Responsabilità degli enti e violazioni antinfortunistiche: il caso isolato non può determinare interesse o vantaggio per la società

Ciro Santoriello
31 Gennaio 2020

Sul tema della compatibilità fra reati colposi e responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001 degli enti collettivi, la sentenza non presenta profili di novità in quanto si ribadisce che la sussistenza dell'interesse dell'ente si deve accertare in relazione alla condotta colposa e non all'evento verificatosi, per cui l'interesse può essere...
Massima

Quando la violazione antinfortunistica da cui è derivato l'infortunio del lavoratore non risponde a una prassi consolidata e quindi conosciuta o conoscibile dagli organi apicali dell'azienda, non può sostenersi che tale inosservanza risponda al perseguimento di un interesse o vantaggio in capo all'impresa.

Il caso

In sede di merito, una società veniva condannata – con decisione confermata in appello – in relazione all'art. 25-septies d.lgs. n. 231 del 2001 per aver un proprio dirigente commesso il reato di lesioni personali colpose con violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare, oggetto del giudizio era un infortunio occorso a un lavoratore autotrasportatore dipendente da una ditta diversa da quella condannata, il quale condotto il proprio autocarro all'interno dell'impianto gestito dalla società sottoposta a giudizio per effettuare un carico di conglomerato bituminoso destinato ad altra impresa; secondo la prassi corretta, il carico doveva aver luogo accostando il mezzo a un silos, ma mentre il lavoratore era intento alla bagnatura del cassone dell'autocarro, onde impedire che il conglomerato bituminoso aderisse al fondo del cassone stesso, veniva investito da una "bennata" di conglomerato bituminoso, che gli provocava gravissime ustioni su varie parti del corpo.

L'addebito mosso alla persona fisica, nella qualità a lui attribuita di delegato per la sicurezza all'interno della società sottoposta a giudizio, era quella di avere omesso di fornire alle ditte degli autotrasportatori idonee informazioni sui rischi specifici dell'ambiente di lavoro e, in specie, sulle modalità di effettuazione del carico (l'effettuazione del carico mediante benna, anziché accostando gli autocarri al silos, era una procedura scorretta ma che, secondo la Corte di merito, sarebbe stata a volte osservata presso i locali della società imputata), omettendo altresì di coordinare con l'appaltatore gli interventi di prevenzione e protezione ed eliminazione dei rischi interferenziali, dovuti cioè alla compresenza di più imprese all'interno dell'impianto, nonché di disciplinare in modo chiaro e predeterminato le operazioni di carico del conglomerato bituminoso sugli automezzi inviati dalle ditte esterne. Alla società invere era addebitato la violazione del predetto art. 25-septies perché aveva agito in assenza di modello di organizzazione per la prevenzione di delitti del tipo di quello commesso, in vista del conseguimento di un vantaggio costituito da una più rapida immissione sul circuito produttivo del materiale bituminoso, onde evitare un più costoso procedimento a tal fine.

Contro la decisione di condanna ha fatto ricorso la società, sostenendo innanzitutto che la procedura di caricamento mediante pala meccanica, lungi dall'essere prassi nota, era del tutto estemporanea e non poteva qualificarsi come modus operandi dell'impresa, come dimostrato peraltro dalla circostanza che i giudici di merito non avevano fornito alcuna significativa argomentazione sul punto. Ciò posto, il ricorso alla Corte di legittimità contestava la circostanza che nella sentenza impugnata non venisse in alcun modo argomentata la sussistenza dei requisiti dell'interesse o del vantaggio ai fini della configurabilità della responsabilità in capo alla società ricorrente, come dimostrato dalla circostanza che il caricamento mediante pala non costituisse una modalità nota, ed anzi la pala meccanica serviva per riempire il silos, non gli autocarri.

