La pena pecuniaria come misura sostitutiva senza prescrizioni e la mancata revoca della sospensione condizionale

Paolo Pittaro
17 Gennaio 2020

La sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell'art. 58, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, si riferisce...
Massima

La sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell'art. 58, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione ed alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna prescrizione.

La rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto atto personalissimo idoneo ad incidere sul profilo sanzionatorio, può essere validamente proposta solo dall'imputato e non anche dal suo difensore privo di specifica procura speciale, né può ritenersi implicita nella richiesta di sostituzione della pena detentiva in pecuniaria, effettuata dal difensore, considerando una supposta situazione di favor verso il condannato, cui il beneficio potrebbe essere applicato in futuro.

Il caso

L'imputato era stato condannato dalla Corte d'Appello alla pena, condizionalmente sospesa, di giorni 20 di reclusione e 100 euro di multa, per avere omesso di versare nell'anno 2010 le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2, comma1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella l. 11 novembre 1983, n. 638, recante Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini).

Nel ricorso per Cassazione, a parte una questione processuale che qui non rileva (e comunque puntualmente respinta, ex art. 568 c.p.p., per mancanza di interesse concreto), egli lamentava che il giudice di secondo grado aveva respinto la sua richiesta di sostituire la pena detentiva in pena pecuniaria ai sensi dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (recante Modifiche al sistema penale), motivando tale rifiuto con l'affermazione che il richiedente non aveva previsto alcun impegno concreto di adempiere alla corrispondente pena pecuniaria.

Non solo: l'imputato sosteneva nel ricorso che, una volta ammessa tale sostituzione, avrebbe dovuto riconoscersi la rinuncia alla sospensione condizionale già disposta dal giudice di primo grado, in quanto tale rinuncia doveva ritenersi implicita nella richiesta stessa della sostituzione, anche se non formulata personalmente ovvero dal difensore munito di procura speciale, non costituendo tale statuizione una reformatio in peius, ma, anzi, un vantaggio che gli avrebbe concesso la possibilità di pagare la multa così come sostituita, senza pregiudicare eventuali e future applicazioni del beneficio.

La questione

La prima questione giuridica. Per quanto correlate, due sono le questioni giuridiche sottese a tale gravame e sottoposte al vaglio della Suprema Corte.

La prima, deducibile almeno nei termini in cui letteralmente è stata formulata, rasenta l'assurdo. Posto che, ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981, il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, se ritiene di dover determinare la pena detentiva entro il limite di sei mesi, può sostituirla con la pena pecuniaria della specie corrispondente (oltre che con la semidetenzione o la libertà controllata, scegliendo quella più idonea al reinserimento sociale del condannato ex art. 58, comma 1) e che la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostituiva della pena detentiva (art. 57, comma 2), di fronte alla richiesta dell'imputato di sostituire la pena detentiva (si tratta dei giorni 20 di reclusione) con quella pecuniaria, la Corte d'Appello aveva risposto negativamente motivando nel senso che il richiedente “non aveva previsto alcun impegno concreto di adempiere alla corrispondente pena pecuniaria”.

Ci si chiede cosa abbia voluto intendere il giudice di secondo grado con tale “impegno concreto”, tenendo ben presente che a tale proposito la legge nulla dispone. Di certo sarebbe giuridicamente paradossale e fuorviante prevedere una sorta di promessa solenne ad adempiere. Si potrebbe solamente intendere che il giudice, ritenute le condizioni economiche del reo - e non si comprende se allo stato degli eventuali atti ovvero su quali altre basi formali, ovvero ictu oculi – insufficienti a far fronte alla pena pecuniaria, attendesse dall'imputato una serie di informazioni o dati sulle sue effettive condizioni economiche capaci ad adempiere alla pena pecuniaria sostitutiva.

Così intendendo, peraltro, la questione giuridica consisterebbe nell'interrogarsi se nel momento della richiesta della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, incomba o meno sull'imputato l'allegato onere di dimostrare la sua solvenza economica relativa all'eventuale ammontare.

La seconda questione giuridica. La seconda questione giuridica, diversa ma connessa con la prima, si pone nei seguenti termini. Posto che il giudice di primo grado aveva disposto la condanna alla reclusione con il beneficio della sospensione condizionale, e che l'imputato nel gravame aveva richiesto la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, ci si chiede se il giudice di secondo grado, accogliendo la richiesta dell'imputato, possa anche disporre la revoca della sospensione condizionale, pur in assenza di una specifica richiesta formulata personalmente ovvero dal difensore munito di procura speciale, ritenendola implicita nella richiesta di sostituzione, in quanto tale decisione si porrebbe come un favor verso l'imputato, non aggravandone la posizione giuridica, ma aprendo la possibilità di poter usufruire nel futuro di tale beneficio, magari in relazione ad una condanna a pena detentiva più sostanziosa.

