Il pignoramento esattoriale ex art. 72-bis d.P.R. n. 602/73: motivi di opposizione e soluzioni giurisprudenziali

04 Febbraio 2020

Il pignoramento disciplinato dall'art. 72-bis d.P.R. n. 602/73 è una forma speciale di pignoramento presso terzi, che può essere attivata unicamente dagli agenti della riscossione (quali, ad esempio, l'Agenzia delle Entrate – Riscossione), che consente ai predetti, quali creditori procedenti, di intimare direttamente al terzo pignorato il pagamento delle somme contenute nell'ingiunzione, senza che l'autorizzazione o l'ordine di pagamento provenga dal giudice dell'esecuzione.
Inquadramento

Il pignoramento disciplinato dall'art. 72-bis d.P.R. n. 602/73 è una forma speciale di pignoramento presso terzi, che può essere attivata unicamente dagli agenti della riscossione (quali, ad esempio, l'Agenzia delle Entrate – Riscossione), che consente ai predetti, quali creditori procedenti, di intimare direttamente al terzo pignorato il pagamento delle somme contenute nell'ingiunzione, senza che l'autorizzazione o l'ordine di pagamento provenga dal giudice dell'esecuzione.

Il cd. pignoramento diretto è infatti una forma di esecuzione di natura prettamente amministrativa, che provoca il vaglio giudiziale solo qualora il contribuente al quale è stato notificato l'atto di pignoramento, decida di presentare opposizione innanzi il giudice competente al fine di chiedere la sospensione dell'esecuzione (artt. 57 e 60 d.P.R. n. 602/73)

La Suprema Corte si è espressa in merito affermando che «In tema di procedura di riscossione coattiva a mezzo ruolo, il pignoramento presso terzi “esattoriale”, previsto dall'art. 72-bis del d.P.R. n. 602/1973, si svolge secondo un procedimento semplificato, interamente stragiudiziale, che inizia con la notificazione dell'ordine di pagamento diretto e si completa con il pagamento diretto da parte del terzo, sicchè non deve essere iscritto a ruolo, in quanto non transita mai davanti all'ufficio giudiziario, neppure per l'assegnazione delle somme, né può essere soggetto all'applicabilità dell'art. 159-ter disp. att. c.p.c., atteso che nessun interessato, neppure il debitore opponente, può sostituirsi al creditore per curare l'iscrizione a ruolo, essendo tale incombente semplicemente inesistente perché non previsto dalla legge» (Cass. civ., n. 26830/2017)

Qualora il giudice accordi la sospensione a seguito della presentazione di opposizione, il terzo pignorato al quale il debitore avrà avuto cura di notificare il provvedimento giudiziale di sospensione, non potrà versare le somme al creditore, ma dovrà unicamente accantonarle in attesa della definizione della controversia.

La richiesta di sospensione dell'esecuzione è presentata con lo strumento del ricorso in opposizione: il giudice, nell'esaminare la domanda, provvederà in prima battuta emettendo un decreto nel quale fisserà l'udienza di trattazione dell'opposizione, assegnerà il termine perentorio per la notifica del decreto e del ricorso all'opposta AER, e disporrà, qualora ne ricorrano i presupposti, la sospensione inaudita altera parte dell'esecuzione, riservando all'udienza di trattazione dell'opposizione la conferma, modifica o revoca del provvedimento sospensivo.

In evidenza

Il pignoramento diretto ex art. 72-bis d.P.R.n. 603/73 è uno strumento utilizzabile unicamente nel caso in cui il terzo pignorato non sia un istituto che eroga trattamenti pensionistici (art. 72-bis, comma 1), dovendo in tale ultimo caso il creditore Agenzia delle Entrate Riscossione ricorrere allo strumento dei pignoramento presso terzi ordinario previsto dal legislatore all'art. 543 c.p.c. L'utilizzo dello strumento del pignoramento ex art. 72-bisd.P.R.n. 602/73 qualora il terzo pignorato sia un ente che eroga trattamenti pensionistici dovrà infatti essere dichiarato inammissibile.

