L'evoluzione dei controlli a distanza e la pronuncia della CEDU

13 Gennaio 2020

L'evoluzione dell'art. 4, l. n. 300 del 1970 ha subito un punto di svolta all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 23, d.lgs. n. 151 del 2015 (attuativo del Jobs Act) che ha realizzato un'importante apertura sui controlli a distanza per i lavoratori, in origine molto rigidi e vietati quasi in ogni circostanza...
Abstract

L'evoluzione dell'art. 4, l. n. 300 del 1970 ha subito un punto di svolta all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 23, d.lgs. n. 151 del 2015 (attuativo del Jobs Act) che ha realizzato un'importante apertura sui controlli a distanza per i lavoratori, in origine molto rigidi e vietati quasi in ogni circostanza. A questa situazione hanno fatto seguito una serie di pronunce dei giudici di legittimità e, da ultimo, l'interessante sentenza della Grande Camera della CEDU, 17 ottobre 2019, n. 355 la quale ha dichiarato l'uso legittimo delle telecamere nascoste purché in presenza di ragioni ben definite.

Brevi cenni storici sui controlli a distanza

Con l'art. 4 dello Statuto dei lavoratori era stato sancito il divieto assoluto di utilizzare sistemi audiovisivi o di altro genere per il controllo a distanza dei lavoratori; la norma, indubbiamente figlia dei suoi tempi, impediva perfino la possibilità di controllare accessi e uscita dal posto di lavoro, ed è stata nel tempo sensibilmente ridimensionata anche in ragione non solo delle mutate esigenze delle azienda ma anche, e forse soprattutto, in ragione dell'evoluzione tecnologica che ha reso il dettato normativo, nei fatti, desueto.

In primo luogo, dunque, la verifica sulle entrate/uscite dal luogo di lavoro, è oramai legittimo e non vi è alcuna ragione per ritenere il contrario, né vi è alcuna necessità di accordi sindacali per l'introduzione di tale forma di controllo: l'utilizzo della timbratura, del badge elettronico, o semplicemente “la firma” al momento dell'ingresso nel luogo di lavoro, non sono considerati illegittimi e divengono – invece – uno strumento di tutela per il datore di lavoro che può verificare la correttezza circa il rispetto dell'orario di lavoro. In questo senso, dunque, vale la pena rimandare all'appendice di questo contributo ove si evidenziano alcune decisioni sulla rilevanza disciplinare dei ritardi sul luogo di lavoro che sono state rilevate (per l'appunto) proprio dai cartellini marcatempo.

In secondo luogo, si è sviluppata la giurisprudenza sui controlli c.d. “difensivi” e sui controlli c.d. “estensivi” oppure detti difensivi occulti.

I primi sono controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori esclusivamente nei limiti in cui tali comportamenti non siano funzionali, o meglio strumentali, all'esatto adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro: tra i controlli difensivi rientra anche l'installazione di impianti di videosorveglianza finalizzati alla prevenzione di furti o danneggiamenti alla strumentazione aziendali, la cui legittima installazione è vincolata al fatto che gli stessi non siano poi utilizzati per controllare i dipendenti e la loro corretta esecuzione della prestazione. Quest'ultimo caso, infatti, rientra nella seconda categoria dei controlli estensivi o difensivi occulti, ovvero tutti quei casi in cui il datore di lavoro – paventando un pericolo per il complesso dei beni aziendali – invece ponga in essere una serie di controlli invasivi sull'esatto adempimento della prestazione lavorativa, ad esempio con telecamere (per l'appunto) che tengano monitorati i dipendenti, la loro presenza e le attività che svolgono.

L'evoluzione delle tecnologie informatiche, tuttavia, ha reso necessaria un'inversione di tendenza e così con l'art. 23, d.lgs. n. 151 del 2015, attuativo del cosiddetto “Jobs Act” (ossia legge delega n. 183 del 2014) ed integrato, successivamente, dal d.lgs. n. 185 del 2016, sono state introdotte importanti modifiche rispetto alla possibilità del datore di lavoro di controllare l'attività lavorativa svolta dai propri dipendenti.

