Interessi moratori per ritardato pagamento e procedure concorsuali in italia: la saga continua (senza rinvii…)

24 Gennaio 2020

Il tema dell'applicabilità della disciplina degli interessi per ritardato pagamento in ambito concorsuale riveste una notevole importanza sia per l'elevato numero di casi in cui tale disciplina trova (o non trova) applicazione, sia per la delicatezza delle questioni interpretative prospettate dalla giurisprudenza di merito e da quella di legittimità. Il possibile contrasto (di una certa interpretazione) della normativa interna con il diritto dell'Unione europea e con la Carta costituzionale italiana amplifica l'interesse per l'interprete, mentre il recente intervento del Tribunale di Vicenza conferma la perdurante attualità del tema in esame.
Premessa

Chi credeva che dopo tre interventi della corte di Cassazione la questione dell'opponibilità alle procedure concorsuali degli interessi per ritardato pagamento maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale fosse ormai archiviata deve ora ricredersi. Il decreto del Tribunale di Vicenza del 10 settembre 2019, in aperto ed esplicito dissenso dalla Corte di Cassazione e della pressoché totale giurisprudenza di merito che, dopo anni di smarrimento, si è mostrata compatta nel recepire i principi di diritto enunciati dal giudice della legittimità, ripropone gli stessi argomenti già sconfessati dalla Corte di Cassazione senza, peraltro, considerare due aspetti fondamentali: in primo luogo, che, in virtù del principio della c.d. interpretazione conforme, ogni interpretazione dell'art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 231/2002 non può che passare attraverso un'attenta lettura della corrispondente norma di derivazione europea (nella specie, l'art. 6, comma 3, lett. a) della Direttiva 2000/35/CE); in secondo luogo, che l'interpretazione proposta, anche al netto di ogni considerazione sulla sua compatibilità con il diritto europeo, solleva un delicato problema di legittimità costituzionale della normativa interna.

La disciplina degli interessi per ritardato pagamento in ambito concorsuale. La lettera della legge

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.Lgs. n. 231/2002, in caso di ritardato pagamento del prezzo relativo ad una transazione commerciale, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori calcolati al saggio di cui all'art. 5 dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora, salvo che il ritardo non sia imputabile al debitore.

L'art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 231/2002 stabilisce che tale disciplina non si applica ai «debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore».

Infine, l'art. 11, comma 1 del D.Lgs. n. 231/2002 stabilisce che «le disposizioni del presente decreto non si applicano ai contratti conclusi prima dell'8 agosto 2002».

Rispetto al quadro legislativo appena delineato, il D.Lgs. n. 192/2012 ha apportato solo marginali modifiche. Il principio generale che si ricava dal combinato disposto degli artt. 2, 3, 4 e 5 del (modificato) D.Lgs. n. 231/2002, infatti, è sempre quello per cui in caso di ritardato pagamento del prezzo relativo ad una transazione commerciale, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori calcolati al saggio di cui all'art. 5 dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora, salvo che il ritardo non si imputabile al debitore.

Il nuovo art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 231/2002 ribadisce, inoltre, che tale disciplina non si applica ai «debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione dei debiti». Infine, l'art. 3 del D.Lgs. n. 192/2012 stabilisce che la nuova disciplina si applica alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Gli interessi per ritardato pagamento in ambito concorsuale nel diritto vivente. Gli approcci della giurisprudenza di merito nazionale

Seppur apparentemente chiaro da un punto di vista letterale, il vero significato della disposizione di cui all'art. art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 231/2002 si è presentato, in realtà, ben più oscuro. In altre parole, il problema che si è posto all'interprete è stato quello di stabilire se, in sede di ammissione al passivo, il creditore ha diritto di insinuarsi per il proprio credito in linea capitale maggiorato degli interessi moratori per ritardato pagamento maturati sino all'apertura della procedura concorsuale; oppure se, la disposizione in esame, sta a significare che, una volta apertasi una procedura concorsuale, il creditore non ha più diritto di pretendere gli interessi moratori maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale.

