La mancata astensione del giudice nelle ipotesi di cui all'art. 51 c.p.c.
23 Gennaio 2020
Qualora il giudice versi in una delle ipotesi di astensione prevista dall'art. 51 c.p.c. e, ciononostante, ometta di astenersi, tale omissione può comportare un motivo di gravame?
Prima di tutto è bene spendere qualche parola sulla natura dell'istituto dell'astensione. Anche se l'art. 51 c.p.c. parla di obbligo si ritiene che si tratti, piuttosto, di un onere; infatti, in caso di mancata astensione, obbligatoria o riconosciuta, sorge il potere delle parti di provocare la ricusazione ai sensi dell'art. 52 c.p.c. Già da questa prima riflessione si evince che la mancata astensione, come la mancata ricusazione, non producano effetti diretti per il processo in corso. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di pronunciarsi; in motivazione così argomenta: «con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 51 c.p.c., per avere la corte territoriale omesso di rilevare l'illegittimità della mancata astensione del giudice di primo grado dalla trattazione della controversia, nonostante i rapporti di immediata prossimità professionale con il M., peraltro comuni agli stessi giudici d'appello; che la censura è manifestamente infondata; che, infatti, la doglianza avanzata dalla ricorrente si pone in diretto contrasto con il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa corte, ai sensi del quale, anche a seguito della modifica dell'art. 111 Cost., introdotta dalla legge costituzionale n. 2/1999, in difetto di ricusazione la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l'imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire l'imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell'astensione e della ricusazione» (Cass. civ., sez. VI, 11 settembre 2017, n. 21094). Sul punto anche la giurisprudenza anteriore si esprime in tal senso: «In difetto di ricusazione, la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza» (Cass. civ. sez. III, 7 luglio 2016, n. 13935); «Il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non lo esercita entro il termine all'uopo fissato dall'art. 52 c.p.c., non ha mezzi processuali per far valere il difetto di capacità del giudice; consegue che, in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza» (Cass. civ., sez. I, 12 dicembre 2014, n. 26223). Importante è, comunque, una puntualizzazione che la giurisprudenza più recente ha ribadito. Infatti viene fatto salvo il caso in cui il giudicante abbia un interesse proprio e diretto nella causa che lo ponga nella qualità di parte del procedimento stesso; solo in questo caso il provvedimento emesso dal giudice sarà affetto da nullità e quindi deducibile in sede di gravame: «L'inosservanza dell'obbligo di astensione di cui all'art. 51, n. 1, c.p.c. determina la nullità del provvedimento emesso solo ove il componente dell'organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa che lo ponga nella qualità di parte del procedimento; in ogni altra ipotesi, invece, la violazione di tale obbligo assume rilievo come mero motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell'organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di fare valere il vizio in sede di impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento» (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2019, n. 2270). Nello stesso senso Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2019, n. 10492, secondo la quale: «L'incompatibilità del giudice delegato, che ha pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo, a far parte del collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione, non determina una nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto tale incompatibilità, salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, può dar luogo soltanto all'esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l'onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all'art. 52 c.p.c., ponendosi tale interpretazione in coerenza con il principio del "giusto processo" espresso dall'art. 111, comma 2, della Costituzione che trova nell' art. 6, par. 1, della Convenzione Edu il suo fondamento». In conclusione si può affermare che, salvo il caso di interesse proprio e diretto nella causa, la mancata astensione del giudice non può essere dedotta come motivo di gravame.
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