Effetti processuali della fusione

16 Gennaio 2020

In caso di fusione per incorporazione l'art. 2501 bis c.c. plasma una ipotesi di vicenda meramente modificativa-evolutiva della compagine societaria, garantendo la prosecuzione dei rapporti anche processuali, con legittimazione attiva e passiva della società incorporante, ma...
Massima

In caso di fusione per incorporazione l'art. 2501 bis c.c. plasma una ipotesi di vicenda meramente modificativa-evolutiva della compagine societaria, garantendo la prosecuzione dei rapporti anche processuali, con legittimazione attiva e passiva della società incorporante, ma lasciando immutata la legittimazione attiva e passiva anche della società incorporata, non verificandosi una successione mortis causa, ed essendo impedita la interruzione del processo. Solo nell'ipotesi in cui la società incorporata sia cancellata dal registro delle imprese, con conseguente sua estinzione, viene meno la sua legittimazione processuale.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate aveva emesso avviso di accertamento nei confronti di una società, poi fusa per incorporazione in altra compagine.

In particolare, l'Agenzia utilizzando il procedimento induttivo, aveva disconosciuto costi per la produzione ed oneri finanziari.

La contribuente impugnava l'avviso e deduceva la mancata deduzione dei costi sostenuti, l'omesso conteggio delle perdite pregresse in diminuzione e la mancata detrazione dell'Iva assolta in via di rivalsa, oltre alla non applicabilità delle sanzioni.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso, con sentenza poi confermata dalla Commissione Tributaria Regionale, rilevando che la società non aveva fornito la prova della inerenza e sussistenza dei costi, della esistenza delle perdite pregresse e dell'ammontare dell'Iva da detrarre.

Il giudice di appello, nel merito, aveva escluso la deducibilità dei costi, in quanto i fatti segnalati dall'Ufficio (acquisto dell'immobile per una somma superiore al mutuo, contratto di mutuo stipulato da società terza, mancata produzione del preliminare di vendita e del contratto di derivati) deponevano per l'iscrizione in bilancio di dati inattendibili, e non aveva riconosciuto né le perdite pregresse, non dimostrate, né la detrazione dell'Iva assolta in via di rivalsa, non essendo sufficiente la produzione della fattura in assenza della prova del versamento e del conseguente diritto alla detrazione.

Avverso tale sentenza la società proponeva infine ricorso per cassazione.

La questione

La Suprema Corte rilevava in primis la tardività della produzione, da parte della ricorrente, dell'atto di fusione mediante incorporazione, considerando comunque tale documento irrilevante ai fini del decidere e rigettando pertanto l'eccezione preliminare, sollevata dalla Agenzia delle Entrate con il controricorso, di difetto di legittimazione attiva della ricorrente a causa della avvenuta fusione per incorporazione in altra società, la quale, secondo l'Agenzia, era dunque subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi, anche processuali, con acquisizione della legittimazione attiva, in luogo delle incorporata ricorrente.

Evidenziano a tal proposito i giudici di legittimità che l'art. 2504 bis c.c. (effetti della fusione), nella formulazione post riforma di cui al d.lgs. n. 6/2003, stabilisce che "la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione".

La Corte rileva quindi che la stessa Cassazione, a sezioni unite (Cass., Sez. un., 17 settembre 2010, n. 19698), si è occupata, con riferimento alle conseguenze processuali (interruzione o meno dei processi ai sensi dell'art. 110 c.p.c.), delle fusioni verificatesi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 6/2003, norma ritenuta innovativa e non retroattiva, stabilendo che la fusione non determina l'interruzione del giudizio (Cass., sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2637), determinando una vicenda meramente evolutivo modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.

La disciplina di cui all'art. 2504 bis c.c., afferma la Corte, non vale quindi per le fusioni (per unione od incorporazione) anteriori all'entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004), le quali, tuttavia, pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano dalla successione mortis causa, perché la modificazione dell'organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, con la conseguenza che quella che viene meno non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante (o la società risultante dalla fusione), che può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole.

