediata il relativo statuto regolatore»).

6. In questa materia, dopo il deposito della sentenza in commento, è stato emanato il d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, recante Modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

All'art. 1 di tale d.l. è stato previsto che le nuove norme – dunque anche quelle in tema di captatore informatico – si applicano «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020» e non «alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 dicembre 2019».

In forza dell'art. 266, comma 2-bis, c.p.p., come interpolato dall'art. 2, comma 1, lett. c), del d.l. n. 161 del 2019, l'utilizzo del captatore informatico per realizzare intercettazioni tra presenti è sempre consentito non solo per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis e 3-quater, c.p.p. (che, per inciso, costituiscono una categoria, per certi versi, più limitata da quella dei reati di criminalità organizzata adottata dalla sentenza delle Sezioni unite “Scurato”, non contemplando il delitto di cui all'art. 416 c.p.) e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'art. 4c.p.p., ma anche “per i delitti degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la stessa pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni”.

Ne deriva un ulteriore ampliamento dell'utilizzo del captatore informatico, che passano dai reati dei pubblici ufficiali anche a quelli degli “incaricati di pubblico servizio”.

Da questa interpolazione può trarsi una indicazione su uno dei dubbi interpretativi che il d.lgs. n. 216 del 2017 aveva suscitato.

L'ampliamento dell'area operativa del captatore, infatti, era stata delimitata con riferimento ai “procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni”.

Una lettura rigorosa della norma conduceva a ritenere che gli standard richiesti per le indagini in tema di criminalità organizzata possono essere estesi alle investigazioni che riguardano i delitti di cui al Capo I, intitolato appunto “Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”, del Titolo II del Libro II del codice penale. Si tratta dei reati compresi tra gli artt. 314 e 335-bisc.p. Esulano dal raggio di azione della norma citata, pertanto, fattispecie come, ad esempio, la turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) e la turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bisc.p.).

Nel momento in cui alla figura dei pubblici ufficiali è stata aggiunta anche quella degli “incaricati di pubblico servizio”, dovendo riconoscersi rilievo alla qualifica soggettiva prevista, pare più plausibile la tesi secondo cui il captatore informatico può essere impiegato con la maggiore apertura riconosciuta anche ai reati di cui all'art. 51 comma 3-bis e 3 quater, c.p.p., per tutti i “delitti contro la pubblica amministrazione”, compresi nel titolo II, del Libro II del codice penale (ovviamente sempre che sussistano i presupposti di ammissibilità indicati dalla norma, e cioè che siano puniti con la previsione di una certa pena edittale, commessi dai pubblici ufficiali o dagli incaricati di pubblico servizio.

7. Nel caso dell'utilizzo di questo strumento, in base all'art. 267,comma 1,c.p.p., come interpolato dall'art. 2, comma 1, lett. d), del d.l. n. 161 del 2019, poi, il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile deve indica le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini nonché, se si procede per delitti diversi da quelli di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono.

Inoltre, secondo l'art. 267, comma 2-bis, c.p.p., il pubblico ministero può disporre, con decreto motivato, l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'art. 4c.p.p. A tal fine, deve indicare, oltre a quanto previsto dal comma 1, secondo periodo, le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice.

8. Il decreto legge indicato, poi, ha riformato la disciplina dell'art. 270 c.p.p. che concerne l'utilizzo dei risultati delle intercettazioni effettuate per mezzo del captatore informatico “in altri procedimenti.

Secondo l'art. 270, comma 1-bis, c.p.p. i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, evidentemente emersi dalle captazioni, sempre che si tratti di reati compresi tra quelli indicati dall'art. 266, comma 2-bis, c.p.p. Si deve trattare, pertanto, di delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, e di delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'art. 4c.p.p.

L'art. 270, comma 1-bis, c.p.p., inoltre, fa salva l'applicazione della disposizione di cui al comma precedente. Oltre alla condizione appena indicata (delitti di cui all'art. 266, comma 2-bis, c.p.p.), pertanto, per l'utilizzo probatorio dei risultati delle intercettazioni compiute a mezzo captatore informatico per reati diversi da quelli oggetto dell'autorizzazione occorre anche rispettare i presupposti di cui all'art. 270, comma 1, c.p.p.

Essi sono stati, di recente, puntualizzati dalle Sezioni unite, con la sentenza 28 novembre 2019, dep. 2 gennaio 2020, n. 51, Cavallo e altro.

Secondo questa pronuncia, il divieto di cui all'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento ai reati accertati in forza di tali risultati che risultano connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge. La Corte, in particolare, ha precisato che, al fine di non eludere il divieto di cui all'art. 270 c.p.p., la sussistenza del collegamento tra le indagini relative al reato per il quale le intercettazioni erano state disposte e quello ulteriore accertato in forza delle stesse di cui all'art. 371, comma 2, lett. b) e c), c.p.p. non è sufficiente a permettere l'utilizzazione dei risultati delle captazioni.

8. Per completezza, appare utile anche accennare ad un ulteriore quesito posto dalla sentenza in esame, a cui la sentenza, in verità, pare offrire una risposta parziale: Il consenso dell'utilizzatore del telefono all'utilizzo dello stesso per realizzare intercettazioni assume una qualche incidenza sui limiti di ammissibilità delle captazioni?

Nel caso di specie, infatti, dalla sentenza sembra emergere che sia stato usato l'apparecchio di un familiare della vittima per compiere intercettazioni con il suo consenso «impiegandolo anche come strumento attraverso cui si operavano le registrazioni».

Sul punto, che evoca la figura dell'agente attrezzato per il suono, la Corte ha rilevato che, se uno degli interlocutori è a conoscenza dell'atto che il cellullare è stato infettato con un trojan, residuerebbe per gli investigatori la possibilità di influire anche sul risultato acquisitivo, accendendo o spegnendo l'apparecchio.

La registrazione della conversazione da parte dei uno dei presenti e l'utilizzo processuale degli elementi così ottenuti costituisce, tuttora, un'area controversa nella quale, in mancanza di una previsione normativa, si avverte tutta la difficoltà dell'azione di supplenza della giurisprudenza della Suprema Corte.

Il tema è stato affrontato dalla giurisprudenza in una nota decisione (Cass. Sezioni unite 28/05/2003, n. 36747, Torcasio), secondo cui la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce - sempre che non si tratti della riproduzione di atti processuali - prova documentale secondo la disciplina dell'art. 234 c.p.p. Essa non costituisce intercettazione "ambientale" soggetta alla disciplina degli artt. 266 e ss. c.p.p., anche quando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest'ultima con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio (Cass. 21/10/2016, dep. 2017, n. 3851).

Tale soluzione appare molto discutibile, a maggior ragione nell'epoca moderna in cui le potenzialità del captatore informatico hanno aumentato le capacità di intercettazione. Del resto, secondo un distinto indirizzo che si è formato nella giurisprudenza di legittimità, la registrazione di conversazioni effettuata da un privato, mediante apparecchio collegato con postazioni ricetrasmittenti attraverso le quali la PG procede all'ascolto delle stesse e alla contestuale memorizzazione, non costituisce una mera forma di documentazione dei contenuti del dialogo, né una semplice attività investigativa, bensì un'operazione di intercettazione di conversazioni ad opera di terzi, come tale soggetta alla disciplina autorizzativa dettata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., con la conseguente inutilizzabilità probatoria di tale registrazione, ove preceduta dalla sola autorizzazione del Pubblico Ministero (cfr. Cass. 23/03/2016, n. 39378).

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