Diverse conclusioni si traggono viceversa qualora l'AER agisca per il recupero di crediti di natura pensionistica (es. crediti INPS inseriti nelle cartelle esattoriali oggetto del pignoramento), nel qual caso non vi è alcuna preclusione all'uso dello strumento del pignoramento speciale diretto.

La particolarità ulteriore del pignoramento speciale è prevista nel secondo comma dell'art. 72-bis (che richiama a sua volta l'art. 72, comma 2,d.P.R.n. 602/73): qualora il g.e. non sospenda l'esecuzione e il terzo non adempia all'ordine di pagamento al creditore o per inadempienza ovvero per incapienza (es. dichiarazione negativa), l'Agente della Riscossione dovrà procedere secondo le ordinarie norme del codice di procedura civile (art. 543 c.p.c.), con la conseguente sopravvenuta inefficacia dell'ordine di pagamento.

Le opposizioni ex artt. 615 c.p.c. e 617 c.p.c. Le modifiche dopo la sentenza della Consulta n. 114/2018

Avverso l'atto di pignoramento diretto è possibile presentare opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi.

Per analizzare compiutamente i motivi che sottendono alle opposizioni è necessario in primo luogo distinguere fra cartelle che hanno natura tributaria da cartelle di natura amministrative e/o previdenziale.

Quanto alle prime (cartelle di natura tributaria in quanto tali sono i crediti vantati dall'ente impositore e, per esso, riportati dall'Agente della riscossione nella cartella esattoriale) è ulteriormente necessario distinguere fra le eccezioni che costituiscono motivi di opposizione agli atti esecutivi ovvero motivi di opposizione all'esecuzione.

In particolare, è necessario distinguere fra le eccezioni che costituiscono motivi di opposizione agli atti esecutivi ovvero motivi di opposizione all'esecuzione.

A) Quanto alle eccezioni formulate ai sensi dell'art. 617 c.p.c. che attengono a vizi di notifica del titolo esecutivo ovvero del precetto, deve esser affermata la preclusione del GO a conoscere delle relative doglianze, in ossequio a quanto stabilito dall'art. 57, lett. b) d.P.R. 602/73 che ne stabilisce l'inammissibilità.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (si veda Cass. civ. civ., Sez. Un., n. 13913/2017) hanno in proposito precisato che «l'impugnazione di un atto dell'esecuzione forzata tributaria (come il pignoramento effettuato in base a crediti tributari) che il contribuente assume essere invalido perché non preceduto dalla notificazione integra una opposizione agli atti dell'esecuzione nella quale si fa valere una nullità derivata dell'atto espropriativo e che è devoluta alla cognizione del giudice tributario».

Pertanto, l'opposizione agli atti esecutivi avverso l'atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento, quale, ad esempio, l'avviso di intimazione ex art. 50 d.P.R. n. 602/73), è ammissibile, ma va proposta - ai sensi degli artt. 2, comma 1, e 19 d.lgs. n. 546/1992, dell'art. 57 d.P.R. n. 602/73 e dell'art. 617 c.p.c. - davanti al giudice tributario, risolvendosi nell'impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario (Cass. civ. 13913/2017).

B) Diverso a dirsi per quanto attiene a quei motivi che non attenendo ai predetti vizi di notifica ma alla regolarità formale degli atti della procedura di riscossione, rientrano nella competenza del giudice ordinario alla luce di quanto stabilito dalle Sezioni Unite n. 13913/2017 e 13916/2017 (ed in quanto fuoriescono dall'esclusione prevista dall'art. 57, lett. b) citato).

C) Quanto ai motivi di opposizione all'esecuzione, i confini relativi alla proponibilità nell'ambito della giurisdizione ordinaria dei motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c., originariamente delineati dall'art. 57, lett. b), d.P.R. n. 602/73, devono essere rivisitati alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 114/2018.

Invero, prima dell'intervento della Corte delle Leggi il decreto 602/73 regolava l'ammissibilità delle opposizioni all'art. 57 avverso cartelle emesse per crediti di natura tributaria stabilendo che «Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall'articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni».

Con la citata sentenza la Corte costituzionale ha decretato l'incostituzionalità della norma nella parte in cui non prevede che nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 del codice di procedura civile.

È allora necessario verificare quale sia l'esatta incidenza della sentenza della Corte Costituzionale sulle ipotesi di pignoramento esattoriale che cade su cartelle emesse per crediti di natura tributaria.