Per diversi anni il panorama giurisprudenziale italiano sul punto è apparso variegato e di difficile ricostruzione sistematica, attesa la laconicità dei vari provvedimenti con i quali i giudici delegati, di regola, ammettono o respingono le insinuazioni al passivo e il ridottissimo numero di casi nei quali l'esclusione degli interessi moratori maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale ha formato oggetto di opposizione allo stato passivo, imponendo al Tribunale di fornire una motivazione ben più articolata sul punto. La prassi, infatti, ci restituisce una situazione nella quale nei casi in cui gli interessi moratori maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale vengono riconosciuti, il provvedimento del giudice delegato non contiene mai alcuna esplicita motivazione, limitandosi a precisare che il credito viene ammesso “come da domanda” sulla scorta della documentazione allegata dal creditore. Analogamente, nei casi in cui gli interessi moratori maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale vengono esclusi, il provvedimento del giudice delegato è (succintamente) motivato con locuzioni del seguente tenore: “esclusi gli interessi moratori in quanto non dovuti ai sensi dell'art. 1 D.Lgs. n. 231/2002”; oppure: “esclusi gli interessi moratori in quanto la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2002 non si applica alle procedure concorsuali”; oppure ancora: “esclusi gli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231/2002 in quanto non opponibili al fallimento” o altre analoghe.

Il periodo della confusione

In tale contesto, e prima degli interventi nomofilattici della Corte di Cassazione, i Tribunali italiani hanno seguito autonome e contrastanti traiettorie interpretative che è stato possibile ricostruire sulla base di alcuni casi nei quali il tema in questione ha formato oggetto di provvedimenti più articolati e motivati.

Secondo una prima teoria, la norma in esame si riferisce unicamente agli interessi per ritardato pagamento che maturano successivamente all'apertura della procedura concorsuale (c.d. teoria restrittiva). In base a tale teoria, pertanto, il creditore ha diritto di insinuarsi al passivo per il proprio credito in linea capitale oltre che per gli interessi per ritardato pagamento maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale. A tale approccio si è ispirato, apertamente e da sempre, il Tribunale di Milano che, a partire dal Decreto 21 gennaio 2008, n. 833, aveva stabilito che «appare indubbio che gli interessi non siano dovuti per il periodo successivo alla apertura della procedura concorsuale (…). Viceversa, prima della dichiarazione di fallimento le obbligazioni contratte dal debitore producono, ai sensi dell'art. 4 del citato decreto, interessi moratori automaticamente, senza necessità di formale messa in mora, dal primo giorno successivo al mancato pagamento. Proprio la ratio della normativa esaminata è stata quella di approntare una più efficace tutela a fronte dei ritardi nell'adempimento delle transazioni commerciali sicché alla produzione degli interessi dipendenti dal ritardo corrisponde il perfezionarsi del diritto alla obbligazione accessoria. La natura sostanziale della norma esaminata e il suo tenore letterale non consentono una interpretazione tale da condurre alla affermazione di una inopponibilità alla massa dei crediti da interessi moratori da obbligazione pecuniaria già maturati».

Si tratta di una giurisprudenza costante e consolidata, confermata sia da una serie di provvedimenti nei quali, seppur senza affrontare espressamente la questione, numerosi giudici delegati hanno disposto l'ammissione al passivo anche degli interessi moratori maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale, sia dalla più recente sentenza n. 10419 del 26 agosto 2014 nella quale la IIa Sezione del Tribunale milanese ha precisato che gli interessi per ritardato pagamento di cui al D.Lgs. 231/2002 «decorrono, per i debiti contratti nell'ambito delle transazioni commerciali individuate dall'art. 2 della legge citata, in modo automatico dalla data della scadenza dell'obbligazione, senza necessità di previa costituzione in mora, avendo il legislatore inteso rafforzare la tutela del creditore e gli strumenti di lotta contri i ritardi nei pagamenti anche con la previsione dell'automaticità della decorrenza degli interessi ad un saggio più elevato di quello legale. Ed è proprio l'automatismo previsto dalla norma insieme alla regola generale posta dall'art. 820 c.c., secondo cui gli interessi maturano giorno per giorno, a far ritenere che, ove il rapporto negoziale sottostante consenta l'applicazione del D.Lgs. [231/02], la sopravvenuta dichiarazione di fallimento non possa incidere si un diritto ormai acquisito quale è quello volto ad ottenere, oltre che il pagamento del capitale, anche degli accessori maturati tra il momento della scadenza dell'obbligazione ed il fallimento. Si ammetterebbe, altrimenti, un'efficacia retroattiva della sentenza dichiarativa di fallimento che può invece esistere solo ove espressamente prevista dalla legge».

