Falcidia IVA nel sovraindebitamento

30 Gennaio 2020

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, L. 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole: "all'imposta sul valore aggiunto", nella parte in cui nega al debitore sovraindebitato la possibilità di prospettare il pagamento parziale dell'IVA, a pena di inammissibilità del relativo ricorso.
Massima

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, L. 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole: "all'imposta sul valore aggiunto", nella parte in cui nega al debitore sovraindebitato la possibilità di prospettare il pagamento parziale dell'IVA, a pena di inammissibilità del relativo ricorso.

Il caso

Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l'ammissione e la successiva omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, proposto ai sensi dell'art. 6, comma 1, primo periodo, della Legge n. 3/2012, il Tribunale ordinario di Udine, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, della Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovra-indebitamento), in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, limitatamente alle parole “all'imposta sul valore aggiunto”.

L'incidente di legittimità costituzionale è intervenuto nella fase di valutazione dell'ammissibilità del ricorso, prevista dall'art. 10 della Legge n. 3/2012, nel corso della quale occorre verificare la presenza dei requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9 della stessa legge, ostativi della successiva fase di omologazione della proposta.

La questione

Il piano proposto ai creditori prevedeva la soddisfazione solo parziale dei crediti concorsuali, tutti indistintamente collocati al chirografo, compresi quelli privilegiati, attesa l'incapienza dei beni sui quali dovrebbe gravare la relativa prelazione, tale da non consentire prospettive liquidatorie di maggior favore. Tra le poste di credito privilegiate – che il piano proponeva di soddisfare solo parzialmente – figurava anche l'obbligo di pagare all'erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto, garantite dal privilegio generale mobiliare di cui all'art. 2752, terzo comma, del codice civile. Quest'ultima previsione del piano, in netto contrasto con la regola dettata dall'art. 7, comma 1, terzo periodo, della Legge n. 3/2012 e quindi tale da pregiudicare l'ammissibilità del ricorso, ha provocato il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal Tribunale di Udine.

Invero, il predetto art. 7, comma 1, prevede che il piano nel quale si sostanzia l'accordo di ristrutturazione dei debiti proposto ai creditori può prevedere una soddisfazione non integrale dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca “allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”. Il medesimo comma 1 del citato articolo 7, al terzo periodo, precisa tuttavia che “In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”.

Dunque, a differenza degli altri crediti tributari, in genere soggetti a decurtazioni al pari delle altre poste di credito privilegiate, l'adempimento legato all'IVA (oltre che dei tributi che costituiscono risorse proprie dell'Unione e delle ritenute non versate dal sostituto d'imposta), può essere oggetto solo di dilazione, mai di parziale decurtazione.

Da qui la ritenuta non manifesta infondatezza da parte del giudice a quo delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, primo periodo, della Legge n. 3/2012.

La soluzione giuridica

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, della Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole: “all'imposta sul valore aggiunto”.

La Corte è giunta a tale soluzione richiamando il parallelismo che corre tra l'accordo di composizione della crisi da indebitamento, previsto dalla normativa censurata, e il concordato preventivo disciplinato dalla legge fallimentare.

Il primo – ha affermato la Corte - riproduce i tratti sostanziali della seconda procedura ma soprattutto ne ribadisce la filosofia di fondo.

Pur a fronte di una chiara disomogeneità di interessi, quanto ai soggetti che possono accedervi, in entrambe le procedure viene consentita l'esdebitazione di chi è gravemente indebitato, evitando l'azione liquidatoria, frazionata o complessiva, del relativo patrimonio e favorendo, al contempo, una immediata ricollocazione del debitore all'interno del circuito economico e sociale senza il peso delle esposizioni pregresse.

In questo contesto assumono importanza primaria le previsioni che attengono al regime previsto per i crediti privilegiati e tra questi, per quelli di matrice tributaria. La regola che domina le due procedure – prosegue la Corte - è quella della falcidiabilità di tali poste creditorie: la pretesa alla soddisfazione integrale del credito munito di prelazione, anche di natura tributaria, può recedere sull'altare della minor convenienza della alternativa liquidatoria del relativo patrimonio di riferimento.

Infatti, per un verso la Legge fallimentare agli artt. 160, comma 2, in tema di presupposti per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, e 182-ter, comma 1, in relazione al trattamento dei crediti tributari e contributivi, e per un altro verso l'art. 7, comma 1, della Legge n. 3/2012, riproducono pedissequamente lo stesso schema: si deroga al principio di cui all'art. 2741 c.c. (concorso dei creditori e cause di prelazione) e si determina il conseguenziale sacrificio della posizione del creditore solo perché, nel realizzare la finalità esdebitatoria, viene dato comunque rilievo imprescindibile alle prospettive di effettiva soddisfazione del credito munito di prelazione, che devono essere maggiori rispetto a quella potenzialmente derivante dalla liquidazione dei beni coperti dalla prelazione. Il tutto - aggiunge la Consulta - all'interno di percorsi procedurali comunque rimessi alla scelta deliberativa e decisiva dei creditori, subordinati a valutazioni estimative di assoluta serietà quanto alla incapienza dei beni da liquidare a garanzia del dovuto; soggetti al controllo giurisdizionale, utile a verificare la fattibilità della proposta e a definire anche i possibili conflitti concernenti la convenienza della stessa.