È allora necessario distinguere fra:

a) le cause estintive o modificative della pretesa tributaria che sono sorte prima – ovvero in costanza – della notifica della cartella o dell'avviso di intimazione ex art. 50 d.P.R.n. 602/73, per le quali gli artt. 2 e 19 d.lgs. n. 546/1992 stabiliscono la competenza del Giudice tributario ed un termine perentorio (di 60 giorni) per l'impugnazione dell'atto (cartella o avviso di intimazione) avanti la CTP;

b) le cause estintive o modificative sorte dopo il termine indicato, per le quali la Corte costituzionale stabilisce la competenza del Giudice dell'Esecuzione.

Successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 114/2018 il riparto di competenze deve essere così delineato: i motivi che denunciano un'inesistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata che sorgono dopo la notifica delle cartelle ovvero dopo la notifica dell'avviso di intimazione (ad esempio la prescrizione), devono esser valutati dal g.e., mentre quelli che emergono in un momento precedente sono di competenza del Giudice tributario.

Per quanto attiene alle cartelle di natura amministrativa e previdenziale, la competenza sarà certamente attribuita al giudice ordinario, il quale sarà chiamato ad accertare la fondatezza dei motivi di opposizione (risultando infatti tali cartelle non interessate dalle inammissibilità di cui all'art. 57 citato, così come modificato dalla Corte costituzionale).

I motivi di opposizione agli atti esecutivi. I vizi di notifica dell'atto di pignoramento ed il formato “.p7m”

La tematica della notifica dell'atto di pignoramento trova una disciplina all'art. 49, comma 2, del d.P.R. n. 602/1973, dove è previsto che «Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili; gli atti relativi a tale procedimento sono notificati con le modalità previste dall'articolo 26».

L'art. 72-bis del d.P.R. n. 602/1973 non sembra contenere una deroga espressa alla norma processuale ordinaria che impone di notificare l'atto di pignoramento presso terzi anche al debitore, né l'applicazione di detta norma appare incompatibile con la speciale previsione contenuta all'art. 72-bis.

È necessario sottolineare allora che in difetto di notifica dell'atto di pignoramento al debitore non si verifica l'effetto proprio del pignoramento, ossia di vincolare i beni o i crediti pignorati alla soddisfazione del credito vantato dal procedente in quanto manca l'elemento essenziale dell'ingiunzione al debitore ex art. 492 c.p.c.

A ciò si aggiunga che la necessità che l'esecutato abbia conoscenza dell'inizio dell'esecuzione forzata promossa nei suoi confronti costituisce il presupposto affinché egli possa esercitare il diritto di difesa e sollevare le contestazioni consentite.

Consegue da ciò che il pignoramento deve essere necessariamente notificato al debitore esecutato.

Analizzando quindi le modalità di notifica ed in particolare l'art. 26 sopra citato, emerge che:

a) La notifica può essere curata direttamente dal concessionario. Qualora non sia possibile consegnare il plico da notificare direttamente al destinatario, il concessionario potrà procedere mediante invio diretto di una raccomandata con avviso di ricevimento.

In tal caso trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della l. n. 890 del 1982 in quanto tale forma "semplificata" di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall'agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (Cass. civ., n. 28872/2018).

b) Fra le ipotesi di notifica previste dal primo comma dell'art. 26 (notifica perfezionatasi mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento), qualora la cartella venga notificata in plico chiuso e l'avviso di ricevimento venga sottoscritto dal portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda, è stata sollevata la problematica inerente la possibilità o meno che la notifica si consideri avvenuta nella data indicata nell'avviso di ricevimento, senza che la successiva relata fosse ritenuta necessaria ai fini del perfezionamento della notifica.

