La modifica stragiudiziale dell'assegno di divorzio
16 Gennaio 2020
È necessario procedere avanti il tribunale per la modifica di assegno di divorzio concordato fra le parti?
La risposta al quesito in questione imporrebbe la trattazione di una serie di problematiche in ambito del diritto di famiglia che in questo luogo non possono essere trattate. Si potrà, in questa sede, solamente far riferimento alle principali questioni che sottendono il quesito. Se non si interpreta male il quesito, si vuol sapere se sia possibile la modifica di un cosiddetto “assegno divorzile” determinato in sede giudiziale con domanda congiunta, senza percorrere la medesima via, ma concordandone la misura fra le parti, in modo, ovviamente, difforme da quanto contenuto nella sentenza di divorzio. Il problema, a ben vedere, riguarda la problematica relativa alla disponibilità o meno delle norme del diritto di famiglia e quale sia il limite entro il quale si possa “conformare” un diritto di per sé indisponibile, come sono ritenuti la maggior parte di quelli regolati dalle norme in materia. Sul punto, sia la dottrina che la giurisprudenza, nel tempo, hanno assunto un atteggiamento sempre meno rigido, offrendo spazio alla libera contrattazione delle parti ma entro determinati limiti. Sul punto è interessante una recentissima sentenza della cassazione penale, secondo la quale all'ex coniuge non spetterebbe l'assegno alimentare se così risultasse da un accordo intervenuto tra le parti successivamente alla sentenza di divorzio, anche se questo non sia stato “omologato” dal giudice (Cass. pen., 23 agosto 2019, n. 36392). Il caso si riferiva ad una sentenza di divorzio dove nulla era stabilito in merito all'assegno. Ma anche la giurisprudenza meno recente, in materia di separazione e non di divorzio (risolvendo, ad ogni modo, problematiche analoghe) si era espressa sostanzialmente nello stesso modo a proposito di patti intervenuti tra i coniugi addirittura prima del decreto di omologazione della separazione consensuale, ritenuti validi se non contrastanti con il provvedimento giudiziale successivo: «Le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione della separazione consensuale, e non trasfuse nell'accordo omologato, sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest'ultimo, in posizione di "non interferenza" - perché riguardano un aspetto che non è disciplinato nell'accordo formale e che è sicuramente compatibile con esso, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, ovvero perché hanno un carattere meramente specificativo - oppure in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo di cui all'art. 158 c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza impugnata, che aveva escluso l'invalidità dell'accordo intervenuto tra i coniugi per l'alienazione della casa coniugale, di proprietà esclusiva del marito ed assegnata alla moglie, e per la ripartizione del ricavato tra loro, in quanto la perdita dell'abitazione da parte del coniuge assegnatario era giustificata dall'intenzione di quest'ultimo di trasferirsi in un'altra città, ed era comunque compensata dal beneficio economico derivante dall'attribuzione di parte del corrispettivo, che avrebbe consentito alla moglie di far fronte più largamente alle proprie esigenze ed a quelle della figlia a lei affidata)» (Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2005 n. 20290). La stesa pronuncia, in merito ai patti intervenuti successivamente, invece, ne aveva sancito la perfetta validità se non contrastanti con norme indisponibili: «Giova, al riguardo, premettere che questa Corte, dopo avere con l'ormai lontana sentenza n. 14 del 5 gennaio 1984 (relativa ad un caso in cui la pattuizione di un maggior contributo economico del marito - a titolo di spese per la governante dei figli minori - era intervenuta anteriormente all'omologazione e non era stata trasfusa nel relativo verbale) negato la possibilità di simili accordi a latere sul rilievo che l'accordo di separazione consensuale appartiene alla categoria dei negozi che hanno la loro sede necessaria nel processo, onde gli oneri del coniuge si esauriscono in quelli concordati nel verbale omologato, i quali possono essere modificati successivamente soltanto per l'intervento di fatti nuovi e con la procedura dettata dagli artt. 710 e 711, ultimo comma, c.p.c., è, quindi, addivenuta, con le più recenti sentenze n. 2270 del 24 febbraio 1993 e n. 657 del 22 gennaio 1994, ad un approfondito riesame della questione, giungendo alla conclusione differenziata secondo cui: a) le modificazioni pattuite dai coniugi "successivamente" all'omologazione, trovando fondamento nell'art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dai richiamati artt. 710 e 711 c.p.c., senza altro limite che non sia quello di derogabilità consentito dall'art. 160 c.c. (così, successivamente, anche Cass. civ., 11 giugno 1998, n. 5829)». Così, recentemente, in materia di divorzio: «L'accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l'omologazione» (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24621). Questo per quanto riguardo i rapporti fra i coniugi. Diversamente per quanto riguarda le norme poste a tutela della prole, soprattutto nel caso in cui sia minore. Tali norme, certamente non disponibili dalle parti, non potranno formare oggetto di pattuizione privata se tese a limitare o comprimere i diritti fondamentali dei figli nei confronti dei genitori. Potranno, al contrario, trovare riconoscimento qualora siano conformativi e, sostanzialmente, migliorativi dei diritti all'assistenza, eduzione, istruzione, ecc. ..., che i genitori hanno nei confronti della prole. Così si è avuto modo di affermare la validità di patti fra i coniugi, riguardanti i figli, nella misura in cui essi non rechino pregiudizio alla situazione economica dei figli stessi, prevedendo una situazione peggiorativa (ad esempio una riduzione del contributo economico complessivo) rispetto a quella raggiunta in sede di separazione. Sul punto, soprattutto la dottrina, ha considerato che «se è vero che l'art. 158 c.c. demanda al giudice il compito di valutare se gli accordi relativi all'affidamento e al mantenimento siano o no conformi al loro interesse, non gli attribuisce però il potere di sostituirsi ai genitori nelle relative scelte. Egli non può modificare o integrare i patti, ma solo sollecitare un loro riesame da parte dei genitori ed eventualmente sospendere l'omologazione. Sotto questo aspetto l'art. 158 non contraddice il principio di autonomia familiare, ma anzi ne costituisce una coerente applicazione» (Così, G. Oberto, in nota a Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20290, ove viene riportata la posizione di Alpa e Ferrando, Quaestio, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, 1989, Padova, 516). Certo è che la valutazione andrà fatta caso per caso e andrà vagliata l'esistenza o meno della compressione di diritti indisponibili propri della materia del diritto di famiglia. Ragion per cui, pur essendoci spazio per l'accordo privato anche in questa materia, con i limiti sommariamente indicati, è sempre consigliabile percorrere la via giudiziaria, proprio perché all'interno del processo verrà valutata la conformità degli accordi e della volontà delle parti alle inderogabili norme di legge dettate in materia di famiglia. |