I contratti del condominio come consumatore finale

Patrizia Petrelli
05 Febbraio 2020

L'art. 3, comma 1, lett. a), del Codice del consumo, nel riferire la nozione di consumatore alla sola persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, ha posto il problema se lo status giuridico di consumatore possa essere esteso anche al condominio. La risoluzione della questione è di vitale importanza, perché solo considerando il condominio come consumatore lo stesso potrà beneficiare della disciplina consumeristica di favore, in particolare in presenza di clausole vessatorie che possono essere contenute sia nei contratti di fornitura di beni e servizi sottoscritti dall'amministratore che nel regolamento di condominio contrattuale.
Il quadro normativo

La definizione di consumatore è contenuta nel Codice del consumo, il cui art. 3, comma 1, lett. a), nell'attuale formulazione, definisce il consumatore o utente (termini usati come sinonimi anche se la nozione di consumatore identifica maggiormente colui che acquista dei beni, laddove la nozione di utente è più idonea a identificare l'utilizzatore di servizi) come la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

Alla nozione di consumatore si oppone quella di professionista, contenuta sempre nell'art. 3, comma 1, lett. c) secondo cui professionista è la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.

In base alla lettera della legge il consumatore è necessariamente una persona fisica; già di per sé sono escluse da tale definizione tutte le persone giuridiche, anche quelle che non hanno scopo di lucro, come le associazioni nonché gli enti, con o senza personalità giuridica.

La nozione di consumatore nella disciplina consumeristica

La nozione di consumatore è prevista nella direttiva n. 93/13/CEE del 5 aprile 1993, il cui art. 2, lett. b) individua quale consumatore “qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale” vale a dire la persona fisica che stipula contratti al di fuori della propria attività economica.

Occorre in via preliminare evidenziare che, con l'introduzione di alcune discipline di matrice comunitaria, le qualità soggettive delle parti contraenti, un tempo irrilevanti ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile al contratto, sono adesso divenute importanti e ad esse si fa riferimento per determinare lo statuto normativo del contratto, statuto del contratto che, quando ad essere coinvolto nella vicenda contrattuale è un consumatore, è caratterizzato da una particolare torsione della disciplina stessa volta ad accordargli protezione.

Da qui deriva l'indubbia rilevanza delle nozioni, tra loro speculari, di professionista e consumatore.

Queste definizioni sono necessarie per comprendere se un determinato rapporto contrattuale possa essere regolato dal codice del consumo, ossia da quella normativa che tutela, sotto vari aspetti, il consumatore quale parte debole del rapporto.

La nozione di consumatore, un tempo nota soltanto al linguaggio economico ma divenuta ormai parte del linguaggio giuridico, era contenuta nella l. 6 febbraio 1996 n. 52, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 1469-bisss. in tema di clausole abusive nei contratti dei consumatori, che prevedeva una prima definizione di “consumatore”.

Tale nozione è attualmente contemplata nel Codice del consumo, nel quale sono confluite le disposizioni contenute negli artt. 1469-bis ss. c.c.

Più esattamente l'art. 3 Cod. cons. (nell'attuale versione dopo l'intervento del d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221), nel definire il consumatore, affiancando ad esso l'utente, come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, ha modificato il testo previgente, con il quale il legislatore riprendeva, senza apportarvi alcuna modifica, il testo dell'art. 1469-bis, comma 2, c.c. (successivamente ribadito dall'art. 3 della l. 30 luglio 1998, n. 281) il quale nel definire “consumatori e utenti: le persone fisiche che acquistino o utilizzino beni o servizi per scopi non riferibili all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, ha previsto accanto all'attività imprenditoriale e professionale anche quella commerciale e artigianale.

Il legislatore italiano, nel recepire con la l. n. 52/1996 la direttiva del 1993 ha accolto alla lettera la definizione comunitaria di consumatore, rispetto ad altri ordinamenti nazionali che hanno, invece, adottato una nozione più ampia di consumatore.

La spiegazione risiede nel fatto che la direttiva 93/13 è tecnicamente una direttiva ad armonizzazione minima.