In proposito nella giurisprudenza si sono registrati, da ultimo, contrasti di vedute:

NOTIFICA CON RACCOMANDATA A/R RICEVUTA DAL PORTIERE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Non necessarietà della ricevuta di ritorno

Cass. civ., sez. V-VI, 24 luglio 2014, n. 16949

Applicazione della legge speciale in materia di notifica

Cass. civ., sez. VI-V, 13 giugno 2016, n. 12083

Illegittimità costituzionale della norma

Com. Reg. Imp. Campania, ord. 1.10.2018 (G.U. n. 19 del 8/5/2018) per cui l'art. 26, comma 1, d.P.R. 602/73 è illegittimo nella parte in cui esclude l'applicazione della L. 890/1982, in particolare per la fase della consegna (ossia esclude la necessità della successiva relata ai fini del perfezionamento della notifica)

Analizzando la giurisprudenza, anche risalente nel tempo, in tema di disposizioni di legge applicabili all'ipotesi di notifica curata dal messo e recapitata al portiere dello stabile, emerge che la Suprema Corte ha pressoché uniformemente previsto che la notificazione possa essere eseguita anche mediante invio, da parte dell'agente per la riscossione, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, senza necessità di redigere un'apposita relata di notifica nel caso in cui l'avviso di ricevimento sia sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario ex art. 139, comma 4, c.p.c. (nella specie, il portiere).

In tale ultimo caso, infatti, si è affermato che la notifica si ha per avvenuta alla data indicata nell'avviso di ricevimento sottoscritto dal consegnatario (Cass. civ., n. 16949/2014, cfr. Cass. civ., n. 12083/2016).

Di sentire opposto la citata ordinanza della Commissione Tributaria della Regione Campania, la quale ha evidenziato che l'art. 26, comma 1, costituirebbe un illegittimo privilegio a favore dell'Agente per la Riscossione nella parte in cui consente la notifica senza le garanzie nella fase di consegna del plico previste dalla l. n. 890/1982 per le notificazioni a mezzo posta effettuate dall'Ufficiale Giudiziario, dal messo comunale o speciale.

Con l'ordinanza in parola la CTP ha promosso pertanto questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, comma 1, d.P.R. 602/73, attualmente ancora pendente.

c) Altra ipotesi particolare di notifica è quella perfezionatasi a mezzo PEC. Specificamente prevista dal legislatore all'art. 26, comma 2 come modalità alternativa alla notifica ordinaria a mezzo posta o messo notificatore, prevede l'applicazione delle disposizioni dell'art. 60 d.P.R. n. 600/73. L'atto da notificare deve essere inviato:

  • all'indirizzo del destinatario risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC);
  • per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell'INI-PEC, all'indirizzo dichiarato all'atto della richiesta.

d) Fra le ipotesi di notifica degli atti curati dall'agente della riscossione, è emersa da ultimo la problematica riguardante la correttezza della notifica degli atti privi del formato “.p7m”.

La questione è stata sottoposta alle Sezioni Unite della Cassazione in quanto era emerso un contrasto in ordine alla possibilità di ritenere l'estensione “.p7m” quale unica forma idonea a garantire l'autenticità del file: in sostanza si riteneva che solo con il detto formato venisse asseverata l'apposizione della firma digitale al file in cui il documento informatico originale era stato formato.

La spiegazione che veniva offerta era che con l'imposizione dell'elaborazione del file in documento informatico con estensione “.p7m” il normatore tecnico avesse inteso offrire la massima garanzia possibile, allo stato, di conformità del documento, non creato ab origine in formato informatico, ma articolato anche su di una parte o componente istituzionalmente non informatica, incorporando i due documenti in modo inscindibile.

Le Sezioni Unite con la sentenza n. 10266/2018 hanno approfonditamente esaminato la tematica, anche in punto di normazione europea, stabilendo che:

  • secondo il diritto dell'UE, le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature, che qui interessano, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna;
  • al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell'UE, sono stati adottati degli standards europei mediante il cd. regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services, ovverosia il Reg. UE, n. 910/2014, cit.) e la consequenziale decisione esecutiva (Comm. UE, 2015/1506, cit.), che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES (Cons. Stato, Sez. 3, 27/11/2017, n. 5504);
  • l'Agenzia per l'Italia Digitale (Presidenza del Consiglio dei Ministri) certifica la piena equivalenza, riconosciuta a livello europeo, delle firme digitali nei formati CAdES e PAdES.