E ad esse, di conseguenza non si applica la disciplina dell'interruzione di cui agli artt. 299 ss. c.p.c.

La giurisprudenza di legittimità si è poi del resto pronunciata anche con riferimento al nuovo art. 2501 bis c.c., in vigore a partire dal 1 gennaio 2004 (per le fusioni realizzate a partire da quella data), nel senso della prosecuzione dei rapporti processuali sia da parte della incorporata sia da parte della incorporante, tranne l'ipotesi di intervenuta successiva cancellazione, e conseguente estinzione, della società incorporata, in tal caso residuando esclusivamente la legittimazione attiva e passiva nel rapporti processuali della sola incorporante.

Le soluzioni giuridiche

Conclude quindi la Suprema Corte che, in caso di fusione per incorporazione, ai sensi degli artt. 2501 ss. c.c., come modificati dal d.lgs. n. 6/2003, la società incorporata, in quanto coinvolta in una vicenda evolutiva-modificativa, con mutamento solo formale dell'organizzazione societaria già esistente, non si estingue e, sopravvivendo in tutti i suoi rapporti, anche processuali, resta legittimata all'impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali di cui è parte (Cass., 16 settembre 2016, n. 18188).

La Corte, in ogni caso, dà atto del contrasto giurisprudenziale che ancora vige sul tema, laddove in alcune (anche recenti) pronunce si è affermato che, perfino in caso di intervenuta cancellazione dal registro delle imprese, dopo la fusione, l'incorporata conserva comunque la legittimazione attiva e passiva nella prosecuzione dei rapporti processuali, essendo quindi ammissibile l'appello proposto nei confronti della società incorporata (e viceversa), la quale, nonostante la cancellazione dal registro delle imprese, sopravvive in tutti i suoi rapporti, anche processuali, alla vicenda modificativa nella società incorporante (Cass., sez. V, 12 febbraio 2019, n. 4042; Cass., sez. V, 18 novembre 2014, n. 24498).

Mentre, altra parte della giurisprudenza di legittimità, in senso del tutto opposto, ritiene invece che la legittimazione attiva e passiva sia in via esclusiva della società incorporante, anche se non v'è stata cancellazione della incorporata, affermando che, in ipotesi di fusione per incorporazione ex art. 2504 bis c.c. (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla riforma), intervenuta in corso di causa, la legittimazione attiva e passiva all'impugnazione spetta alla sola società incorporante, cui sono stati trasferiti i diritti e gli obblighi della società incorporata, che prosegue pertanto in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione facenti capo alla società incorporata, salva la possibilità della controparte di notificare l'atto di impugnazione anche nei confronti di quest'ultima, nel caso in cui, nonostante l'iscrizione nel registro delle imprese, non sia stata resa edotta della intervenuta fusione (Cass., sez. V, 24 maggio 2019, n. 14177).

Per quest'ultima pronuncia la finalità dell'art. 2501 bis c.c. è dunque quella di valorizzare, nel caso di fusione per incorporazione, la continuità giuridica dell'attività del soggetto incorporato nel soggetto incorporante, "ma non certo quella di procrastinare a tempo indeterminato l'esistenza della società incorporata [...] fino alla cessazione dei rapporti che la riguardano", non essendo prevista una "prorogatio sine die dei suoi organi rappresentativi".

Tanto premesso, in ogni caso, secondo la pronuncia in esame, andava condiviso il primo orientamento citato, nel senso che l'art. 2501 bis c.c. plasma una ipotesi di vicenda meramente modificativa-evolutiva della medesima compagine societaria, garantendo la prosecuzione dei rapporti anche processuali, con legittimazione attiva e passiva della società incorporante o della nuova società, ma lasciando immutata la legittimazione attiva e passiva della società incorporata.

