Esercizio arbitrario delle proprie ragioni nei confronti dell'amministratore: legittima la condanna al risarcimento danni

Redazione scientifica
27 Gennaio 2020

Non si applica l'attenuante della provocazione quando manca uno stato d'ira cagionato dal fatto ingiusto altrui. Difatti, il mancato pagamento delle prestazioni lavorative all'imprenditore non ha la caratteristica della ingiustizia obiettiva e tale ingiustizia non può basarsi sulla sua sensibilità personale dell'imputato.

Il titolare di una ditta era stato condannato per l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392 c.p.) e danneggiamento (art. 635 c.p.), in quanto, pur potendo ricorrere al giudice al fine di ottenere dall'amministratore di condominio il compenso per prestazioni di pulizia degli stabili condominiali effettuati, si era fatto ragione da sé minacciando di morte l'amministratore e usando violenza consistita nel danneggiare gli sportelli dei contatori del gas del palazzo ove era ubicato il suo studio. Avverso tale decisione, il titolare della ditta ha proposto ricorso in Cassazione eccependo l'ammontare del risarcimento richiesto in quanto si era trattato di un espediente per richiamare l'attenzione sull'impegno assunto dai condomini in relazione al pagamento dell'attività di pulizia; quanto alle minacce, l'amministratore non era presente quando il ricorrente si era recato presso il suo studio.

Nel giudizio di legittimità, i reati sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, con conferma delle statuizioni civili. Secondo la S.C., il mancato pagamento delle prestazioni lavorative all'imprenditore non ha la caratteristica della ingiustizia obiettiva e tale non può basarsi sulla sua sensibilità personale dell'imputato. Tuttavia, l'imprenditore aveva comunque esercitato arbitrariamente le proprie ragioni; inoltre, era irrilevante la presenza dell'amministratore, visto che il delitto di cui all'art. 392 c.p. sussiste anche quando le minacce siano rivolte a persona diversa da quella che si trovi in conflitto di interessi con l'agente. Dunque, nonostante la colpevolezza dell'imprenditore, la Corte di legittimità ha accolto il motivo della valutazione del risarcimento (eccessivo). Tale decisione riviene dal fatto che la Corte di appello non aveva motivato in maniera esauriente sul perché fosse corretta la decisione del primo giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, limitandosi ad affermare la correttezza della decisione. Per le suesposte ragioni, la pronuncia è stata annullata senza rinvio.

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