Pertanto, nel processo telematico, in conformità alle disposizioni tecniche previste dal Regolamento UE n. 910/2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506/2015, le firme digitali di tipo "CAdES" e di tipo "PAdES" sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni ".p7m" e ".pdf", in quanto il certificato di firma, inserito nella busta crittografica, è presente in entrambi gli standards, parimenti abilitati (Cass. civ., Sez. Un., n. 10266/2018, cfr. Cass. civ., n. 30927/2018).

Segue. La mancata notifica delle cartelle esattoriali, l'omessa indicazione delle ragioni di credito nell'atto di pignoramento (carenza di motivazione) e il disconoscimento delle copie prodotte dall'AER

Come sopra visto (par. 2), l'omessa notifica delle cartelle esattoriali può essere eccepita – e decisa – dal GO come motivo di opposizione agli atti esecutivi unicamente nel caso in cui le cartelle abbiano ad oggetto crediti di natura amministrativa (ad es. Verbali di Accertamento Violazioni, cd. V.A.V.), nonché crediti di altra natura (es. INPS o INAIL).

In questi casi, infatti, la valutazione preliminare atterrà unicamente alla tempestività della spiegata opposizione, che se non depositata nei venti giorni di legge (art. 617 c.p.c.), verrà dichiarata inammissibile.

Qualora nell'ambito dell'opposizione agli atti esecutivi il debitore abbia disconosciuto le copie degli atti prodromici al pignoramento (cartelle e avvisi di intimazione), depositate in giudizio dall'agente per la riscossione, nonché le notifiche da quest'ultimo curate e relative ai predetti atti prodromici), sarà necessario prendere in considerazione quanto univocamente stabilito dalla giurisprudenza della Suprema Corte in tema di necessaria contestazione specifica della conformità all'originale di singoli atti e del relativo contenuto: l'onere del disconoscimento ex art. 2719 c.c. della conformità tra l'originale di un documento e la fotocopia prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va infatti assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, dalla quale sia dato desumere che l'eccipiente abbia negato la genuinità della copia in questione, al riguardo non essendo sufficienti generiche o omnicomprensive contestazioni, ancorchè riferibili a tale produzione (v., ex multis, Cass. civ., n. 5461/96, Cass. civ., n. 15856/04, Cass. civ., n. 16232/04, Cass. civ., n. 10912/03).

Qualora l'opponente abbia viceversa meramente disconosciuto le copie dei predetti atti, anche facendo riserva di precisare meglio in un secondo momento o comunque di integrare la contestazione già effettuata, la doglianza non potrà essere accolta in quanto la mancanza di un'effettiva e puntuale contestazione in merito costituisce unicamente un'apodittica contestazione, l'enunciazione di una mera formula di stile, con la conseguenza che le contestazioni dell'opponente non potranno che esser valutate in termini di genericità, come doglianze preclusivamente omnicomprensive (si veda in proposito Cass. civ., n. 10326/14).

Nell'ambito delle possibili eccezioni avanzate ai sensi dell'art. 617 c.p.c., la doglianza relativa alla mancata indicazione delle ragioni di credito nell'atto di pignoramento (ossia qual è la natura dei crediti per i quali l'AER agisce in sede esecutiva che si risolve, in sostanza, nella lamentata carenza di motivazione dell'atto di pignoramento) si ricollega, necessariamente, alla notifica degli atti presupposti al pignoramento (cartelle esattoriali e avvisi di intimazione ex art. 50 d.P.R. n. 602/73), nei quali vengono specificamente riportate le indicazioni analitiche delle voci di credito, con le somme maturate, l'anno della commessa violazione, nonché la natura del tributo richiesto.

Contrariamente ai predetti atti, il pignoramento notificato ex art. 72-bisd.P.R.n. 602/73 si limita a richiamare per relationem le cartelle precedentemente notificate, riportando il numero della cartella, la data della sua notifica e dell'eventuale data di notifica dell'avviso di intimazione.

Discende da ciò, pertanto, che la lamentata carenza di motivazione dell'atto esecutivo risulta fondata soltanto qualora l'atto presupposto, richiamato per relationem quanto all'identificazione del credito, non sia stato previamente notificato al contribuente.