Le soluzioni giuridiche

a) Sulla prima questione. Per quanto concerne la prima questione, la Suprema Corte ritiene il gravame fondato, ma con una lettura della motivazione della Corte d'Appello non proprio letterale (e negli ambigui termini appena evidenziati), ma più aderente alla sostanza del problema.

Anche se non evidenziata, la premessa sembrerebbe che, quand'anche si volesse valutare e, magari, condividere la particolare motivazione del giudice di seconde cure, il nocciolo del problema si presenterebbe nel rapporto fra pena pecuniaria sostituita e le condizioni economiche del reo, ossia, in altri termini, se questa possa essere negata prevedendone l'inadempimento per l'insolvibilità del condannato.

Su tale questione, la dottrina (per la negazione del provvedimento, cfr. VINCIGUERRA, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981 n. 689, Cedam, Padova, 1983, p. 280 s.; contra, ritenendo nessun rapporto fra le due situazioni, per tutti, GIUNTA, voce Sanzioni sostitutive, in VASSALLI (a cura di), Dizionario di diritto e procedura penale, Giuffrè, Milano, 1986, p. 832) e le sezioni della Cassazione seguivano soluzioni contrastanti (nel primo senso cfr., Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2008, Diop, C.E.D. n. 241323; nel secondo senso v. Cass. pen., Sez. III, 12 febbraio 2008, n. 1345).

Sul punto sono, pertanto intervenute le Sezioni Unite ed è a questa decisione che la sentenza de qua fa preciso riferimento: Cass. pen., Sez. Un., 22 aprile 2010, n. 24476, in Cass. pen., 2011, p. 72, con nota di BALDI, Per le Sezioni Unite la pena detentiva breve è sostituibile con la pena pecuniaria anche quando il condannato è indigente.

In tale pronuncia la Corte ha stabilito che la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell'art. 58, comma 2, della l. 24 novembre 1981, n. 689, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna prescrizione.

Nella sentenza in oggetto, peraltro, la Cassazione evidenzia come le Sezioni Unite hanno anche affermato che, nell'esercitare il potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, il giudice deve tenere conto dei criteri indicati dall'art. 133 c.p., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato, ma non quello delle sue condizioni economiche.

Inoltre la Corte fa riferimento alla sua giurisprudenza, ove ha ritenuta illegittima la decisione con cui il giudice d'appello rigetti l'istanza di sostituzione della pena detentiva solo perché condizionalmente sospesa, essendo la sospensione condizionale compatibile con la pena sostitutiva che integra, a tutti gli effetti, una sanzione penale (Cass. pen., Sez, II, 10 luglio 2012, n. 40221). Infatti, i due istituti (sostituzione della pena in pecuniaria e sospensione della stessa) possono concorrere, ove ne ricorrano le condizioni, essendo il primo finalizzato alla eliminazione del rischio della compressione della libertà personale (qualora siano rispettate le condizioni poste dalla legge n. 689 del 1981) ed il secondo alla sospensione della esecuzione della sanzione, di qualunque specie essa sia (Cass. pen., Sez. II, 3 maggio 2016, n. 23346, in Dir. & Giust., 7 giugno 2016; Cass . pen. Sez. II, 26 settembre 2018, n. 46757 e Cass. pen., Sez. II, 10 luglio 2012, n. 40221, cit., ove la Cassazione stessa ha direttamente proceduto, ex art. 620, lett. l, c.p.p. alla sostituzione richiesta sulla base delle valutazioni già espresse dai giudici di merito).

Legittima, dunque, la richiesta dell'imputato di sostituzione della pena detentiva in pecuniaria, anche se alla prima era stata concessa dal giudice di prime cure la sospensione condizionale

Tuttavia, secondo la Suprema Corte, nel caso in esame la Corte territoriale non si è attenuta ai princìpi ora evocati, avendo rigettato la richiesta facendo leva sulla mancanza di un “concreto impegno dell'imputato di adempiere alla corrispondente pena pecuniaria”: una circostanza estranea al novero dei criteri indicati nell'art. 133, integrando così la denunciata violazione di legge.

Donde, su questo punto, l'annullo della sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la sostituzione della pena detentiva con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Appello, dichiarando peraltro, ai sensi dell'art. 624 c.p.p. l'irrevocabilità della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato.

b) Sulla seconda questione. Per quanto concerne la seconda questione la richiesta di revoca della sospensione condizionale della pena viene ritenuta infondata dalla Suprema Corte.