Quando il legislatore dell'Unione europea pone un livello minimo di tutela vincolante per tutti i legislatori nazionali, ferma restando la possibilità per i singoli stati di offrire una tutela maggiore, viene a determinarsi una situazione per la quale la disciplina contenuta nella direttiva è inderogabile in peius (i singoli Stati non possono dettare una disciplina peggiorativa rispetto a quella contenuta nella direttiva) ma che è derogabile in melius (gli stati possono accordare una tutela maggiore).

Il legislatore italiano avrebbe ben potuto estendere la tutela del consumatore alla persona giuridica, posto che la direttiva del 1993 imponeva una tutela minima che avrebbe potuto essere ampliata.

La definizione di consumatore o utente prevista nell'art. 3 Cod. cons., si caratterizza per due aspetti: uno, di carattere “limitativo”, in virtù del quale il consumatore può essere, almeno stando alla portata letterale della norma, la sola persona fisica; l'altro, di carattere “negativo”, che attribuisce lo status giuridico di consumatore soltanto alla persona fisica che agisca per far fronte a fabbisogni propri o della propria famiglia, estranei alla attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, eventualmente svolta (in questi termini, Graziuso).

Questa definizione ristretta alle sole persone fisiche ha portato a un accesso dibattito dottrinale volto ad estendere la disciplina di protezione anche a quei soggetti che non rientrano nella categoria di consumatore ma che, per la loro particolare posizione di debolezza, devono ritenersi meritevoli di tutela.

Si è osservato che la contrattazione asimmetrica può coinvolgere anche enti: ad esempio, l'associazione di volontariato che acquista beni per la propria sede viene a trovarsi in una situazione simile a quella del consumatore persona fisica, così come l'asimmetria contrattuale che caratterizza i contratti stipulati tra professionista e consumatore potrebbe essere propria anche di altri tipi di contratti.

Il livello delle critiche fu tale che venne sollevata la questione davanti alla Corte Costituzionale per ben due volte.

Nella prima decisione, la Corte Costituzionale (Corte Cost., 30 giugno 1999, n. 282) ritenne inammissibile la questione statuendo che “è manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1469-bis c.c., nella parte in cui definisce consumatore solo la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta e non anche la persona fisica che agisce per scopi imprenditoriali o professionali e quella giuridica, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 Cost.”.

Nella seconda pronuncia, la Corte Costituzionale (Corte Cost., 22 novembre 2002, n. 469)ha ritenuto legittima l'esclusione delle persone giuridiche dall'ambito di applicazione delle tutele consumeristiche.

La censura di incostituzionalità era stata sollevata con riferimento all'art. 1469-bis, comma 2, c.c. in relazione agli artt. 3, 25 e 41 Cost. e riguardava, in particolare, l'esclusione dalla tutela consumeristica di talune persone giuridiche che tendenzialmente agiscono con le caratteristiche di “debolezza” tipiche del consumatore, come le fondazioni e le società senza scopi di lucro.

La Corte Costituzionale ha osservato che, quando una direttiva comunitaria consente allo stato nazionale di operare una scelta discrezionale tra recepire in modo fedele o ampliare la tutela imposta da una direttiva, si è in presenza di una scelta politica non sindacabile sul versante costituzionale.

Tale scelta sarebbe censurabile solo se risultasse ingiustificata sul piano della disparità di trattamento.

La Corte Costituzionale, dopo aver rilevato che “nella normativa di numerosi paesi membri dell'Unione europea la definizione di consumatore è ristretta alle sole persone fisiche che agiscono per scopi non professionali”, ha, altresì, affermato che “la preferenza nell'accordare particolare protezione a coloro che agiscono in modo occasionale, saltuario e non professionale si dimostra non irragionevole allorché si consideri che la finalità della norma è proprio quella di tutelare i soggetti che secondo l'id quod plerumque accidit sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare; onde la logica conseguenza dell'esclusione dalla disciplina in esame di categorie di soggetti - quali quelle dei professionisti, dei piccoli imprenditori, degli artigiani - che, proprio per l'attività abitualmente svolta, hanno cognizioni idonee per contrattare su un piano di parità”.

Anche la Corte di Giustizia (Corte Giustizia, 22 novembre 2001, cause riunite C541/99 e C 542/99) con riferimento a due contratti conclusi da imprenditori (uno dei quali avente forma di società in nome collettivo e l'altro di società a responsabilità limitata) ha affermato che “la nozione di consumatore come definita dall'art. 2, lett. b), della direttiva deve essere interpretata nel senso che si riferisce esclusivamente alle persone fisiche”.

Analogamente la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2002, n. 14561; Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2007, n. 13377) ha assunto una interpretazione letterale della norma circoscrivendo lo status giuridico di consumatore alle sole persone fisiche.

Pertanto, la nozione letterale di consumatore contenuta nel Codice del consumo sembra escludere abbastanza chiaramente la possibilità di estendere la tutela a soggetti che persone fisiche non sono, quali le persone giuridiche e gli enti, con o senza personalità giuridica. Ne deriva che, allo stato, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della ;tutela forte di cui alla disciplina consumeristica, non vi sono dubbi che la qualifica di consumatore spetti esclusivamente alle persone fisiche e che la stessa persona fisica che svolge attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice consumatore soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività (v., tra le tante, Corte Giust., 3 settembre 2015, C-110/14; e, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 31004 che ha esteso la tutela del consumatore anche all'imprenditore, laddove con il contratto abbia inteso soddisfare esigenze della sua vita quotidiana, personale o familiare estranea all'esercizio della sua attività).

Il condominio e il Codice del consumo

In tale contesto, si è aperto il dibattito in ordine al quesito se il condominio possa essere considerato un consumatore in considerazione della circostanza che in ambito condominiale spesso si riscontra la presenza di clausole vessatorie contenute sia nei contratti di fornitura di beni e servizi sottoscritti dall'amministratore che nel regolamento di condominio contrattuale.

Ai contratti conclusi dall'amministratore di condominio si applica il Codice del consumo? C'è diritto di recesso, riserva di foro del consumatore, garanzia per due anni, diritto di ripensamento, tutela dalle clausole vessatorie?

La giurisprudenza, in particolare quella della Corte di Cassazione, negli ultimi anni si è spesso imbattuta nella necessità di qualificare come consumatore il condominio di fronte al problema della qualificazione soggettiva dello stesso.

Il caso è il seguente: l'amministratore di condominio stipula, in nome e per conto del condominio, un contratto (esempio: polizza di assicurazione del fabbricato oppure un contratto per la manutenzione dell'ascensore); in questi casi trova applicazione la disciplina del codice del consumo, dato che tale disciplina identifica il consumatore solo nella persona fisica?

Al fine di fornire una risposta al quesito in parola, occorre, anzitutto, definire la natura giuridica del condominio.

Come è noto, manca nel codice civile una definizione di condominio; la riforma del condominio(l. 11 dicembre 2012, n. 220) non ha qualificato il condominio come persona giuridica o come soggetto di diritto.

La giurisprudenza ha definito il condominio: a) un ente di gestione, sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 9 giugno2000 n. 7891; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2012,n. 12911; Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2017, n. 4436; Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2017, n. 26557; Cass.civ, sez. un.,18 aprile 2019, n. 10934); b) un centro d'imputazione d'interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. civ.,sez. III, 19 marzo 2009, n. 6665); c) una organizzazione pluralistica (Cass. civ, sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148).

In tutte le definizioni accolte, si è escluso che il condominio abbia una soggettività giuridica distinta da quella dei singoli condomini; viene, infatti, definito un ente di gestione e l'amministratore un mandatario con rappresentanza.

In questo panorama, è da ritenersi isolata la posizione assunta da una pronuncia resa a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663) che ha ritenuto che al condominio in quanto tale debba riconoscersi una soggettività autonoma, seppur imperfetta ed attenuata, rispetto ai suoi componenti e che lo stesso persegua scopi che non sono del tutto coincidenti con quelli dei singoli che lo compongono, anche se tale posizione è stata circoscritta da una successiva decisione della Corte di Cassazione (Cass. civ, sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934) alla peculiare situazione giuridica esaminata, cioè alle sole controversie in materia di indennizzo da irragionevole durata del processo.