A tale impostazione si è sempre contrapposta una diversa teoria secondo cui l'apertura di una procedura concorsuale renderebbe automaticamente, e con effetto retroattivo, inapplicabile la disciplina relativa alla lotta ai ritardi nei pagamenti, con la conseguenza per cui il creditore sarebbe privato del diritto di insinuarsi al passivo per gli interessi conteggiati al tasso previsto dal D.Lgs. n. 231/2002 ancorché relativi al periodo antecedente l'apertura della procedura concorsuale (c.d. teoria estensiva). A sostegno di tale interpretazione sono state addotte le seguenti argomentazioni:

i) in ambito concorsuale assume carattere prevalente la tutela dei rapporti fra i creditori (ai quali deve essere assicurata la par condicio) rispetto a quella dei rapporti tra i creditori e il debitore;

ii) l'interpretazione restrittiva di cui alla giurisprudenza (soprattutto) milanese renderebbe la disposizione in esame superflua, posto che l'art. 55 L.F. già stabilisce la sospensione degli interessi sui crediti chirografari a partire dall'apertura della procedura concorsuale.

La sola eccezione ammessa riguarda il caso in cui il credito (comprensivo degli interessi per ritardato pagamento) sia portato da un titolo giudiziale passato in giudicato e, come tale, opponibile al curatore. Secondo il Tribunale di Mantova (13 maggio 2014), infatti, occorre «prestare adesione al primo orientamento [teoria estensiva, n.d.a.], considerate da un lato la necessità di non porre differenze tra creditori che concorrono al passivo fallimentare e dall'altro la circostanza che il secondo orientamento [la teoria restrittiva, n.d.a.] comporta in realtà che la disposizione di esclusione non avrebbe alcun ambito di applicazione (non potendo mai applicarsi gli interessi al tasso legale), sulla base della esclusione del decorso di interessi ai sensi dell'art. 55 L.F. Pertanto, in assenza di un titolo giudiziario passato in giudicato che abbia condannato il debitore fallito al pagamento degli interessi nella misura prevista dal suddetto decreto, le relative disposizioni non si applicano ai creditori che si insinuano al passivo».

Nello stesso senso si esprime il Tribunale di Pescara (10 febbraio 2009) secondo cui la teoria restrittiva di cui alla giurisprudenza del Tribunale di Milano «rende sostanzialmente pleonastica ed inutile la disposizione di esclusione in esame, posto che dopo la dichiarazione di fallimento gli interessi sui crediti chirografari (categoria nella quale rientrano normalmente i crediti derivanti da transazioni commerciali, cioè da contratti che comportano, in via esclusiva o prevalente la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo, secondo la definizione datane dall'art 2 del D.Lgs. n. 231/2002) non decorrono, a norma dell'art. 55 L.F., e che anche sui crediti prelatizi il periodo post-fallimentare di decorrenza degli interessi a tasso superiore a quello legale ex art. 1884 c.c. è limitato dal combinato disposto degli artt. 54 L.F., 2749, 2788 e 2855 c.c. Ma, a parte la considerazione che precede, deve osservarsi che la formulazione letterale dell'art. 1, comma 1, lett. a), il quale fa riferimento ai debiti oggetto di procedure concorsuali e, quindi, anche ai debiti per interessi moratori maturati prima della dichiarazione di fallimento, induce a privilegiare la diversa interpretazione per prima sopra ricordata [la teoria estensiva, n.d.a.]. La quale trova ulteriore conforto, sul piano letterale, nell'art. 3 D.Lgs. n. 231/2002, che dà rilievo alla non imputabilità del ritardo al debitore per escludere in ogni caso l'applicabilità dei successivi artt. 4 e 5 (e che induce anche a far dubitare dell'assoluto automatismo della produzione degli interessi de quibus ritenuto dalla pronuncia [del Tribunale di Milano, n.d.a.], ma soprattutto, sul piano razionale e sistematico, nella considerazione che, una volta aperta una procedura concorsuale a carico del debitore, vengono in rilievo non soltanto i rapporti tra questi ed i singoli creditori, ma anche i rapporti reciproci tra i creditori, che determinano la misura della partecipazione di ciascuno di essi al concorso. Nell'ambito di tali ultimi rapporti il legislatore ha voluto rendere inoperante la deroga – riconducibile alla legge stessa e non all'autonomia privata – alla disciplina generale degli interessi moratori, parificando la posizione di tutti i creditori concorrenti. L'apertura della procedura concorsuale (e l'accertamento dello stato di insolvenza – per limitare il discorso al fallimento – che essa presuppone) produce, nei rapporti tra i creditori che partecipano al concorso, lo stesso effetto che, nel singolo rapporto tra creditore e debitore in bonis, deriva dalla dimostrazione da parte di quest'ultimo di una causa dell'inadempimento a sé non imputabile, facendo venire meno ab origine l'applicabilità della speciale disciplina dedicata alle transazioni commerciali, salvi soltanto gli effetti del giudicato già formatosi».

