Concordato preventivo: la tassazione delle plusvalenze ex art. 86, comma 5, del TUIR

03 Febbraio 2020

Con la risposta ad interpello del 31 ottobre 2019, n. 462, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della tassazione di componenti di reddito realizzati ex art. 86, comma 5, del TUIR. Si ricorda che tale disposizione sancisce che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.L'istanza è stata presentata da una società che, a seguito di una crisi del settore e del mancato sostegno finanziario da parte del ceto bancario, aveva presentato domanda di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 160 L. Fall. con l'obiettivo, da un lato, di tutelare il know how aziendale, la continuità d'impresa e preservare i posti di lavoro, e, dall'altro, di poter continuare ad operare nell'interesse dei creditori e nel superiore rispetto del principio della par condicio.
Il caso

Con la risposta ad interpello del 31 ottobre 2019, n. 462, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della tassazione di componenti di reddito realizzati ex art. 86, comma 5, del TUIR.

Si ricorda che tale disposizione sancisce che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.

L'istanza è stata presentata da una società che, a seguito di una crisi del settore e del mancato sostegno finanziario da parte del ceto bancario, aveva presentato domanda di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 160 della legge fallimentare con l'obiettivo, da un lato, di tutelare il know how aziendale, la continuità d'impresa e preservare i posti di lavoro, e, dall'altro, di poter continuare ad operare nell'interesse dei creditori e nel superiore rispetto del principio della par condicio.

Il piano di concordato proposto ai creditori consisteva nella prosecuzione in continuità diretta dell'attività aziendale e prevedeva, in estrema sintesi, di:

  • continuare l'attività tipica della gestione caratteristica in modo da generare flussi di cassa positivi in eccesso rispetto alle necessità finanziarie della gestione corrente, così da assicurare la miglior soddisfazione dei creditori concorsuali;
  • cedere a terzi gli immobili non strategici di proprietà della società.

È stato chiesto di conoscere se, con riferimento alla vendita di beni non funzionali alla prosecuzione dell'attività nell'ambito di un concordato preventivo con continuità aziendale, potesse tornare applicabile la disposizione di cui all'art. 86, comma 5, del TUIR.

L'interpretazione della norma

La norma in esame è stata oggetto di numerose interpretazioni in quanto non molto chiara, in particolare nella parte riguardante la formulazione di “cessione dei beni ai creditori…”.

Secondo la Corte di Cassazione, malgrado l'ambiguità della propria formulazione, la disposizione in commento non si applica esclusivamente alle cessioni di beni ai creditori, ma a tutti i trasferimenti a terzi dei cespiti, in esecuzione dell'omologata proposta di concordato preventivo.

Infatti, con alcune pronunce, la Suprema Corte ha dichiarato infondata la tesi secondo la quale la norma in questione riguarderebbe solo la "cessione dei beni ai creditori" e non potrebbe essere quindi invocata anche per le vendite dei beni ceduti, effettuate dal liquidatore al fine di ricavare i mezzi liquidi necessari per soddisfare i creditori. Al riguardo, viene osservato, che, se la norma fosse limitata alla cessione dei beni ai creditori, la stessa risulterebbe pressoché inutile, non essendosi mai dubitato che la cessione dei beni ai creditori non comporti la realizzazione di plusvalenze tassabili; ciò in quanto tale operazione, quale particolare modo di attuazione del concordato preventivo , non determina il trasferimento della proprietà dei beni ceduti, ma soltanto l'attribuzione, in favore degli organi della procedura concordataria in qualità di mandatari, della legittimazione a disporre dei beni ceduti e a provvedere alla loro liquidazione al fine di realizzare il soddisfacimento dei creditori nella misura indicata dalla proposta omologata (Cass. 11 dicembre 1993, n. 12216; 21 gennaio 1993, n. 709; 28 marzo 1985, n. 2187).

Dall'esame dei lavori preparatori (e, in particolare dal parere della Commissione dei Trenta sullo schema del T.U. art. 127) si ricava che l'obiettivo che si intendeva raggiungere con la disposizione in esame era proprio quello di ridurre l'onere "fiscale" delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria.
E questo conferma che, malgrado le ambiguità della sua formulazione, essa riguarda (non la cessione dei beni ai creditori, ma) il trasferimento a terzi dei beni ceduti effettuato in esecuzione della proposta di concordato ( così Corte di Cassazione del 4 giugno 1996 n. 5112, e 16 ottobre 2006 n. 22168).

Anche l'Agenzia delle Entrate si è adeguata a tale interpretazione, stabilendo che l'agevolazione tributaria concessa dalla predetta disposizione ha ad oggetto non solo la "cessione dei beni ai creditori", ma anche le vendite dei beni ceduti, effettuate (nei confronti di terzi) dal commissario giudiziale al fine di ricavare i mezzi liquidi necessari per soddisfare i creditori (Risoluzione Agenzia Entrate del primo marzo 2004 n. 29).