L'evoluzione della normativa italiana e la posizione del garante per la privacy

Prima della riforma introdotta dal Jobs Act, dunque, l'utilizzo degli impianti audiovisivi – quale forma di controllo a distanza – era completamente vietata, fatta eccezione per quei casi in cui – come visto – il datore di lavoro era in grado di dimostrare la sussistenza di ragioni organizzative, produttive e di sicurezza del luogo di lavoro: in ogni caso, sarebbe stato necessario un accordo con le OO. SS. o comunque con le RSA interne.

I primi interventi, in senso di “apertura” per una maggiore invasività dei controlli, sono stati forniti proprio dal Garante della privacy nell'ambito di un più ampio processo di ricezione delle innovazioni tecnologiche in atto soprattutto dagli anni 2000 in poi. Così vi è stato un primo arresto del Garante il 1° marzo 2007 ove è stato precisato nell'art. 4, l.n. 300 del 1970 che, al primo comma, gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche un controllo a distanza dell'attività dei lavoratori (ad esempio, gli impianti di videosorveglianza, sistemi di geolocalizzazione installati su veicoli utilizzati dai lavoratori, personal computers fissi e portatili e tablets utilizzati senza password da più lavoratori, telefoni cellulari utilizzati senza codici personali da più lavoratori, centralino telefonico elettronico, registratori di cassa elettronici etc.) possono essere utilizzati dall'imprenditore esclusivamente per esigenze di carattere organizzativo e produttivo, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale.

Parimenti, al secondo comma dell'art. 4, l. n. 300 del 1970, invece, è stato precisato che le limitazioni dovute al rispetto delle procedure sindacali richiamate non trovano applicazione con riferimento all'utilizzo di altri strumenti che il datore di lavoro assegna ai propri dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa (ad esempio, computer, telefoni, tablets purché assegnati al singolo lavoratore o anche a più lavoratori ma con accesso personalizzato per ciascuno, carte di credito, telepass), nonché gli strumenti di rilevazione degli accessi (come ad es. nei centri di ricerca, progettazione e sperimentazione) e delle presenze (c.d. lettori badge), anche laddove dagli stessi, possa derivare potenzialmente la possibilità di un controllo a distanza del dipendente.

In questo contesto va letto anche il recentissimo intervento dell'Ispettorato nazionale del lavoro che con la nota 12 novembre 2019, n. 9728 ha ritenuto legittimo l'utilizzazione di applicazioni sui telefoni cellulari per le imprese di trasporto (addette a consegne a domicilio) al fine di verificare in tempo reale i tempi delle consegne, i resi e più in generale l'efficienza dei servizi.

Con l'entrata in vigore dell'art. 23, d.lgs. n. 151 del 2015 si è definitivamente messo mano alla normativa, seguendo un percorso già in atto da tempo.

Sparisce il divieto generale di controllo a distanza dell'attività del lavoratori, e viene prevista la possibilità di installare impianti audiovisivi “esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale” previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali o autorizzazione dell'Ispettorato nazionale del lavoro; è espressamente esclusa la necessità di accordo sindacale, o di autorizzazione ministeriale, per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (pc, tablet, telefoni cellulari, ecc.), pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore.

Infine, è stata prevista la possibilità di utilizzare le informazioni e i dati raccolti per “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e poi dal successivo Regolamento UE n. 2016/679 in sigla RGPD.

La decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo

Con la decisione del 17 ottobre 2019 la Grande Camera della Corte europea di Strasburgo si è espressa positivamente circa la possibilità di installare di nascosto apparecchiature di videosorveglianza sul luogo di lavoro, senza dare preavviso ai lavoratori e senza necessità di alcuna informativa ai sindacati (o di accordo con i medesimi).

La questione ha tratto origine dall'utilizzo di tali apparecchiature, di nascosto, da parte di un imprenditore il quale – gestendo un supermercato – aveva il fondato sospetto che fossero stati commessi furti all'interno della sua azienda, proprio da parte dei dipendenti; l'installazione occulta, quindi, aveva l'esclusiva finalità di prevenire condotte illecite, tali da provocare un danno patrimoniale all'azienda, e in alcun modo era mirata al controllo della prestazione lavorativa dei dipendenti in genere. Per altro, trattandosi di un supermercato, quindi di un luogo aperto al pubblico, l'esposizione al rischio era ancora più elevata, dunque sufficiente a giustificare l'installazione di tali telecamere.

Gli elementi posti a giustificazione della condotta del datore erano:

  • fondati e ragionevoli sospetti di furto a danno del patrimonio aziendale di ingenti dimensioni;
  • periodo limitato delle riprese;
  • area circoscritta, aperta al pubblico;
  • impossibilità a ricorrere ad altri mezzi di prova.

Anche il Garante della privacy italiano è intervenuto ritenendo legittima l'installazione degli impianti di videosorveglianza nel momento in cui la misura è giustificabile quale “extrema ratio per fare fronte a gravi illeciti” e comunque per un arco temporale ben definito, comunque non a tempo indeterminato; per certi aspetti, va precisato, la rilevanza mediatica della vicenda è stata anche superiore alla portata pratica della decisione, tanto che nell'ordinamento italiano quello appena enunciato è un principio sostanzialmente consolidato e che è stato più semplicemente confermato. Le modifiche introdotto dal Jobs Act, infatti, solo espressamente esclusi i controlli c.d. “difensivi” finalizzati alla prevenzione di illeciti da parte di terzi o del personale dipendente.

L'occasione è stata, invece, sicuramente quella di tornare a discutere sulle modalità di controllo a distanza dei dipendenti. Lo Statuto dei lavoratori pone dei limiti precisi e delimitati, consentendo l'installazione di impianti audiovisivi solo in presenza di esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro o di tutela del patrimonio, e comunque con l'accordo delle Rappresentanze sindacali aziendali: in caso di impossibilità di un accordo, perché (ad esempio) mancanti le RSA, l'installazione può avvenire con l'accordo raggiunto con le OO. SS. territoriali o presso l'Ispettorato territoriale del lavoro.

L'accordo sindacale non è necessario, invece, per il controllo degli strumenti di lavoro utilizzati dal lavoratore come, ad esempio, pc, tablet, cellulare, ecc. oppure per gli strumenti di registrazione delle presenze anche a distanza (badge tramite applicazioni di cellulare, per esempio).

Le ipotesi per il futuro

L'evoluzione dei controlli a distanza dei lavoratori apre, evidentemente, una serie di prospettive. Una prima, è la possibilità di iniziare a ragionare in termini di esatta prestazione rispetto alle aspettative del datore di lavoro, e alle necessità imprenditoriali, con una valutazione che volge oltre il mero controllo quantitativo del numero di pratiche evase ma che può incidere proprio nelle corrette modalità di svolgimento della prestazione e, quindi, sotto l'aspetto qualitativo delle stesse; tale valutazione potrà agevolare tanto la natura premiale di alcune erogazioni economiche, spesso esentate dalla tassazione, quanto l'opportunità di provvedimenti disciplinari in caso di mancanze sul posto di lavoro, o perfino il recesso dal rapporto di lavoro quando l'attività del dipendente è considerata anti economica rispetto ai costi sostenuti da parte dell'azienda.

Una seconda prospettiva, in realtà già in atto, è quella di consentire un più diretto controllo sull'azienda in termini non solo di prevenzione dai danni patrimoniali ma, evidentemente, proprio sulle modalità di esecuzione della prestazione che sarà resa – negli anni – sempre maggiormente con modalità elastiche: lavoro agile, GIG economy e similia, sono lì a dimostrare come la direzione sia verso una progressiva dematerializzazione del posto di lavoro inteso come postazione fisica fissa, a favore di un lavoro reso in luoghi diversi ove conterà (sempre di più) solo la corretta esecuzione.

Guida all'approfondimento: definizione e fattispecie tipizzanti

Cass., sez. lav., 5 luglio 2018, n. 17685

In tema di controllo del lavoratore, non è soggetta alla disciplina dell'art. 4, comma 2, l. n. 300 del 1970, l'installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e riservatezza dei lavoratori.

Tribunale Roma, 13 giugno 2018

In tema di licenziamento, posto che la novella sui controlli a distanza ha escluso il divieto in linea di principio dell'uso d'impianti per il controllo a distanza, ma ha posto limiti rigorosi alle modalità del suo svolgimento, sono inutilizzabili a fini disciplinari le informazioni raccolte dall'account di posta aziendale in uso al lavoratore, qualora quest'ultimo non sia stato adeguatamente informato delle modalità di espletamento dei controlli.

Cass., sez. lav., 14 luglio 2017, n. 17531

Un'apparecchiatura di controllo predisposta dal datore di lavoro, sia pure a vantaggio dei dipendenti, per la rilevazione non solo dei dati di entrata e uscita dall'azienda, ma anche dell'osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e della correttezza dell'esecuzione della prestazione lavorativa, costituisce un illegittimo strumento di controllo a distanza, se non autorizzata dall'ispettorato del lavoro o non concordata con le rappresentanze sindacali (fattispecie relativa a sistema badge in grado di registrare da remoto i dati riguardanti gli orari di ingresso e uscita, le sospensioni, i permessi e le pause, così realizzando un controllo continuo, permanente e globale).

Cass., sez. lav., 10 novembre 2017, n. 26682

È legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore responsabile di aver inviato una serie di undici e-mail offensive nei confronti dei vertici e dei collaboratori dalla società, qualificandoli di inettitudine e scorrettezza con reiterate espressioni scurrili, ledendo l'immagine aziendale e la dignità dei lavoratori coinvolti; questo comportamento è tale da far venire meno il vincolo fiduciario; nel caso di specie, il controllo a distanza, occasionato da un'anomalia pervenuta all'amministratore di sistema, non ha riguardato l'esatto adempimento dell'obbligazione lavorativa, ma l'accertamento ex post di condotte lesive di beni estranei alla prestazione lavorativa; di conseguenza, un controllo come quello in questione, mirato (non alla sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa, ma) ad accertare la perpetrazione di illeciti del lavoratore, esula dal campo applicativo dell'art. 4, comma 2, st. lav. (fattispecie anteriore alla nuova formulazione dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, così come introdotta dall'art. 23, d.lgs. n. 151 del 2015).

Cass., sez. lav., 10 novembre 2017, n. 26682

In tema di controllo del lavoratore, la duplicazione periodica dei dati contenuti nei computer aziendali, preventivamente nota ai dipendenti, esula dal campo di applicazione delle garanzie procedurali imposte dall'art. 4, comma 2, st. lav. (nel testo anteriore alle modifiche di cui al art. 23, comma 1, d.lgs. n. 151 del 2015), se effettuata a tutela di beni estranei al rapporto di lavoro, quali l'immagine dell'azienda e la tutela della dignità di altri lavoratori, e non riguardi l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto stesso (nella specie, la suprema corte ha ritenuto legittimo il controllo effettuato dalla datrice di lavoro sulla posta elettronica aziendale di un dipendente accusato di aver inviato una serie di e-mail contenenti reiterate espressioni scurrili nei confronti del legale rappresentante della società e di altri collaboratori, nonché apprezzamenti negativi nei confronti dell'azienda in quanto tale).

Cass., sez. lav., 18 luglio 2017, n. 17723

Nel caso di un'attività investigativa svolta da un'agenzia privata e connessa ad una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, indagine che ricade nella figura del «controllo difensivo» da parte del datore di lavoro in una sfera eccedente i luoghi di lavoro, non trovano applicazione gli art. 3, 4 e 8, l. n. 300 del 1970.

Cass., sez. lav., 15 luglio 2017, n. 14862

Ai sensi dell'art. 4, l. n. 300 del 1970, costituisce controllo a distanza l'attività che abbia ad oggetto la prestazione lavorativa ed il suo esatto adempimento, restando esclusa dal campo di applicazione della norma quella che sia volta ad individuare la realizzazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, idonei a ledere il patrimonio aziendale sotto il profilo della sua integrità e del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti.

Cass., sez. lav., 2 maggio 2017, n. 10636

La collocazione, da parte dell'azienda, di strumenti di controllo (nella specie, telecamere) all'interno di locali dove si siano verificati dei furti integra un'ipotesi di controllo difensivo a distanza, estraneo all'ambito di applicazione dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori qualora attuato con modalità non invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore di cui si sia, mediante le riprese, accertata la responsabilità dei furti.

Normativa
  • L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 4;
  • D.lgs. 14 settembre 2015, n. 151, art. 23;
  • Regolamento UE n. 2016/679 (in sigla RGPD)
Sommario