Anche il Tribunale di Roma, con decreto del 31 gennaio 2013, ha stabilito che «l'esclusione riguarda specificamente gli interessi maturati nel periodo anteriore ed impedisce così di riconoscerli al tasso determinato ex art. 5 del D. lgs. 231/2002 (salvo il caso di una già avvenuta liquidazione con titolo giudiziale definitivo). La diversa interpretazione (…) verrebbe in sostanza a neutralizzare la concreta rilevanza di quella clausola di esclusione: infatti, secondo la nota disciplina generale dell'art. 55 L.F., la decorrenza degli interessi sui crediti chirografari (tra i quali rientrano di norma quelli derivanti da “transazioni commerciali”) subisce comunque una sospensione a far data dalla dichiarazione di fallimento».

Secondo una terza teoria, invece, il creditore non ha mai il diritto di insinuarsi al passivo per gli interessi moratori maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale neppure nel caso in cui tali interessi risultino da un titolo giudiziale passato in giudicato (c.d. teoria estensiva estrema).

In tal senso già si esprimeva nel 2013 il Tribunale di Vicenza (3 dicembre 2013) secondo cui «la portata limitativa dell'ambito di operatività del D. lgs. 231/2002 posta dall'art. 1 non [viene] scalfita dal giudicato, ossia da un titolo giudiziale definitivo che il creditore [ha] conseguito ante-fallimento. Il giudicato, infatti, ai sensi dell'art. 2919 c.c. fa stato a tutti gli effetti tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Orbene, in sede di formazione dello stato passivo del fallimento si manifesta un conflitto tra i terzi creditori (che chiedono di insinuarsi al passivo) ed il curatore che, in sede di verifica dei crediti, agisce proprio a tutela dell'interesse terzo della massa dei creditori già ammessi che diventano concorsuali (cfr. Cass. S.U. n. 8879/1990). Pertanto, poiché il curatore in sede di accertamento del passivo non agisce utendo iuribus del fallito, ma a tutela dell'interesse terzo della massa dei creditori concorrenti ammessi, non gli può essere opposto il giudicato formatosi prima della dichiarazione di fallimento (tra il singolo creditore e il fallito) sulla misura degli interessi, fattispecie che è invece regolata dagli artt. 54 e 55 L.F.».

Analogamente, il Tribunale di Busto Arsizio, con la Direttiva n. 4 del 21 maggio 2012, aveva stabilito che «non potranno in nessun caso riconoscersi gli interessi moratori di cui al Decreto Legislativo 9 ottobre 2002 numero 231 in quanto non applicabili, ai sensi dell'articolo 1 comma 2 lettera a) dello stesso Decreto, alle Procedure Concorsuali. Non è di ostacolo a tale interpretazione la dedotta definitività del provvedimento, posto che la Corte di Cassazione ha statuito, affermando un principio pienamente condivisibile, che il mutato regime normativo (e la conseguente diversa regolamentazione del rapporto derivante, nel nostro caso, da un mutamento della condizione soggettiva del debitore, che è stato dichiarato fallito) travolge il giudicato formatosi sulla base di un decreto ingiuntivo non opposto (sentenza numero 9335 del 14 luglio 2000)». In linea con il proprio orientamento, inoltre, con decreto 12 dicembre 2014, il medesimo Tribunale aveva precisato che «in sostanza la Direttiva non riguarda il problema delle insolvenze, bensì le situazioni in cui il debitore, pur essendo regolarmente solvibile, impone il ritardo confidando sia nella propria forza contrattuale, sia nella scarsa efficacia della tutela giuridica, con ciò costringendo il creditore ad accettare termini ingiustificatamente gravosi o a subire comunque il ritardo. Coerenti con tale impianto sono la deroga, seppur facoltativa, prevista per le procedure concorsuali all'art. 6 e l'esenzione in caso di ritardo non imputabile al debitore. Il legislatore nazionale si è avvalso della facoltà di deroga escludendo l'incidenza dell'attuazione della direttiva comunitaria sull'accertamento dei crediti concorsuali».

In questo variegato e contrastante panorama giurisprudenziale, si registravano anche casi nei quali la stessa giurisprudenza interna al medesimo Tribunale registrava soluzioni diverse da parte dei vari giudici delegati e, talvolta, da parte del medesimo giudice delegato.

È curioso notare che in tale periodo, nonostante fosse evidente che gli orientamenti ondivaghi della giurisprudenza di merito fossero il risultato di un (non risolto) problema di corretta interpretazione del diritto europeo, nessun Tribunale ha mai ritenuto opportuno rivolgersi alla Corte di giustizia con lo strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.