Del resto, la decurtazione dei crediti garantiti da prelazione si spiega proprio nell'ottica della operatività (e della conseguente efficacia) delle procedure preventive che mirano alla esdebitazione: il pagamento integrale dei crediti privilegiati, compresi quelli tributari, vanificherebbe il vantaggio legato alla definizione preventiva della crisi per quelle situazioni che non risultino garantite da una capienza patrimoniale che consenta un integrale ripianamento delle esposizioni favorite dalla prelazione.

Con riguardo allo specifico settore delle pretese tributarie, la Corte ha rimarcato la circostanza che, in questo ambito, la possibilità di operare la falcidia, compensata dalla maggiore soddisfazione garantita rispetto alla alternativa liquidatoria, costituisce diretta espressione dei canoni di economicità ed efficienza ai quali deve conformarsi, ai sensi dell'art. 97 Cost., l'azione di esazione della PA. Sicché, la possibilità di prospettare un pagamento anche parziale dell'obbligazione tributaria, pur se assistita da prelazione, a fronte della grave situazione debitoria del proponente, non adeguatamente supportata da un patrimonio tale da assicurare l'effettività della riscossione anche coattiva della relativa pretesa, garantisce il male minore, sia per il privato debitore che per l'Amministrazione finanziaria: il primo, attraverso tale decurtazione, può evitare azioni liquidatorie complessive, se del caso anche protraendo l'attività economica sino a quel momento svolta, acquisendo anche il diritto alla esdebitazione; la seconda realizza il miglior risultato possibile alla luce delle condizioni patrimoniali e finanziarie del contribuente, evitando di far ricadere sulla comunità l'onere delle conseguenze finanziarie correlate ad una escussione fortemente posta in dubbio quanto alle effettive possibilità di recuperare il credito in termini più favorevoli rispetto al quantum proposto dal debitore. Pertanto, rispetto alla generale falcidiabilità dei crediti privilegiati e tra questi anche dei crediti di natura tributaria, il trattamento dell'IVA, per quel che qui direttamente interessa, crea – precisa la Consulta - un immediato ed ingiustificato disallineamento tra le procedure in discorso.

La Corte ravvisa poi la ratio della deroga alla regola generale della falcidiabilità delle poste di credito privilegiate, contenuta nella disposizione censurata, nella ritenuta indisponibilità del gettito dell'IVA da parte del legislatore interno, imposta dal diritto dell'Unione europea.

Secondo una prima impostazione, asseverata anche dalla Consulta (Sentenza n. 225/2014) in relazione al tenore originario dell'art. 182-ter della Legge Fallimentare, il legislatore interno, tenuto al prelievo integrale di detta risorsa tributaria, non avrebbe potuto introdurre disposizioni destinate ad incidere su tale obiettivo. La falcidiabilità, dunque, doveva ritenersi consentita, nelle procedure concorsuali con finalità esdebitatorie, in via generale per tutti i tributi di esclusiva rilevanza interna; ciò non valeva, invece, per i tributi costituenti risorse dell'Unione (come previsto nell'originaria formulazione dell'art. 182-ter della legge fallimentare), e tra questi, per l'IVA (come precisato successivamente con la novella apportata dal d.l. n. 185 del 2008), rispetto alla quale era consentita la sola dilazione del relativo adempimento, per scelta imposta da obblighi sovrannazionali, non derogabili dal legislatore italiano. Il tutto alla luce di una interpretazione del diritto dell'Unione europea in forza della quale anche la falcidia concorsuale del credito IVA altro non avrebbe rappresentato se non una indebita rinuncia integrale al prelievo di una risorsa propria dell'Unione europea, così da replicare i vizi che, sotto tale profilo, avevano portato l'Italia a patire il giudizio di incompatibilità rispetto alle indicazioni derivanti dal diritto dell'Unione europea, con riferimento ad altre disposizioni di legge sempre incidenti sull'IVA (valga, a tal fine, il riferimento a Corte di Giustizia dell'Unione europea, 17 luglio 2008, in causa C-132/06, Commissione della comunità europea contro Repubblica italiana, relativa al condono “tombale” previsto dalla Legge 27 dicembre 2002, n. 289 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, resa a ridosso della modifica normativa apportata nel 2008 all'art. 182-ter della legge fallimentare).