La questione

Sul tema della compatibilità fra reati colposi e responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001 degli enti collettivi, la sentenza non presenta profili di novità in quanto si ribadisce che la sussistenza dell'interesse dell'ente si deve accertare in relazione alla condotta colposa e non all'evento verificatosi, per cui l'interesse può essere correlato anche ai reati colposi d'evento, rapportando i due criteri indicati dall'art. 5 non all'evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del delitto, mentre l'evento andrebbe ascritto all'ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari (sul tema, dopo la decisione delle Sezioni Unite Thyssen, cfr. Cass., sez. IV, 19 marzo 2019, n. 15335; Cass., sez. IV, 21 marzo 2019, n. 28097; Cass., sez. V, 16 aprile 2018, n. 16713; Cass., sez., IV, 19 febbraio 2015, n. 18073; Cass., sez. IV, 16 luglio 2015, n. 31003, Italnastri S.p.A.; Cass., sez. V, 21 gennaio 2016, n. 2544; Cass., sez. IV, 20 luglio 2016, n. 31210. In ambito di merito, Trib. Trani, sez. dist. di Molfetta, 11 gennaio, in Corr. Merito, 2010, 410; Trib. Pinerolo, 23 settembre 2010, in www.rivista231.it; G.u.p. Trib. Novara, 1 ottobre 2010, in www.dirittopenalecontemporaneo.it): come detto in una decisione di merito, «non c'è dubbio che solo la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa nell'interesse o a vantaggio dell'ente – allo scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione – e che l'evento lesivo in sé considerato [è] semmai controproducente per l'ente», con la conseguenza che «il collegamento finalistico che fonda la responsabilità dell'ente [...] non deve necessariamente coinvolgere anche l'evento, quale elemento costitutivo del reato, giacché l'essenza del reato colposo è proprio il risultato non voluto» (giudice dell'udienza preliminare di Novara, citata).

A questa conclusione non può obiettarsi che – in questa prospettiva - gli eventi della morte o delle lesioni finirebbero con l'essere imputati automaticamente ed oggettivamente all'ente tutte le volte in cui si accerti un suo interesse o vantaggio in relazione alla condotta imprudente della persona fisica che li ha causalmente determinati. In proposito, va evidenziato come non sia sufficiente a radicare la responsabilità dell'ente collettivo la circostanza che lo stesso abbia ottenuto un vantaggio o perseguito un suo interesse a seguito della (o mediante la) commissione di uno dei fatti di reato di cui agli artt. 25 ss. d.lgs. n. 231 del 2001, dovendosi anche rinvenire una colpevolezza dell'ente medesimo – la cosiddetta colpa di organizzazione -, da individuare nell'incapacità della persona giuridica di darsi una organizzazione e di fornirsi degli strumenti necessari ad evitare che nell'ambito della propria attività imprenditoriale vengano poste in essere determinate tipologie di illeciti (SANTORIELLO, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società, in Riv. Resp. Amm. Enti, 1-2008, 161; ID., I requisiti dell'interesse e del vantaggio della società nell'ambito della responsabilità da reato dell'ente collettivo, ivi, 3-2008, 49; ID., Riflessioni sulla possibile responsabilità degli enti collettivi in presenza dei reati colposi, ivi, 4-2011, 71). Proprio il necessario ricorrere di questo deficit organizzativo in capo alla persona giuridica – quale presupposto necessario per la sua dichiarazione di responsabilità – consente di comprendere come sia possibile sostenere che la condotta criminosa del singolo amministratore, pur connotata da colpa e negligenza, possa dirsi comunque essere stata assunta nell'interesse dell'ente collettivo di appartenenza: infatti, pur non avendo l'ente interesse né alla lesione del lavoratore né alla violazione della regola cautelare il concreto esame della vicenda potrà comunque far emergere prospettive puntuali, di regola collegate alla organizzazione e/o all'andamento della produzione – ad esempio, un risparmio mediante il taglio dei costi connessi alla sicurezza o un maggior livello produttivo – delle quali si può dire che manifestino l'interesse della compagine organizzata a non evitare il reato (si veda sul punto SELVAGGI, L'interesse dell'ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, Napoli 2006).

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha riconosciuto la fondatezza delle censure difensive, riscontrando l'evidente carenza motivazionale in ordine alla consistenza probatoria dell'ipotesi - apoditticamente accreditata nella sentenza impugnata, ma confutata nel ricorso della società suddetta sulla scorta di numerosi richiami probatori - che presso la persona giuridica impostata si fosse univocamente instaurata una prassi contra legem, rispetto alla quale il datore di lavoro avrebbe dovuto attivarsi, posto che – come è noto – è su tale soggetto che grava l'obbligo di dominare ed evitare l'instaurarsi, presso i destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli.