L'intervento nomofilattico della Corte di Cassazione

Sfruttando uno dei rarissimi casi nei quali il procedimento di verifica dello stato passivo giunge sino al giudice della legittimità, con l'ordinanza 5 maggio 2016, n. 8979 la Corte di Cassazione ha ritenuto che la c.d. teoria restrittiva inaugurata dal Tribunale di Milano (e seguita da un numero considerevole di altri Tribunali) fosse quella che consentiva una lettura della normativa interna in linea con lo spirito e le finalità della disciplina europea. Secondo tale pronuncia, infatti, con riferimento all'interpretazione letterale della disposizione, il divieto di riconoscimento degli interessi al tasso maggiorato nelle ipotesi in cui esso è dovuto decorre solo dal momento della dichiarazione di fallimento, fermo restando il diritto al riconoscimento di quelli già maturati antecedentemente all'accertata insolvenza del debitore. Infatti, tali interessi, secondo il meccanismo previsto dall'art. 4 della Legge n. 231/2002 si producono automaticamente e senza la necessità formale della messa in mora del debitore. Tale disciplina dei crediti nati nelle c.d. “transazioni commerciali” tra imprese hanno un loro statuto peculiare, imposto dal diritto europeo, che non può essere oggetto di interpretazioni abroganti da parte del giudice comune. Con l'ulteriore conseguenza per cui il giudice delegato ai fallimenti, in mancanza di una sentenza passata in giudicato che abbia accertato il credito maturato a titolo di interessi moratori, deve compiere detto accertamento in sede di ammissione al passivo del credito, secondo le regole stabilite dalla legge speciale, attuativa della direttiva europea.

Tale orientamento è stato successivamente ripreso alla lettera dall'ordinanza n. 3300 dell'8 febbraio 2017 nonché dall'ordinanza n. 14637 del 6 giugno 2018 che ha fornito un più articolato apparto argomentativo. Secondo quest'ultima pronuncia, infatti, «la finalità della direttiva europea 2000/35/CE a cui il D.Lgs. n. 231/2002 si propone di dare attuazione, come emerge dai consideranda nn. 7 e 16, è all' evidenza quella di contrastare condotte di rinvio dei pagamenti adottate come tecnica finanziaria di gestione delle esposizioni debitorie dell'impresa, al fine di evitare i riflessi a cascata sull' economia europea in termini non solo di maggiori oneri finanziari e amministrativi per le imprese creditrici, ma anche di creazione di rischi di insolvenza e di perdita dei rapporti di lavoro. Il disposto della norma nazionale di attuazione deve perciò essere interpretato alla luce delle specifiche finalità perseguite dalla direttiva europea. II riconoscimento della maturazione degli interessi - che si acquistano giorno per giorno ex art. 821 c.c., comma 3, dalle scadenze e ai saggi previsti dal D.Lgs. n. 231/2002, artt. 4 e 5, in ragione della morosità dell'imprenditore fino all' apertura del concorso - rimane del tutto coerente con le finalità della direttiva sopra indicate. Il disposto del D. lgs. n. 231 del 2002, art. 1, comma 2, lett. a), deve poi essere inteso come un'eccezione rispetto alla regola generale giustificata dal fatto che, una volta aperto il concorso, il pagamento non pronto trova causa non più nel fenomeno di procrastinazione dei pagamenti che la direttiva europea si riprometteva di contrastare, ma nell'esigenza di dare regolare sviluppo alla procedura concorsuale nell' interesse di tutti i creditori. La speciale disciplina riservata dal D.Lgs. n. 231/2002 alle procedure concorsuali è perciò finalizzata a una gestione dei diritti acquisiti al momento dell'apertura del concorso nell' ottica di salvaguardare la par condicio creditorum. Una lettura che anticipasse la disapplicazione dei tassi c.d. commerciali a un'epoca anteriore al fallimento priverebbe invece i creditori concorsuali di un diritto ormai maturato al momento dell'apertura del concorso».

A margine di tali pronunce della Corte di Cassazione possono essere svolte le due seguenti considerazioni: in primo luogo, il principio di diritto enunciato è stato successivamente accolto da numerosi Tribunali, ivi compreso il Tribunale di Roma il quale, come già anticipato, prima dell'intervento nomofilattico della Corte di Cassazione, si era apertamente schierato contro l'orientamento del Tribunale di Milano; in secondo luogo, nel risolvere la questione interpretativa sollevata dalle ondivaghe pronunce di merito, (neppure) la Corte di Cassazione ha ritenuto necessario disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.

Il Tribunale di Vicenza e l'araba fenice: nihil sub sole novi

Nella propria pronuncia, il Tribunale di Vicenza, in linea con la propria giurisprudenza del 2013, ripropone, in modo senz'altro più articolato ed approfondito, considerazioni già espresse in passato a sostegno della tesi c.d. estensiva estrema. Secondo il Tribunale di Vicenza, infatti, in nessun caso gli interessi per ritardato pagamento sono opponibili ad una procedura concorsuale, indipendentemente dal momento in cui gli stessi sono maturati, per i seguenti motivi:

a) l'esclusione ha valenza oggettiva, e si riferisce alle procedure concorsuali aperte a carico del debitore, a prescindere dal titolo della pretesa creditoria: pertanto, anche nel caso in cui il creditore abbia ottenuto un decreto ingiuntivo definitivo a suo favore, che preveda l'ingiunzione di pagare gli interessi con le modalità di cui al D.Lgs. n. 231/2002, la pretesa per gli interessi trova pur sempre un limite oggettivo di legge quando venga esercitata nei confronti di una procedura concorsuale, fermo restando il giudicato del decreto ingiuntivo nei confronti del debitore tornato successivamente in bonis o di altri eventuali terzi condebitori (es. fideiussore);

b) tale interpretazione è supportata dalla considerazione che la definitività del decreto ingiuntivo non poteva (prima dell'apertura della procedura) essere impedita dal debitore, mediante opposizione, per questo specifico motivo, che non lo riguardava, né avrebbe potuto impedirla il curatore, perché non era stato ancora nominato, quindi il giudicato sul punto specifico si è ben formato nei confronti del debitore, ma non anche del curatore;

c) in altre parole, il decreto ingiuntivo definitivo non estende la sua efficacia, per la parte relativa agli interessi previsti dal D.Lgs. n. 231/2002, alle procedure concorsuali, in virtù di una precisa disposizione di legge, la quale si applica a prescindere dal titolo (convenzionale o giudiziale) della pretesa creditoria;

d) sotto altro profilo, la norma riguarda sia gli interessi scaduti prima della apertura della procedura concorsuale, sia quelli che maturano dopo, in quanto essa usa l'espressione “debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore”, e quindi si applica a tutti i crediti sorti nei confronti di un debitore fallito, anche privilegiati, prima e dopo la dichiarazione di fallimento, considerato che la disciplina degli interessi in ambito fallimentare è esaustivamente contenuta negli artt. 54 e 55 l.f, ed è volta ad assicurare indistintamente la par condicio omnium creditorum, e che, comunque, nel corso della procedura fallimentare non si può configurare una responsabilità per ritardo del debitore fallito;

e) la voluntas legis è dunque nel senso di evitare che le norme sulla lotta ai pagamenti eseguiti in ritardo possano incidere sulla disciplina del concorso fra creditori ammessi al passivo del fallimento, e ciò in via generale, non solo con riferimento alla fase posteriore all'avvenuto accertamento del credito, bensì, necessariamente, anche con riguardo a quella, anteriore, della verifica del passivo.

A conferma della propria interpretazione il Tribunale di Vicenza sottolinea che:

i) la norma non distingue se ci sia o no il titolo esecutivo;

ii) se c'è, esso varrà senz'altro nei confronti dei coobbligati e del debitore tornato in bonis;

iii) il curatore è terzo e non era in carica quando si è formato il titolo, dunque non poteva far valere la norma di esenzione per farne escludere l'applicazione al fallimento;

iv) si tratta appunto di una norma di esenzione, che esclude i fallimenti tout court dalla sua portata;

v) di conseguenza, neppure il d. ing. definitivo dovrebbe essere di ostacolo all'esclusione di questa quota di interessi dallo stato passivo, che nulla hanno a che fare con il concorso, comunque si pongano, per espressa volontà legislativa;

vi) se non ci fosse la norma di esenzione, il decreto ing. produrrebbe l'ammissione al passivo degli interessi fino al fallimento o oltre (se privilegiati) senza alcuna differenza rispetto agli interessi-base;

vii) la stessa cosa avverrebbe senza decreto ingiuntivo.

In altre parole, quindi, secondo il Tribunale di Vicenza, «il titolo esecutivo rende indiscutibile la pretesa per il debitore ed i coobbligati, ma non per il terzo curatore, espressamente esentato. Dunque, se un senso deve avere, la norma deve operare con o senza titolo esecutivo».