Gli ermellini respingono decisamente l'arzigogolo prospettato dalla difesa dell'imputato secondo il quale nella richiesta di sostituzione della pena detentiva in pecuniaria doveva ritenersi contenuta, implicitamente, anche la richiesta di revoca della sospensione condizionale concessa dal giudice di prime cure, creando così una situazione non di reformatio in pejus, bensì di favor verso l'imputato, mettendolo nelle condizioni, dopo aver pagato la pena pecuniaria, di poter usufruire del beneficio in altra occasione, specie se giuridicamente giù gravosa rispetto alla presente.

L'asserto della Corte è nitido: la rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto atto personalissimo idoneo ad incidere sul profilo sanzionatorio, può essere validamente proposta solo dall'imputato e non anche dal difensore privo di specifica procura speciale. In tal senso anche il preciso richiamo alla precedente giurisprudenza su tal punto: Cass. pen., Sez. III, 30 gennaio 2014, n. 11104, la quale, affermando proprio tale principio, aveva escluso, nella fattispecie sottopostole, la validità della rinuncia al beneficio proveniente dal difensore munito del solo potere di chiedere la sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria.

Peraltro, potremmo aggiungere che la Suprema Corte ha sempre sostenuto che gli atti c.d. personalissimi possono essere compiuti personalmente dall'imputato (art. 99 c.p.p.) ovvero dal difensore munito di procura speciale: si pensi, solo a titolo di esempio, alla rinuncia alla prescrizione ex art. 157, comma 7, c.p. (Cass. pen., Sez. I, 14 dicembre 2012, n. 21666; Cass. pen., Sez, I, 13 marzo 2007, in Cass. pen., 2008, p. 1887, con nota di FERRARI, La richiesta di patteggiamento non vale come rinuncia alla prescrizione; Cass. pen., Sez. I, 13 marzo 2007, n. 18391; Cass. pen., Sez. II, 9 giugno 2005, n. 23412; Cass. pen., Sez. VI, 21 settembre 2004, n. 1230), ovvero la richiesta di ammissione al lavoro di pubblica utilità nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace ex art. 33, comma 2, del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Cass. pen., Sez. IV, 29 novembre 2014, n. 1293).

Osservazioni

A nostro sommesso avviso, la seconda questione è stata impostata e risolta dalla Suprema Corte in modo impeccabile, superando la complessa (e fantasiosa) richiesta della difesa, nel pieno rispetto del principio di legalità.

La soluzione della prima questione è certamente condivisibile nel decisum, anche se non del tutto corretti ci sembrano alcuni passaggi nel ragionamento degli ermellini.

Il nucleo della vicenda è costituito, come peraltro affermato nella citata sentenza della Sezioni Unite n. 24476 del 2010, dal fatto che la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell'art. 58, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione ed alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna prescrizione.

E sarebbe bastata tale affermazione. Le pene sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata sono accompagnate da prescrizioni che il soggetto dovrà osservare e le istituzioni controllare (artt. da 62 a 66 della legge n. 689 del 1981), mentre la pena pecuniaria richiede (diremmo: quasi… ontologicamente) solo il suo adempimento.

La Corte ha voluto, invece, unire a tale rilievo (lo ripetiamo: decisivo) anche la considerazione che l'art. 133 c.p., tra i quali criteri è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato, ma non quello delle sue condizioni economiche.

Il richiamo è incompleto e non del tutto esatto, in quanto la Corte ha tralasciato di ricordare che proprio l'art. 53 della legge 689 del 1981 (norma base rubricata proprio come Sostituzione di pene detentive brevi), dispone nel secondo comma che, nel determinare l'ammontare della pena pecuniaria, “il giudice tiene conto della situazione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare”, disponendo altresì che “alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l'art. 133-ter del codice penale, ovverossia il potere di disporre, in relazione alla condizioni economiche del condannato, il pagamento rateale della multa e dell'ammenda.

Peraltro, l'art. 71 della legge 689 del 1981 dispone che alle pene pecuniarie sostitutive delle pene detentive si applicano le disposizioni dell'art. 660 del codice di procedura penale, in forza del quale, quando è accertata la impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione il quale provvede alla stessa previo accertamento della effettiva insolvibilità del condannato (anche se può disporre un differimento per un tempo non superiore ai sei mesi).

In definitiva, non solo nessun impegno ad adempiere è richiesto all'imputato, così come la stessa situazione di condizioni economiche disagiate non può evitare la conversione in pena pecuniaria, anche se il giudice può tenerne conto nel determinarne l'ammontare, nella sua (limitata ex art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981) discrezionalità, nonché disporne il pagamento rateale. Ma nulla evita che l'insolvibilità al pagamento (totale o parziale) possa successivamente portare alla riconversione della pena pecuniaria in detentiva (art. 660 c.p.p.).

Potremmo anche richiamare (senza esprimere, in questa sede, doverose perplessità di politica criminale) il principio della effettività della sanzione penale, anche pecuniaria, anche sostituita.