Modificabilità in appello della domanda di condanna solidale in domanda di condanna pro quota

Sergio Matteini Chiari
27 Gennaio 2020

La questione giuridica affrontata dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame è stata quella di stabilire se in sede di gravame sia consentito al creditore modificare la domanda originaria di condanna solidale dei convenuti in una domanda che, sulla base del medesimo titolo, sia diretta a conseguire la condanna di ciascuno degli stessi pro quota.
Massima

È consentito al creditore, anche in grado di appello, modificare la domanda originaria di condanna solidale dei convenuti in una domanda che, sulla base del medesimo titolo, sia diretta a conseguire la condanna pro quota, perché mediante tale modifica il creditore delimita solo, sul piano quantitativo, il petitum fatto valere nei confronti dei singoli condebitori, che resta però, nel complesso, immutato.

Il caso

Con ordinanza-ingiunzione, il Comune di AAA intimava agli ex soci della società (cancellata dal registro delle imprese) BBB il pagamento in solido della somma pagata dall'Ente a titolo di indennità per l'esproprio di alcune aree destinate ad edilizia residenziale pubblica, fatte oggetto di una convenzione per la cessione in proprietà intercorsa fra l'Ente medesimo e la predetta società.

Gli intimati proponevano opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione.

Il Tribunale adito - dopo una prima sentenza di declaratoria di carenza della giurisdizione, oggetto di riforma da parte del giudice di appello, con rimessione della causa al giudice di primo grado - dichiarava l'illegittimità del provvedimento impugnato per difetto di legittimazione passiva degli opponenti, in particolare rilevando che l'Ente non aveva provato la responsabilità degli attori in base alla previsione dell'art. 2456, comma 2, c.c., che riteneva applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Proposto gravame dall'Ente, la Corte di merito riteneva che la questione sulla identificazione dei soggetti responsabili per il debito della società (sollevata dagli originari opponenti a seguito della riassunzione della causa avanti al Tribunale) risultava essere stata dedotta tempestivamente (non potendosi qualificare eccezione in senso stretto) e dichiarava inammissibile la domanda dell'Ente intesa ad ottenere la condanna degli appellati non già in solido (come era stato richiesto in primo grado), ma pro quota (proporzionalmente cioè alla quantità dei beni dai medesimi acquistati dalla Cooperativa), osservando che tale domanda risultava essere tardiva in fase di gravame, essendo stata con essa fatta valere una pretesa sostanziale diversa da quella fatta valere con l'ordinanza-ingiunzione opposta.

Per la riforma di tale pronuncia, l'Ente proponeva ricorso per cassazione. Gli intimati non svolgevano difese.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione, che interessa in questa sede, è stata quella di stabilire se in sede di gravame sia consentito al creditore modificare la domanda originaria di condanna solidale dei convenuti in una domanda che, sulla base del medesimo titolo, sia diretta a conseguire la condanna di ciascuno degli stessi pro quota.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

La S.C. ha ritenuto che, domandato in primo grado l'adempimento solidale e per la totalità, nulla osti a che in appello il creditore possa domandare la condanna dei debitori pro quota, sul rilievo che, poiché sul piano sostanziale è ammessa la rinuncia alla solidarietà da parte del creditore (art. 1311 c.c.), essendo il vincolo solidale stabilito nel suo esclusivo interesse, così, sul piano processuale, deve ritenersi consentito che il creditore medesimo contenga la propria domanda, inizialmente diretta alla condanna solidale dei condebitori, nei limiti della quota di spettanza di ciascuno di essi.

In tal modo, infatti, il creditore delimita unicamente sul piano quantitativo il petitum fatto valere nei confronti dei singoli condebitori, restando, tale petitum, nel complesso, immutato; a condizione, ovviamente, che non venga modificato il titolo della domanda, e cioè la sua causa petendi.

Osservazioni

i) Si ha mutatio libelli quando la parte immuti l'oggetto della pretesa, avanzandone una diversa da quella originaria quanto all'oggetto sostanziale (ad esempio, qualora, negli ambiti di un'azione a difesa della servitù, in appello la tutela reale venga riferita ad un fondo diverso da quello dedotto nell'atto introduttivo di lite) oppure quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (v., ex multis, Cass. civ., sez. V, 20 luglio 2012, n. 12621; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2015, n. 1585; Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310; Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2018, n. 32146).

Si ha, invece, semplice emendatio libelli laddove si incida sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere, oppure sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto (Cass. civ., sez. III, ord. 14 febbraio 2019, n. 4322; Cass. civ., sez. III, ord. 28 novembre 2019, n. 31078).

In particolare, con riguardo alla fattispecie venuta in considerazione nel giudizio in esame, il giudice di legittimità ha più volte affermato che la rinuncia alla solidarietà ex art. 1311 c.c. non può essere annoverata fra i casi di mutatio libelli, poiché la stessa è insita nel carattere dell'obbligazione (Cass. civ., sez. lav., 7 aprile 2008, n. 8993).

È stato anche affermato che costituisce mera emendatio (ammissibile anche in grado di appello), e non già una non consentita mutatio libelli, la proposizione in secondo grado in via solidale della domanda di ripetizione di indebito spiegata in primo grado nei confronti delle medesime persone, ma senza vincolo di solidarietà, rimanendo immutato il bene della vita richiesto e i fatti posti a base della domanda (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2004, n. 8520).

Tali principi sono stati ribaditi nella sentenza in commento.

Appieno ammissibile e processualmente corretta deve, dunque, ritenersi la scelta del creditore di delimitare in sede di gravame la sua pretesa alla quota di ciascuno degli obbligati solidali.

ii) Tutto quanto sin qui detto risulta appieno conforme al pensiero (unanimemente condiviso) secondo cui le cause relative ad obbligazioni solidali (sia attive che passive) sono, di regola scindibili ed indipendenti giacché le obbligazioni solidali determinano la costituzione non già di un unico rapporto obbligatorio con pluralità di soggetti dal lato passivo (o, mutatis mutandis, dal lato attivo), bensì di tanti rapporti obbligatori quanti sono gli obbligati in solido, così che qualora il creditore comune convenga in giudizio tutti i condebitori in solido non si verifica un litisconsorzio necessario e, in sede di impugnazione, una situazione di inscindibilità delle cause, in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati (Cass. civ., Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14700; Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2011, n. 17795; Cass. civ., sez. II, ord, interlocutoria 12 febbraio 2016, n. 2854).

Eccezioni alla suddetta regola sono state riconosciute unicamente in materia di assicurazione obbligatoria della r.c. per la circolazione dei veicoli, nella procedura di risarcimento diretto (Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2016, n. 20692 Cass. civ., sez. VI, 20 settembre 2017, n. 21896) e in materia di rapporti processuali, nelle fasi di impugnazione, tra creditore, debitore principale e fideiussore (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2016, n. 14829).

iii) Soluzione identica, per gli aspetti di principio, a quella data dalla sentenza in commento è stata accolta dalla Suprema Corte con riguardo ad altra fattispecie: posto che il giudizio di scioglimento di comunioni non è del tutto compatibile con le scansioni e le preclusioni che disciplinano il processo in generale, intraprendendo i singoli condividenti le loro strategie difensive anche all'esito delle richieste e dei comportamenti assunti dalle altre parti con riferimento al progetto di divisione ed acquisendo rilievo gli eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi, che modifichino il numero e l'entità delle quote, ne deriva il diritto delle parti del giudizio divisorio di modificare, anche in sede di appello, le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l'attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, integrando tale istanza una mera modalità di attuazione della divisione (Cass. civ., sez. II, 13 giugno 2019, n. 15926).

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