La conclusione cui perviene il Tribunale di Vicenza non ammette repliche: per effetto del fallimento il debito, contratto da un soggetto poi sottoposto ad una procedura concorsuale, subisce una mutazione e determina il venir meno del presupposto per l'applicazione del maggior tasso per la mora di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 231/2002.

Ciò che merita di essere sottolineato a proposito della pronuncia del Tribunale di Vicenza è, oltre al totale svilimento del giudicato ante-fallimentare, anche, da un lato, l'assoluta mancanza di riferimento alla normativa europea, posto che il Tribunale si preoccupa esclusivamente di coordinare la propria interpretazione dell'art. 1, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 231/2002 con la disciplina degli interessi previsti dalla (vecchia) legge fallimentare, senza considerare che in base al principio dell'interpretazione conforme è la norma interna che dà attuazione a una disposizione di diritto europeo a dover essere interpretata alla luce dello scopo, del tenore e delle finalità di quest'ultimo; per contro, il Tribunale di Vicenza, interpretando la portata dell'art. 1, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 231/2002 (e, quindi, anche l'art. 6, n. 3, lett. a) della Direttiva 2000/35/CE) alla luce dell'art. 55 L.F. finisce per compiere esattamente il contrario; dall'altro lato, il fatto che, nonostante l'evidente e dichiarato dissenso dall'interpretazione della Corte di Cassazione, il Tribunale di Vicenza ha ancora una volta ritenuto di poter prescindere dal supporto interpretativo della Corte di giustizia offerto dallo strumento del rinvio pregiudiziale. Non è dato sapere se tale scelta del Tribunale di Vicenza sia dipesa dal fatto di ritenere che nel caso di specie non si poneva una questione di interpretazione del (diritto interno di attuazione del diritto) europeo, oppure dal fatto che per i giudici non di ultima istanza lo strumento del rinvio pregiudiziale costituisce una mera facoltà, non già un obbligo.

La rilevanza costituzionale della corretta interpretazione della disciplina degli interessi per ritardato pagamento in ambito concorsuale

Anche prescindendo per un istante dalla necessità di un'interpretazione dell'art. 1, comma 1, lett. a) del D. lgs. n. 231/02 comunitariamente orientata, o comunque ipotizzando che l'interpretazione del Tribunale di Vicenza sia quella più in linea con lo spirito e le finalità perseguite dal legislatore europeo, l'interesse dell'interprete si sposta necessariamente, a livello interno, sul piano della legittimità costituzionale dell'interpretazione in oggetto. Anche sotto tale profilo, il decreto del Tribunale di Vicenza ripropone gli stessi dubbi e le stesse perplessità espresse prima degli interventi nomofilattici della Corte di Cassazione che possono essere così riassunti:

a) l'interpretazione estensiva dell'art. 1, comma 2, lett. a) D. lgs. n. 231/02 sembra determinare una manifesta disparità di trattamento dei creditori in relazione alla disciplina prevista dalla l. n. 198/02 in materia di subfornitura, in aperta violazione dell'art. 3 Cost. Come noto, infatti, la disciplina in materia di subfornitura prevede, in caso di ritardato pagamento, l'applicazione di interessi moratori ad un tasso identico a quello previsto, in via generale per tutte le transazioni commerciali, dal D. lgs. n. 231/02; inoltre, anche in materia di subfornitura gli interessi moratori maturano per il solo fatto del ritardato pagamento, senza alcuna necessità di costituzione in mora del debitore da parte del creditore (art. 3, comma 3, l. n. 198/02). In tale contesto, poiché nessuna norma esclude, in caso di apertura di una procedura concorsuale a carico del debitore del subfornitore, l'opponibilità alla stessa degli interessi moratori maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale, la teoria estensiva finisce con il condurre ad un'iniqua ed illegittima disparità di trattamento dei creditori rispetto al creditore-subfornitore in quanto solo quest'ultimo avrebbe il diritto di essere ammesso al passivo anche per gli interessi moratori per ritardato pagamento ex l. n. 198/02 maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale. Sennonché, una tale disparità di trattamento appare difficilmente giustificabile, ove si consideri che il D. lgs. n. 231/02 non ha fatto altro che estendere a tutte le transazioni commerciali la disciplina relativa agli interessi per ritardato pagamento prevista dalla l. n. 198/02 in materia di contratto di subfornitura;