La stessa Suprema Corte ha inoltre precisato che «La cartella esattoriale che rinvii ad altro atto costituente il presupposto dell'imposizione, senza indicarne gli estremi in modo esatto, può essere dichiarata nulla solo ove il contribuente dimostri che tale difetto di motivazione abbia pregiudicato il proprio diritto di difesa e non anche quando la limitazione di detto diritto debba ritenersi esclusa in virtù della puntuale contestazione, in sede di impugnazione della cartella, dei presupposti dell'imposizione» (Cass. civ., n. 18224/2018).

Segue. La mancata notifica dell'avviso di intimazione e degli atti presupposti (VAV)

La procedura di pignoramento esattoriale prevede la notifica di un avviso di intimazione ex art. 50 d.P.R. n. 602/73 (cd. AVI).

L'avviso in parola è un atto intermedio, che deve essere notificato successivamente alla cartella e prima dell'atto di pignoramento qualora fra la notifica delle cartelle e la notifica del pignoramento sia trascorso più di un anno.

L'avviso di intimazione può essere assimilato ad un precetto in rinnovazione ed è autonomamente impugnabile dal contribuente in quanto riporta analiticamente i contenuti delle precedenti cartelle di pagamento, intimando il pagamento delle somme ivi riportate, oltre gli oneri di riscossione.

Qualora l'AVI venga impugnato, varranno le medesime considerazioni sopra svolte in merito all'eccepito vizio di mancata notifica delle cartelle: se l'avviso di intimazione cade su crediti di natura tributaria ricorreranno le preclusioni stabilite dalle due sentenze gemelle della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. Un., n. 13913/2017 e Cass. civ., Sez. Un., n. 13916/2017) in relazione all'inammissibilità delle opposizioni agli atti esecutivi che cadono sulla regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, sulle quali è competente il giudice tributario.

Quanto viceversa a cartelle con crediti di natura diversa (amministrativa e contributiva), le tempistiche della proposizione sono sempre quelle indicate all'art. 617 c.p.c. con alcune particolarità tipiche delle procedure esattoriali:

  • l'avviso di accertamento ha un contenuto vincolato poichè deve essere redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero dell'Economia. Non è quindi richiesta una specifica motivazione sottesa all'atto, ma è sufficiente che la motivazione faccia riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata (Cass. civ., n. 28689/2018);
  • qualora sia stato notificato l'avviso di accertamento e questo non sia stato impugnato, non sarà più possibile far valere vizi propri dell'atto stesso con l'impugnazione del pignoramento e l'accertamento ivi contenuto diviene definitivo (si veda in proposito Cass. civ., n. 4614/2018, che evidenzia che il contribuente che voglia contestare una pretesa ritenuta illegittima ha l'onere di proporre tempestivamente il ricorso, determinandosi in difetto la definitività dell'accertamento e l'impossibilità - in virtù dell'art. 19 d.lgs. n. 546/1992 - di far valere nel giudizio instaurato avverso le cartelle di pagamento vizi propri dell'atto presupposto).

Lo stesso sistema di preclusioni matura nel caso in cui venga impugnata la cartella, ma si facciano valere vizi propri dell'atto a questa presupposto, ad es. il V.A.V.: se risulta provata la regolare notifica delle cartelle esattoriali, la doglianza relativa alla mancata notifica dei verbali dovrà infatti essere dichiarata inammissibile.

La Cassazione, nell'esaminare le possibili impugnazioni avverso sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada ha infatti affermato che colui al quale è stata notificata una cartella di pagamento o un avviso di mora per riscuotere sanzioni amministrative pecuniarie, in rapporto agli artt. 27 l. n. 689/81 e 206 del codice della strada può proporre «l'opposizione a sanzioni amministrative ex art. 23 l. n. 689/81, nei casi in cui la cartella esattoriale, mediante preventiva iscrizione al ruolo, è emessa senza essere preceduta dalla notifica dell'ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione del codice della strada, onde consentire all'interessato di "recuperare" l'esercizio del mezzo di tutela previsto appunto da detta legge riguardo agli atti sanzionatori; ciò avviene, in particolare, allorché l'opponente contesti il contenuto del verbale che è da lui conosciuto per la prima volta al momento della notifica della cartella»(Cass. civ., n. 15149/2005, cfr. Cass. civ., n. 16997/2006 e Cass. civ., n. 6170/2007).