Successivamente, però, con la sentenza Degano Trasporti sas, la Corte di Lussemburgo ha mutato tale presupposto interpretativo di riferimento, ritenendo compatibile una norma interna (l'art. 160, comma 2, della legge fallimentare) che, inserita in un percorso sottoposto al sindacato giurisdizionale, consenta un pagamento parziale del credito IVA qualora sia accertato giudizialmente che tale soddisfazione garantisca comunque una acquisizione di risorse maggiore rispetto alla alternativa liquidatoria e venga consentito all'amministrazione interessata di esprimere parere contrario alla proposta del debitore oltre che di opporsi giudizialmente alla stessa, contestandone la convenienza. Tale decisione - proseguono i giudici delle leggi - ha costituito la ratio ispiratrice della novella apportata dalla legge n. 232 del 2016 alla disciplina del trattamento dell'IVA nel concordato preventivo, in forza della quale oggi la falcidiabilità delle pretese tributarie, anche garantite da prelazione, non vede più deroghe espresse. La differenza di disciplina che oggi caratterizza il concordato preventivo e l'accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile dà luogo ad una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tale da concretare l'addotta violazione dell'art. 3 Cost.

In particolare, le modifiche da ultimo citate, innovando solo in relazione alla disciplina del concordato preventivo, hanno determinato quella discrasia di sistema che in origine il legislatore aveva inteso evitare ricostruendo il contenuto della norma dettata per il sovraindebitamento del debitore non fallibile in termini sostanzialmente riproduttivi della disciplina all'epoca vigente dettata dall'art. 182-ter della legge fallimentare. Disparità, questa, che tocca in primo luogo i debitori interessati dalle procedure in questione, giacché non v'è motivo per trattare diversamente – prosegue la Consulta - sotto questo profilo, i debitori legittimati ad avvalersi della procedura di concordato preventivo in quanto assoggettabili a fallimento: la ragione di fondo che giustifica la falcidia dell'IVA, al pari di quella di tutte le altre poste di credito privilegiate e tributarie, non può porsi in termini differenziati per tutte le categorie di debitori legittimati ad avvalersi di una procedura concorsuale esdebitatoria.

E ciò a prescindere dal tipo di attività esercitata, imprenditoriale o no, nonché dalle dimensioni di tale attività ed all'incidenza economica che ad esse si correla, trattandosi di elementi indifferenti rispetto all'obiettivo perseguito dalle relative procedure di definizione della crisi. Semmai, sotto quest'ultimo versante – chiosa la Corte - l'ordinamento dovrebbe dare il giusto rilievo al fatto che l'intera normativa dettata in tema di sovraindebitamento è stata costruita in termini di beneficio riconosciuto a tale vasta categoria di debitori, che non raramente maturano la relativa esposizione in una posizione di debolezza o comunque di asimmetria negoziale con i titolari delle relative poste creditorie.

Del resto, la differenza di trattamento sottolineata dal rimettente, trova conferma inequivoca nella normativa prevista per gli imprenditori agricoli gravemente indebitati. Questi ultimi, in ragione di quanto previsto dall'art. 23, comma 43, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito con modificazioni nella Legge 15 luglio 2011, n. 111, sono legittimati ad avvalersi degli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dall'art. 182-bis della legge fallimentare, ai quali risulta estesa l'applicabilità del successivo art. 182-ter della Legge Fallimentare, con conseguente possibile falcidiabilità dei debiti tributari, compresa l'IVA. Al contempo gli stessi soggetti possono attivare anche l'accordo di composizione della crisi oggetto della odierna censura, rispetto al quale, tuttavia, la norma censurata impone il divieto di falcidia dell'IVA.

Osservazioni

A fronte dunque di una situazione oggettiva sostanzialmente simile (perché il sovraindebitamento non si distanzia in termini decisivi dai concetti di crisi e insolvenza che legittimano lo strumento di cui all'art. 182-bis della legge fallimentare), gli stessi soggetti possono o no avvalersi della falcidia IVA a seconda della procedura che scelgono di attivare.

Piuttosto, la ragionevole sostenibilità della differenza di trattamento in questione va misurata guardando alla ratio sottesa al divieto di falcidia dell'IVA; ratio, come più volte ribadito dalla Corte, ascritta alla ritenuta indisponibilità del relativo gettito da parte del legislatore interno, siccome assertivamente imposta dal diritto dell'Unione europea. Siffatto assunto di partenza, tuttavia, è stato decisamente posto in discussione dalla già richiamata sentenza Degano Trasporti sas con considerazioni che, seppur rivolte alla disciplina del concordato preventivo (nel suo assetto antecedente alla riforma apportata dalla legge n. 232 del 2016), possono trasporsi in direzione della norma censurata, considerate le più volte rimarcate affinità che connotano le due procedure di riferimento: una volta chiarito che la normativa euro unitaria non impone sempre e comunque l'integrale riscossione della risorsa, anche nell'accordo di composizione della crisi previsto dalla legge n. 3 del 2012 perde coerenza quel giudizio di intangibilità del credito IVA che, in origine, ha rappresentato la ratio del divieto di falcidia della relativa pretesa tributaria.

Di qui l'attuale ingiustificata dissonanza di disciplina che sussiste, in parte qua, tra le due procedure, non essendovi motivi che, secondo il canone della ragionevolezza, legittimino il trattamento differenziato cui risultano assoggettati i debitori non fallibili rispetto a quelli che possono accedere al concordato preventivo.

Conseguentemente, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, limitatamente alle parole: “all'imposta sul valore aggiunto”, considerando assorbita la censura relativa all'articolo 97 della Costituzione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.