Secondo la Corte, solo invece nell'ipotesi in cui la società incorporata sia cancellata dal registro delle imprese, con conseguente sua estinzione, viene meno anche la legittimazione processuale.

La cancellazione dal registro delle imprese determina infatti, attesa l'efficacia costitutiva del provvedimento, l'immediata estinzione della società stessa, che non può più mantenere la propria individualità, né può far valere la persistenza di una propria autonoma legittimazione attiva (Cass., 15 febbraio 2013, n. 3820).

In conclusione, solo laddove l'impugnazione proposta direttamente dalla società incorporata avvenga in epoca successiva alla cancellazione dal registro delle imprese, la stessa potrà essere dichiarata inammissibile.

Cosa che però non era avvenuta nel caso in esame, laddove, al momento della spedizione del ricorso per cassazione, la società ricorrente era ancora iscritta nel registro delle imprese, essendo intervenuta la cancellazione solo successivamente.

Osservazioni

Dal punto di vista civilistico, la fusione determina, secondo la giurisprudenza prevalente, un effetto analogo alla successione a titolo universale, tale da comportare l'estinzione delle società fuse o incorporate e la contestuale sostituzione a queste della società risultante dalla fusione o incorporante.

Per effetto della fusione i soci delle società che si estinguono ricevono quindi, in sostituzione della loro partecipazione nelle società estinte, azioni o quote della società risultante dalla fusione, nel caso di fusione propria, o incorporante, nel caso di fusione per incorporazione.

Tra gli aspetti principali dal punto di vista contabile nella fusione vi è la differenza di fusione, costituita da meri valori contabili di pareggio, che si creano per effetto della fusione dopo che la incorporante, o la società risultante dalla fusione propria, ha inserito nella propria contabilità i valori contabili, cioè le attività e le passività dello Stato patrimoniale della società incorporata o fusa.

Nel caso di fusione per incorporazione la differenza da fusione (detta anche differenza da annullamento) è costituita dalla differenza tra i valori contabili patrimoniali della società incorporata e il valore di bilancio, nella incorporante, della partecipazione nella società incorporata.

E questa differenza può essere:

- positiva (nel qual caso si parla di avanzo da annullamento), quando i valori contabili patrimoniali della società incorporata superano il valore di bilancio della partecipazione nella società incorporata;

- o negativa (nel qual caso si parla di disavanzo da annullamento), quando i valori contabili patrimoniali della società incorporata sono inferiori al valore di bilancio della partecipazione nella società incorporata.

Per quanto attiene invece alla disciplina fiscale della fusione, prevista dall'art. 172 Tuir, questa è improntata alla neutralità fiscale rispetto sia alle società partecipanti alla fusione, sia ai loro soci.

Ai fini fiscali, dunque, la fusione non costituisce un atto realizzativo di plusvalenze o di minusvalenze sui beni delle società fuse, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.

Il principio di neutralità delle fusioni, in base al quale il passaggio dei beni dalle società o dagli enti preesistenti a quello o quelli risultanti dalle citate operazioni non dà luogo a fenomeni realizzativi, implica dunque un sistema di rilevazione dei valori che è tipico della tassazione in base al bilancio.

Pertanto, in coerenza con il principio di neutralità che disciplina la fusione, tanto l'avanzo quanto il disavanzo da annullamento o da concambio non assumono rilevanza alcuna ai fini fiscali e le eventuali differenze da fusione rappresentano solo poste di mero riequilibrio contabile, prive di rilievo fiscale.

Il comma 10 dell'art. 172 cit. prevede poi che gli obblighi di versamento dei soggetti che si estinguono per effetto delle operazioni di fusione, sono adempiuti dagli stessi soggetti fino alla data di efficacia della fusione ai sensi dell'art. 2504-bis, comma 2, c.c, mentre, successivamente a tale data, i predetti obblighi si intendono a tutti gli effetti trasferiti alla società incorporante o comunque risultante dalla fusione.

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