Con riguardo ad un concordato preventivo con prosecuzione indiretta dell'attività, la Corte di Cassazione (sentenza del 25 maggio 2018 n. 13122) ha stabilito che la ratio della norma va individuata nella volontà del legislatore di favorire l'adesione alla procedura concordataria, evitando la nascita di un debito d'imposta che, sebbene successivo alla procedura stessa, avrebbe dovuto gravare sulla medesima (e dunque, pregiudicare le ragioni dei creditori), nonche', sotto altro versante, nell'esigenza di impedire che, in capo a un soggetto che ha subito lo "spossessamento" dell'intero patrimonio, possa sorgere un'obbligazione relativa alle imposte reddituali, al cui pagamento quel soggetto non potrebbe adempiere, non disponendo di alcun mezzo per effetto del predetto spossessamento. Sarebbe evidente, però, che la realizzazione di operazioni difformi al contenuto del concordato frustrerebbe la ratio di incentivazione, per cui non basterebbe che esse siano state realizzate nel corso del concordato ma e' necessario che ne siano attuazione.

La risposta dell'Agenzia delle Entrate

Nella relativa istanza, la società ha evidenziato come i piani concordatari in continuità rispondano a un'esigenza opposta rispetto ai piani liquidatori, perché tendono a salvaguardare la continuazione dell'impresa e ad assegnare ai creditori concorsuali i flussi di cassa prodotti dalla gestione ordinaria del patrimonio aziendale nel suo complesso. Il pagamento dei crediti concorsuali è quindi garantito prevalentemente dai flussi di cassa e dagli utili futuri.
Inoltre, nei concordati eseguiti con modalità diverse da quelle della cessione integrale dei beni, come quello in oggetto, non si produce l'effetto dello spossessamento dei beni, che costituisce il presupposto dell'esclusione delle plusvalenze dall'imposizione prevista dall'articolo 86, comma 5, del TUIR. La disposizione normativa citata è finalizzata a ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria.
A seguito di tali considerazioni di parte contribuente, l'Agenzia delle Entrate ha accolto l'istanza, ricordando che l'intenzione del legislatore sarebbe quella di circoscrivere la non rilevanza delle plusvalenze e/o delle minusvalenze a un'ipotesi in cui "dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa".

A giustificazione di tale conclusione, l'Ufficio ricorda che le peculiari caratteristiche del concordato liquidatorio rispetto a quello di cd. risanamento comportano anche una tassazione differente, così come previsto dal comma 4-ter dell'art. 88 del TUIR, con il quale si dispone una differente misura della detassazione delle sopravvenienze attive, conseguenti alle riduzioni dei debiti dell'impresa, a seconda che trattasi di concordato preventivo liquidatorio o concordato di risanamento (deve ricordarsi che l'Amministrazione finanziaria in riposta all'interpello n. 85/2018 aveva sostenuto l'assimilazione della qualificazione “concordato di risanamento” a quella di concordato in continuità ex art. 186 bis L.F, mentre in risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-00047 del 20 settembre 2018, si era affermato che la predetta qualificazione si riferisse solo ai concordati in continuità diretta e non anche quella di cessione o conferimento d'azienda in esercizio, che dal punto di vista societario sono di fatto liquidazioni, addivenendosi alla cessione di tutti gli asset, anche sotto forma di azienda o rami d'azienda).

Al riguardo, viene ricordato che la relazione illustrativa al decreto legislativo che ha introdotto il nuovo comma 4-ter dell'articolo 88 del TUIR chiarisce che lo stesso "distingue tra procedure di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio (in cui la sopravvenienza attiva è del tutto detassata) e le procedure di concordato di risanamento, in cui non costituisce sopravvenienza attiva solo la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'articolo 84, senza considerare il limite dell'ottanta per cento, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell'articolo 96".
Pertanto viene concluso che, alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immobili non strategici all'esercizio dell'attività d'impresa nell'ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale, sono applicabili le regole generali di determinazione del reddito d'impresa, con la conseguenza che le stesse concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza.

In conclusione

Le conclusioni dell'Agenzia delle Entrate, secondo la quale la detassazione delle plusvalenze non dovrebbe essere applicata per ogni concordato preventivo che comporti la cessione di beni, anche sotto forma di rami o di rami d'azienda, non sono del tutto condivisibili. E questo per le seguenti ragioni:

  1. nel concordato con continuità aziendale o misto ex art. 186-bis l. fall. l'irrilevanza fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze dovrebbe riguardare sia la cessione dei beni non funzionali alla continuità (fattispecie indicata nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 186-bis l. fall.), sia la cessione o il conferimento di azienda in esercizio o di rami della stessa, quali ipotesi di continuità alternativa a quella tipica della continuità diretta in capo al debitore. Ciò anche in quanto lo stesso art. 86, comma 5, L.F. del TUIR, indicando come non tassabile la plusvalenza dell'avviamento, implicitamente ricomprende il trasferimento (sotto forma di cessione o di conferimento) di un'azienda (o di un ramo) in esercizio, entrambe fattispecie proprie del concordato in continuità di cui all'art. 186 bis L.F..
  2. la formulazione “cessione dei beni ai creditori” non si riferisce alla tipologia di piano ma a diverse modalità attuative di cessione dei beni, anche perché la norma è nata allorché si distinguevano soltanto il concordato con cessione dei beni e quello con garanzia. E l'art. 186 bis L.F. prevede modalità realizzative analoghe a quelle del concordato liquidatorio, sia di singoli beni che di aziende o rami d'azienda in esercizio. In tal senso ha avuto modo di esprimersi il Trib. di Roma, con sentenza n. 17 del 22/04/2015, in un caso di concordato in continuità diretta con ingresso di un nuovo socio a fronte di un aumento di capitale e cessione a terzi dell'immobile nel quale l'impresa veniva esercitata. A parere del giudice romano in tutti i casi in cui il piano di concordato, nonostante la prosecuzione dell'attività, preveda l'offerta ai creditori di alcuni beni non funzionali in vista di una loro cessione a terzi, la sua qualificazione (o sua riqualificazione da parte del Tribunale) è di concordato con cessione dei beni, ossia di messa a disposizione di uno o più beni in favore dei creditori perché venga liquidato con procedura competitiva, rendendo pertanto perfettamente compatibile, pur assumendo diverse funzioni sul piano economico-sociale, la disciplina dei due concordati (con cessione dei beni ai creditori e di continuità aziendale). Secondo il tribunale capitolino, ben può coesistere, pertanto, accanto alla società proponente il concordato che continua a condurre l'azienda, la figura di un liquidatore designato dal tribunale (in tal senso vedi anche decreto di omologa del Tribunale di Trieste del 08/10/2018), con il compito – ben definito e circoscritto – di procedere alla vendita dei beni il cui ricavato è stato messo a disposizione dei creditori, come anche di formare lo “stato passivo” e di ripartire quanto ricavato dalla vendita, unitamente anche a quanto ricavato aliunde (nel caso specifico le risorse provenienti dall'aumento di capitale);
  3. se la proposta concordataria fosse fondata sulla previsione della continuità (diretta) accompagnata a una parte liquidatoria, volta alla cessione di alcuni beni affidati ad un liquidatore giudiziale , non sarebbe irragionevole applicare l'articolo 86 del testo unico a tale ambito liquidatorio; diversamente potrebbe anche configurarsi il caso che si renda maggiormente conveniente un concordato liquidatorio rispetto ad un concordato in continuità, benché con cessione dei beni non funzionali, a dispetto della preferenza che il legislatore ha sempre voluto dare a quest'ultimo, anche al fine di salvare parte dei livelli occupazionali; infatti la tassazione della plusvalenza potrebbe essere tale da vanificare, in assenza di perdite fiscali scomputabili o non sufficienti, la convenienza del concordato in continuità andando a ridurre quelli che sono i flussi prodotti dalla continuità a favore del ceto creditorio.

Fatte queste considerazioni, è evidente che il considerare assoggettato, o meno, a tassazione un provento, spesso di importo rilevante, può determinare una significativa differenza nelle percentuali di soddisfacimento che possono (o si presume possano) essere riservate al ceto chirografario: l'assoggettamento a tassazione della plusvalenza derivante da una cessione di assets non strategici potrebbe generare, indirettamente, una uscita monetaria relativa ad imposte su di essa maturate, situazione che non può che erodere le risorse da destinare ai creditori concordatari.

Pertanto, vi sarebbe una violazione della ratio di tale norma, che è quella di “ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria” a favore del ceto creditorio.

Considerato che l'Agenzia delle Entrate ha fatto riferimento a quanto previsto dall'art 88 del TUIR, nei casi di proposte concordatarie che prevedano la continuità dell'azienda o di un ramo di essa in capo allo stesso debitore (c.d. continuità “diretta”) con cessione di beni non funzionali, si sarebbe potuto sostenere l'emersione di una tassazione limitata all'importo di eventuali perdite pregresse con esenzione della parte eccedente, così come previsto per le sopravvenienze attive. In tal modo si sarebbe potuto scongiurare “quell'indebito arricchimento” che teoricamente vi potrebbe essere qualora, in caso di esenzione totale dalla tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione di beni o rami d'azienda non funzionali in un concordato in continuità ex art 186 bis l.f., residuassero ancora perdite fiscali anche dopo la copertura delle sopravvenienze attive derivanti dalla remissione dei debiti e l'utilizzo a copertura di redditi imponibili generati dalla gestione durante il periodo di esecuzione.

Ovviamente nei casi di concordati con continuità “indiretta” che prevedono la cessione o il conferimento dell'azienda in esercizio (o di uno o più rami) ad un soggetto terzo e la liquidazione del residuo attivo, le plusvalenze, siano esse relative a singoli beni, rami aziendali o all'intera azienda, si ritengono comunque integralmente non tassabili, non essendoci in tali casi un rischio per l'erario di creare un indebito vantaggio al debitore proponente, stante il fatto che non vi sarà prosecuzione in capo allo stesso dell'attività, ma, al contrario, cancellazione della società al termine della liquidazione.

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