b) la teoria estensiva sembra sollevare un ulteriore problema di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, lett. a) D.Lgs. n. 231/02 anche in rapporto agli artt. 76 e 77 Cost., per eccesso di delega e/o per assenza totale di delega. Invero, la legge-delega 1° marzo 2002, n. 39 non contiene alcun criterio direttivo, né generale (art. 2), né particolare (art. 26), relativo alla non applicabilità alle procedure concorsuali della disciplina degli interessi moratori per ritardato pagamento. Anzi, la previsione all'art. 26, lett. e) della legge-delega del criterio volto a «coordinare la nuova disciplina con le disposizioni in materia di subfornitura nelle attività produttive di cui alla legge 18 giugno 1998, n. 192, apportando ad essa le opportune modifiche in modo da uniformare il saggio degli interessi moratori di cui all'art. 3, comma 3, della medesima Legge n. 192/1998 al livello degli interessi di mora (tasso legale) previsto dalle disposizioni in materia di ritardi di pagamento, di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettera d), della direttiva» sembra lasciar intendere che la sola interpretazione dell'art. 1, comma 2, lett. a) D.Lgs. n. 231/02 in grado di porsi in sintonia con la legge-delega, e quindi in linea con gli artt. 76 e 77 Cost., sia quella sostenuta sin dall'inizio dal Tribunale di Milano, fatta propria dalla Corte di Cassazione, ma ora sconfessata dal Tribunale di Vicenza. Infatti, se si conviene sul fatto che la competenza all'esercizio della facoltà prevista dalla direttiva 2000/35/CE deve essere attribuita alla fonte normativa di rango primario ex artt. 111 e 117 Cost., è giocoforza constatare che la legge-delega in forza della quale il Governo ha emanato il D. lgs. n. 231/02 non contiene alcuna indicazione al riguardo; inoltre, non può farsi a meno di considerare che l'interpretazione del Tribunale di Vicenza finisce per privare il creditore del proprio diritto agli interessi moratori per ritardato pagamento (ancorché limitatamente a quelli maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale) senza che una tale scelta ermeneutica sia ravvisabile nei principi e criteri direttivi della legge-delega. Né può essere sottovalutato il fatto che la legge-delega 1° marzo 2002, n. 39, in quanto “Legge comunitaria 2001” diretta all'attuazione di direttive europee, vincola il legislatore delegato in primo luogo quanto ai principi contenuti nelle direttive da attuare, poi quanto ai criteri e principi direttivi generali, infine quanto ai criteri di delega specifici dettati in relazione alla direttiva 2000/35/CE , come dimostra, tra l'altro, la previsione contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. g) della legge-delega della previsione secondo cui «i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega».

Come è facile intuire si tratta di aspetti rilevanti di diritto interno che, forse, avrebbero reso opportuna una qualche riflessione supplementare. Se è vero, infatti, che in caso di c.d. doppia pregiudizialità, ovvero di controversie che possono dare luogo a questioni di illegittimità costituzionale e, simultaneamente, a questioni di compatibilità con il diritto dell'Unione, l'orientamento consolidato del giudice delle leggi è sempre stato quello di dare precedenza e priorità al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di giustizia, nel caso degli interessi per ritardato pagamento l'asserito contrasto della tesi del Tribunale di Vicenza con il diritto dell'Unione europea e con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. solleva un delicato problema di compatibilità della normativa interna anche con il corrispondente diritto sancito dall'art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. E, con riferimento a tali diritti, di recente la Corte costituzionale ha ribadito la necessità del proprio intervento erga omnes, invitando i giudici nazionali a sollevare l'incidente di costituzionalità, fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 TFUE (cfr. Corte cost., n. 269/2017; n. 20/2019; n. 63/2019). E ciò in quanto la disapplicazione ad opera del giudice della norma ritenuta in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE e, conseguenza, con un principio tutelato anche dalla Costituzione (nel caso di specie, la disapplicazione della tesi interpretativa del Tribunale di Vicenza) darebbe luogo ad un inammissibile sindacato diffuso di costituzionalità della legge.

Conclusioni

La recente pronuncia del Tribunale di Vicenza ripropone dubbi e perplessità già emerse nel passato ed oggetto di contrastanti pronunce della giurisprudenza di merito. L'intervento nomofilattico della Corte di Cassazione, avvenuto senza il coinvolgimento della Corte di giustizia, non ha impedito alla tesi dell'assoluta inopponibilità alle procedure concorsuali della disciplina sugli interessi per ritardato pagamento nelle transazioni commerciali di riemergere: in tal modo sono stati riproposti problemi di corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea (ivi compresa la Carta dei diritti fondamentali) e di legittimità costituzionale, prospettando un particolare caso di doppia pregiudizialità, costituzionale ed europea. Quanto basta, ci pare, per poter (ri-)affermare la necessità di un urgente rinvio alla Corte di giustizia e/o alla Corte costituzionale.

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