Ciò nonostante «il ricorso deve essere proposto nel termine di trenta giorni dalla notifica della cartella (Cass. civ., n. 12545/03; Cass. civ., n. 18123/03; Cass. civ., n. 4194/04; Cass. civ., n. 8695/04; Cass. civ., n. 18730/04) determinandosi altrimenti la decadenza dal potere di impugnare» (Cass. civ., n. 9180/2006).

In evidenza

Nell'ipotesi di opposizione a cartella esattoriale, ove ne sia accertata la nullità della notifica, il momento di garanzia può essere recuperato utilizzando il primo atto idoneo a porre il soggetto interessato in grado di esercitare validamente il proprio diritto di difesa, rispetto al quale andrà verificata la tempestività dell'opposizione, con la conformazione della disciplina applicabile a quella dettata per l'azione recuperata (Cass. civ., n. 24506/2016, così statuendo in presenza di una notifica insanabilmente nulla perché recante una "relata in bianco", individuando il primo atto utile nella successiva intimazione di pagamento).

La tutela cd. “recuperatoria” è quindi ammissibile unicamente nel caso in cui l'impugnazione sia proposta nei termini di legge decorrenti dall'accertata regolare notifica della cartella esattoriale.

Segue. La mancata indicazione del responsabile del procedimento e l'omessa indicazione del criterio di calcolo degli interessi.

Il motivo di opposizione agli atti esecutivi consistente nella mancata indicazione del responsabile del procedimento viene risolto dalla Giurisprudenza di legittimità evidenziando che:

  • se la cartella non riporta il nominativo del responsabile del procedimento si verifica un vizio che pur previsto dalla legge (all'art. 7, comma 2, lett. a) della legge 27 luglio 2000, n. 212, non viene sanzionato;
  • la mancanza di sanzione comporta che il vizio non possa esser sussunto né nella categoria della nullità, né dell'annullabilità;
  • la violazione della norma citata non incide sui diritti costituzionali del contribuente. Trova pertanto applicazione l'art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, prevede la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, come nel caso di cartella esattoriale, il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cass. civ., n. 332/2016, cfr. Cass. civ., n. 4516/2012).

Fra i vizi riconducibili ai motivi di opposizione agli atti esecutivi viene annoverato il vizio di mancata indicazione della base di calcolo degli interessi riportati nelle cartelle di pagamento e dei quali si intima il pagamento.

La doglianza in parola si ricollega necessariamentealla natura della cartella di pagamento che non essendo un atto impositivo, ma un atto dell'Agente della riscossione, è predisposta secondo un modello approvato con decreto del Ministero delle finanze ai sensi dell'art. 25, comma secondo, del d.P.R. n. 602/73.

L'emissione della cartella di pagamento presuppone:

  • l'iscrizione a ruolo del credito con i relativi interessi, che sono applicati dall'ente impositore;
  • l'indicazione dei riferimenti normativi per il calcolo degli interessi di mora, dovuti all'Agente della Riscossione dopo la notificazione della cartella, in ossequio al modello ministeriale imposto per la redazione della cartella esattoriale.

Gli interessi di mora sono dovuti per legge sulle somme iscritte a ruolo (esclusi interessi e sanzioni per i ruoli consegnati dopo il 25 luglio 2011), qualora - come indicato nelle cartelle di pagamento, secondo il modello approvato - il pagamento non sia effettuato entro sessanta giorni dalla notificazione della cartella.

Il tasso di interesse applicato è definito ai sensi dell'art. 30 del d.P.R. n. 602/73, mediante «decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi».

La data di decorrenza degli interessi è fissata dallo stesso articolo alla data di notifica della cartella e gli interessi sono dovuti fino alla data del pagamento.

Questo contenuto, operato mediante il rinvio all'art. 30 del d.P.R. n. 602/73 che detta i criteri di calcolo degli interessi di mora, costituisce una motivazione sufficientemente chiara dell'atto dell'Agente della Riscossione, poiché richiama atti normativi (legge e decreto ministeriale) conoscibili dal destinatario della cartella di pagamento, anche quanto all'aliquota applicabile (Cass. civ., n. 4376/2017).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario