La modifica dei diritti di partecipazione o di voto e il diritto di recesso del socio

Mario Furno
20 Gennaio 2020

In tema di recesso da società di capitali, l'espressione "diritti di partecipazione" di cui all'art. 2437, comma 1, lett. g), c.c., per quanto nell'ambito di una interpretazione restrittiva della norma tesa a non incrementare a dismisura le cause legittimanti l'exit, comprende in ogni caso i diritti patrimoniali implicati dal diritto di partecipazione..
Massima

In tema di recesso da società di capitali, l'espressione "diritti di partecipazione" di cui all'art. 2437, comma 1, lett. g), c.c., per quanto nell'ambito di una interpretazione restrittiva della norma tesa a non incrementare a dismisura le cause legittimanti l'exit, comprende in ogni caso i diritti patrimoniali implicati dal diritto di partecipazione, e tra questi quello afferente la percentuale dell'utile distribuibile in base allo statuto; di conseguenza, la modifica di una clausola statutaria direttamente attinente alla distribuzione dell'utile, che influenzi in negativo i diritti patrimoniali dei soci prevedendo l'abbattimento della percentuale ammissibile di distribuzione dell'utile di esercizio in considerazione dell'aumento della percentuale da destinare a riserva, giustifica il diritto di recesso dei soci di minoranza.

Il caso

A seguito di fusione per incorporazione, aveva luogo una modificazione dello statuto della società per azioni, con significativa elevazione dei limiti di riserva legale del tetto di accantonamento e del limite di riserva statutaria straordinaria, la quale, quindi, incideva sulla possibilità per i soci di distribuire i dividendi.

L'accertamento della validità e dell'efficacia del conseguente recesso esercitato da alcuni soci veniva sottoposto dapprima all'esame del Tribunale di Lecce e, quindi, alla Corte di Appello di Lecce. Il Giudice di Appello, nel confermare la statuizione di primo grado, riconosceva la sussistenza del diritto di recesso dei soci, poiché la modifica statutaria aveva determinato una compressione dei loro diritti di partecipazione ai sensi dell'art. 2437, comma 1, lett.g), c.c.

Con la decisione in commento, la Corte di Cassazione, nel respingere l'impugnazione proposta dalla società incorporante, ha condiviso la prospettazione giuridica resa dai Giudici di merito.

La questione

La Corte di Cassazione affronta il tema del contenuto dei diritti di partecipazione, la cui modificazione legittima il socio ad esercitare il diritto di recesso per violazione dell'art. 2473, comma 1, lett.g), c.c..

Nel caso in esame, rilevato che la modifica della clausola statutaria prevedeva l'abbattimento della percentuale ammissibile di distribuzione dell'utile di esercizio, in considerazione dell'aumento della percentuale da destinare a riserva, la Corte ritiene che una simile modifica influenzi direttamente ed in negativo i diritti patrimoniali dei soci, finendo per limitare la libertà stessa per l'assemblea di deliberare sulla distribuzione dell'utile, con ciò alterando le correlate prerogative degli azionisti.

La Suprema Corte conclude quindi statuendo il principio secondo il quale, in tema di recesso della società di capitali, l'espressione “diritti di partecipazione di cui all'art. 2437, lett.g), c.c. comprende in ogni caso i diritti patrimoniali implicati dal diritto di partecipazione e tra questi quello afferente la percentuale di utile distribuibile in base allo statuto.”

Le soluzioni giuridiche

Il percorso giuridico seguito dai giudici di legittimità muove dalla identificazione della ratio della previsione dell'art. 2473, cit., e, sviluppandosi all'interno del solco delineato da una interpretazione restrittiva, delimita anzitutto la prescrizione normativa alle sole modifiche che incidono direttamente sui diritti di voto e di partecipazione. Di conseguenza, riferendosi ai soli diritti di partecipazione, ricomprende, nel novero delle modifiche inerenti tale diritto, le modifiche che incidono sui diritti di natura patrimoniale implicati dal diritto di partecipazione in modo diretto.

Secondo la Corte di Cassazione, la ratio del diritto di recesso consiste nella tutela dei soci di minoranza. Alla luce della riforma del 2003, il diritto di recesso del socio di minoranza dissenziente va considerato non più come un rimedio di ultima istanza a tutela della posizione del socio di minoranza, ma un'ipotesi di disinvestimento della partecipazione (nello stesso senso Tribunale di Milano, 31 Luglio 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it; G. M. Zamperetti, Modificazione dei quorum e diritto di recesso, in Le Società, 1/2018, 16-20). Tale facoltà di disinvestire la partecipazione riconosciuta al socio dissenziente costituisce, quindi, naturale contrappeso al rafforzamento del potere della maggioranza e della conseguente compressione del diritto di veto della minoranza.

La mutata concezione del diritto di recesso introdotta dal legislatore con la novella del 2003 ha determinato l'incremento delle cause per le quali il socio può recedere rispetto alla anteriore formulazione dell'art. 2473 c.c. con introduzione di una tripartizione di cause, distinte, per comune opinione, in: inderogabili, legali derogabili e statutarie

Nel contempo, la disciplina della liquidazione successiva al recesso ha relegato il depauperamento della società scaturente dal disinvestimento della partecipazione a mera eventualità conseguente al recesso. La disciplina prevede, infatti, un procedimento di liquidazione nel quale la riduzione del capitale sociale è solo una possibile conseguenza del recesso, dovendo gli amministratori liquidare il socio recedente mediante l'offerta delle azioni in opzione agli altri soci o a terzi, oppure mediante l'acquisto come azioni proprie (art. 2437-quater c.c.), con l'ulteriore prescrizione secondo cui solo in assenza di utili e riserve disponibili per l'acquisto delle azioni può procedersi alla riduzione del capitale o allo scioglimento della società (Cass., Sez. I, n.13875/2017 in questo portale, con nota di Piacquaddio, La modifica statutaria dei quorum deliberativi e il diritto di recesso, e in Not., 4/2017). Come osservato dalla Cassazione, la tutela degli interessi dei creditori è, dunque, affidata al procedimento di liquidazione successivo all'esercizio del recesso (Cass., Sez. I, n. 13875/2017, cit).

L'attribuzione del diritto di recesso realizza un difficile equilibrio tra le esigenze del socio di minoranza a non vedere completamente stravolte le condizioni di rischio assunte con la propria partecipazione nella società, le esigenze della società e della maggioranza e le esigenze esterne dei creditori e del sistema in generale, che fanno affidamento sulla stabilità di un determinato capitate sociale (Tribunale di Roma, 08 Luglio 2016, in ilcaso.it). Il diritto al recesso andrà quindi riconosciuto, se la delibera modificativa abbia determinato la sostanziale variazione delle condizioni di rischio dell'investimento (Tribunale di Torino – Sez. Imprese 03.07.2017, in ilcaso.it).

Si pone, quindi, la necessità di individuare il punto di equilibrio tra l'interesse della maggioranza e quello del singolo socio.

A tal fine, nella sentenza in esame la Corte precisa che l'indagine da compiersi in relazione alle “modificazioni dello statuto concernenti il diritto di voto o di partecipazione” deve svilupparsi secondo una interpretazione di tipo restrittivo. Dato che ogni modifica statutaria può ricadere potenzialmente sul diritto partecipativo del socio, una diversa interpretazione, di tipo ampio, finirebbe per attribuire il diritto al socio a recedere ad ogni modifica statutaria: ogni modifica statutaria, infatti, che potrebbe impattare sul diritto partecipativo verrebbe ad essere ricondotta alla fattispecie di recesso di tipo inderogabile previsto dall'art.2473, lett. g), c.c., con ogni negativa conseguenza sulle esigenze di stabilità della società.

Tale impostazione è congrua con l'orientamento già espresso in precedenza dalla S.C. Muovendo dalla evidenziata ambiguità della formulazione utilizzata dal legislatore all'art. 2473, lett. g), c.c., la Corte ha rilevato come solo per grandissime linee si possono ricondurre le posizioni della dottrina a due poli, l'uno orientato ad una interpretazione restrittiva, l'altro estensiva. In realtà le opinioni sono assai più diversificate, sia per quanto riguarda la nozione di “diritti di voto”, sia per il rapporto tra essi e i diritti “di partecipazione”, sia per l'estensione di questi ultimi – a volte identificati con i soli diritti economici, a volte con i diritti amministrativi, a volte con entrambi –, sia per quanto riguarda il rilievo delle modificazioni che incidono in via “indiretta” sui diritti di voto e di partecipazione, sia infine per quanto riguarda il rilievo delle modificazioni (Cass., Sez. I, n.13875/2017, cit).

Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione afferma che una simile contrapposizione di orientamenti non ha, tuttavia, ragion d'essere, nell'ottica dei diritti patrimoniali.

La Corte evidenzia e valorizza che il fine della partecipazione è indentificato nella soddisfazione di un interesse patrimoniale, da realizzarsi attraverso la distribuzione dell'utile.

Una qualsiasi modifica statutaria che impatti direttamente sul diritto patrimoniale del socio, implicato dal diritto partecipativo, non può quindi che concretizzare quella modifica statutaria del diritto partecipativo stesso, venendo così ricompresa nel novero delle cause di recesso di tipo inderogabili: una simile modifica infatti altera in modo chiaro e palese l'iniziale rischio di investimento del socio, legittimandolo con ciò al disinvestimento della partecipazione tramite lo strumento del recesso.

Nel caso in esame è palese che l'aumento della percentuale da destinarsi a riserva finisce per diminuire quanto può esser distribuito tra i soci.

Rimane pertanto priva di influenza alcuna la circostanza che si riconosca ai soci una sola aspettativa al dividendo: è infatti palese che la modifica statutaria de qua limita ed altera direttamente la libertà dell'assemblea ordinaria di deliberare, incidendo così direttamente sulle correlate prerogative dei soci.

Osservazioni

La sentenza in commento, alla luce anche della precedente sentenza Cass. civ., n. 13875/2017 e di alcune sentenze di merito, consente di poter enucleare alcuni principi relativi alla locuzione “modificazioni statutarie relative ai diritti di voto o di partecipazione” di cui all'art.2473, lett.g), c.c., elaborati dalla Corte di Cassazione.

Risulta anzitutto palese che la Suprema Corte conferma che diritto di voto e diritti partecipativi costituiscono diritti tra loro distinti.

In particolare, l'espressione ‘‘diritti di voto'' è da riferirsi al precetto di cui all'art. 2351 c.c., portante la regola secondo cui “ogni azione attribuisce un voto”, con tutte le possibili limitazioni – e dal 2014 anche potenziamenti – del voto stesso (M.C. Rosso, “Variazione dei quorum e diritto di recesso: le prime ‘‘linee guida'' della Suprema Corte”, in Giur. it, 2019, 655-664) Per modifica diretta dei diritti di voto va quindi intesa la modifica che incide immediatamente sul fascio dei diritti incorporati nelle azioni così come individuati dall'art. 2351 c.c. (G. Terranova, “Modifica del quorum e diritto di recesso”, in Notariato 4/2017, 449-454)

Nel contempo, il “diritto partecipativo” rilevante ai fini dell'art. 2473, lett.g., c.c. è identificato dalla Cassazione certamente nel diritto patrimoniale implicato nel diritto di partecipazione.

Nulla tuttavia i giudici di Legittimità affermano circa la possibilità di ricomprendere i diritti amministrativi nel novero dei diritti di partecipazione.

Sul punto, il Tribunale di Milano (31 Luglio 2015, Pres., est. Elena Riva Crugnola) ha affermato che le modificazioni statutarie concernenti i diritti di partecipazione dei soci vanno individuate, non solo nelle modificazioni statutarie incidenti sui diritti di partecipazione patrimoniale, ma anche in quelle incidenti sui diritti di partecipazione amministrativa. Ritiene infatti il Tribunale di Milano che l'art. 2437 c.c., nel riferirsi ai "diritti di partecipazione" in endiadi con i "diritti di voto", non esclude dal novero dei diritti di partecipazione i diritti di partecipazione "amministrativi" per includervi solo quelli "patrimoniali", ma utilizza un ampio nomen juris, che non trova riscontro in altre sedi del codice, così legittimando l'inclusione nella formula normativa di entrambe le categorie – sia dei "diritti patrimoniali" sia dei "diritti amministrativi" –, le quali, in altri articoli dello stesso capo del codice, sono individuate congiuntamente (art. 2346, comma 6; art. 2349, comma 2) ovvero separatamente (art. 2350, comma 2). Così opinando, il Collegio milanese ha ritenuto sussistenti le modificazioni statutarie concernenti i diritti di partecipazione dei soci incidenti sui diritti di partecipazione amministrativa, come ad esempio il diritto del socio di presentazione di lista per la nomina dell'organo amministrativo. Tale presentazione non si risolve in una mera modalità di regolamentazione della procedura di voto rilevante solo sul piano organizzativo, ma nella facoltà, riconosciuta statutariamente ad ogni socio, di concorrere alla nomina dell'organo gestorio secondo uno schema estraneo alla regola di maggioranza e, dunque, di "partecipare" più incisivamente rispetto alla regola di base ad una delle scelte organizzative vitali per l'ente.

Rimane al di fuori della previsione della lettera g) dell'art. 2473 c.c. la considerazione delle semplici ricadute sfavorevoli sulla posizione del socio, cioè il mero pregiudizio del socio: la generica idoneità della delibera a ledere gli interessi dell'azionista non implica modifica del diritto di voto o di partecipazione. Come osservato, “solo le modificazioni dei diritti incorporati nelle azioni - aventi i “diritti di voto o di partecipazione” come loro formale oggetto - consentono al socio dissenziente di recedere dalla società; tale diritto dovrà riconoscersi al socio a prescindere dall'intensità della modifica e negando che la stessa debba essere significativa o pregiudizievole: ciò che oggi è pregiudizievole per un socio può non esserlo per un altro e diventarlo successivamente“ (F. Venegoni, Le modifiche statutarie meritevoli del diritto di recesso ai sensi della “Lettera G” dell'art. 2437, comma 1, c.c., in Le Società, 2019, 1, 9-12).

Ai fini dell'insorgenza del diritto al recesso è dunque essenziale che la modifica statutaria tocchi il diritto di voto o il diritto di partecipazione: ciò significa che la delibera deve comportare una oggettiva modificazione del diritto del socio di partecipazione o di voto.

La Corte di Cassazione ritiene che il rapporto tra modifica statutaria e compressione del diritto partecipativo o del diritto di voto debba sussistere in modo diretto.

Tale rapporto di consequenzialità diretta è palesato nell'orientamento dei giudici di legittimità quale elemento dotato di intrinseca certezza.

Diversamente, la modifica “indiretta” non è ugualmente apprezzata dalla Corte di Cassazione, quantunque non esclusa nella precedente sentenza n. 13875/17 ai fini dell'insorgenza del diritto al recesso ai sensi dell'art. 2473, lett.g), c.c.

La tipologia delle “modifiche indirette” ricorre, da quanto emerge dalla sentenza, allorquando le modifiche dei diritti di voto e partecipazione di alcune categorie incidono sulla posizione dei titolari di azioni di altra categoria. Esse sono quindi indirette rispetto agli “azionisti titolari di categorie diverse da quella incisa dalla decisione” (M. C. Rosso, op. cit.).

Al contrario, sono certamente escluse da ogni riferimento all'art. 2473, lett. g), c.c. quelle delibere che modificano la posizione personale dell'azionista, senza tuttavia incidere sui diritti incorporati nelle singole azioni di cui il medesimo è titolare. Trattasi di modifiche di fatto, le quali, per opinione costante dei giudici di legittimità, rimangono estranee all'insorgenza del diritto di recesso di cui alla norma citata, in quanto l'interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull'eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio.

La sentenza in commento, infine, rileva che la modifica statutaria debba incidere sul diritto partecipativo o di voto influenzando il diritto in modo negativo.

Tale elemento è di immediato intuito nell'ottica dei diritti patrimoniali toccati dal diritto di partecipazione.

Certamente più complessa e problematica appare l'applicazione di tale elemento di pregiudizio negativo, laddove lo si riferisca ai diritti partecipativi di natura amministrativa. E' infatti palese la possibilità di confondere tale elemento negativo con il pregiudizio che il socio può subire ad esempio a titolo di “peso” della partecipazione, che, come sopra detto, rimane estranea alla ratio dell'art. 2473, lett.g), c.c.

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