Posto dunque che, secondo la Cassazione, non vi erano elementi per sostenere che la prassi adottata in occasione dell'infortunio fosse consolidata e quindi conosciuta o conoscibile dagli organi apicali dell'azienda, diventa illogico sostenere che tale prassi rispondesse al perseguimento di un interesse o vantaggio in capo all'impresa, che infatti è affrontato in modo assolutamente lacunoso dalla sentenza, che non argomenta in alcun modo in che cosa sarebbe esattamente consistito l'interesse o il vantaggio della società perseguito attraverso la condotta criminosa, se non con un sommario richiamo ad un non meglio precisato risparmio sui tempi di lavoro e sulle spese di smaltimento del bitume non conforme all'ordine.

Tale carente motivazione è in contrasto con la giurisprudenza in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, che come è noto ha dato delle definizioni assai precise di tali nozioni. In particolare, premesso che i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, la Cassazione afferma che ricorre l'interesse della società quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, mentre si riscontra un vantaggio per l'impresa qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (Sez. IV, n. 38363 del 23 maggio 2018, Consorzio Melinda, Rv. 274320). Nel caso in esame, secondo la Cassazione non ricorre né l'una né l'altra ipotesi, dovendosi, con particolare riguardo all'assunto della violazione sistematica di norme antinfortunistiche, richiamare la suddetta carenza motivazionale circa l'instaurarsi della prassi contra legem nelle modalità di carico del conglomerato bituminoso presso la società ricorrente.

Osservazioni

La sentenza della Cassazione ora in commento conferma l'attenzione che la Corte di legittimità dedica sempre più spesso al profilo attinente l'individuazione dell'interesse o del vantaggio che l'ente deve trarre dalla violazione della normativa in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro – confermando quanto asserito nella recente Cass., Sez. IV, c.c. 24 settembre 2019 (dep. 28 ottobre 2019), n. 43656, già oggetto di un nostro commento in questa sede.

La posizione su cui pare ormai attestarsi la giurisprudenza ci sembra pienamente da condividere. Sancita ormai, nonostante le già menzionate perplessità della dottrina, la compatibilità fra responsabilità delle società per illeciti colposi, la Cassazione delimita l'area di applicazione dell'art. 25-septies d.lg. n. 231 del 2001 pretendendo dai giudici di merito una argomentata dimostrazione della circostanza che dalla vicenda delittuosa, l'infortunio o il decesso del lavoratore, o meglio che dai presupposti di tale vicenda (e cioè dalla violazione della normativa antinfortunistica) la società abbia tratto un vantaggio o che l'inosservanza sia stata posta in essere nell'interesse dell'impresa.

Indubbiamente, è ben possibile rinvenire un profitto in presenza della violazione della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, come ad esempio si possa riscontrare un risparmio di spesa inerente l'ammodernamento e la messa a norma degli impianti e più in generale la mancata adozione delle doverose misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni e malattie professionali – dovendosi poi considerare, accanto a tale profilo, anche il beneficio pervenuto in capo alla società dalla prosecuzione dell'attività funzionale alla strategia aziendale ma non conforme ai canoni di sicurezza. Al contempo però non si può ritenere che, nell'ambito di illeciti colposi addebitabili ad un soggetto che riveste la qualifica di datore di lavoro in una società, possa qualificarsi quest'ultima come beneficiata dal reato ogni qualvolta e per il solo fatto che si sia in presenza di una mera ricaduta patrimoniale favorevole in capo alla persona giuridica, giacché questa impostazione finirebbe per comportare che “la verifica della sussistenza del criterio [del vantaggio darebbe] esiti positivi anche soltanto valorizzando fatti del tutto esteriori al reato, come se, nell'ottica dell'imputazione, il giudice dovesse ricostruire il presupposto di responsabilità chiedendosi ‘a chi giova il reato'?” (SELVAGGI, L'interezze, cit., 30). In particolare, secondo la Cassazione, andrebbe esclusa l'esistenza di un vantaggio o dell'interesse dell'ente quando il sinistro sia conseguenza (non di un prassi consolidata di inosservanza delle prescrizioni antifortunistiche, ma l'esito) di condotte isolate ed estemporanei di collaboratori dell'imprenditore.

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