Pertanto, sulla scorta della natura di mero ente di gestione del condominio, l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di merito e di legittimità (v., da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 22 maggio 2015, n. 10679) è concorde nel considerare il condominio consumatore sulla base di questi argomenti:

- il condominio è un ente di gestione privo di autonoma soggettività giuridica ulteriore o diversa da quella dei singoli condomini che opera tramite l'amministratore che è un mandatario con rappresentanza;

- gli effetti dei contratti dallo stesso posti in essere nell'interesse dei condomini si ripercuotono sui singoli condòmini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale.

I contratti conclusi dal condominio quale consumatore finale

L'amministratore di condominio, nel gestire e amministrare i beni e i servizi comuni, spesso stipula contratti che possono contenere clausole vessatorie; ad esempio, contratti di appalto per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni comuni, contratti di prestazione d'opera per la manutenzione degli impianti condominiali (ascensore, autoclave, riscaldamento), contratti con le imprese di pulizia, contratti di fornitura di utenze (luce, gas, acqua), contratti di assicurazione e bancari (conto corrente).

Per tutti questi contratti, riconoscere che il condominio è consumatore determina l'applicabilità in favore dello stesso della normativa di tutela del consumatore contenuta nel Codice del consumo, comprese le norme in tema di clausole vessatorie di cui agli artt. 33 ss.

Come si è sopra evidenziato la giurisprudenza di merito, in linea con quella di legittimità, conferisce lo status di consumatore al condominio, pertanto, è in rapporto al codice del consumo che occorre analizzare la validità o meno, delle clausole contenute in detti contratti, evidenziando, già da subito, quanto sia ampia la casistica delle clausole considerate vessatorie e, quindi, nulle.

Così tra le clausole vessatorie che vengono inserite nei contratti di manutenzione dell'ascensore rientra quella che prevede che, in caso di risoluzione anticipata del rapporto da parte del committente, il canone previsto sarà comunque dovuto per intero alla società fino alla naturale scadenza del contratto.

Questa clausola, sia pure in una controversia ante Codice del consumo, è stata ritenuta unilateralmente predisposta e volta ad imporre una penale pecuniaria manifestamente eccessiva in caso di risoluzione anticipata, stante il “significativo squilibrio tra le prestazioni”, inteso come squilibrio normativo (riferito cioè ai diritti ed agli obblighi reciproci derivanti dalle clausole) e non economico, non attenendo, pertanto, alla valutazione della vessatorietà l'eventuale sproporzione tra prezzo pattuito e valore effettivo del bene o del servizio (Trib. Arezzo 17 febbraio 2012, che ha ritenuto che la clausola vessatoria e, quindi, nulla in quanto con tale clausola l'appaltatore professionale impone al consumatore un corrispettivo per il diritto al recesso ex art. 1373 c.c. addirittura pari alla prestazione, non goduta con un beneficio per il primo assolutamente sproporzionato, esso infatti potrà incassare l'intero importo a fronte della sospensione del servizio).

Analogamente in altra decisione, resa sotto la vigenza del codice del consumo, sono state considerate nulle, in quanto vessatorie, non oggetto di trattative individuali, sia la clausola che prevedeva una proroga tacita decennale in caso di mancata disdetta da comunicare sei mesi prima della scadenza nonché la clausola relativa alla penale, a carico del committente, pari all'intero canone in vigore fino alla scadenza del contratto, prevista in caso di recesso dal contratto da parte del committente (Trib. Napoli 15 gennaio 2018; nello stesso senso, Trib. Reggio Emilia 6 marzo 2008; Trib. Salerno 25 maggio 2015; Trib. Grosseto 9 novembre 2016, che ha ritenuto in linea di principio applicabile la disciplina di tutela del consumatore al contratto, nella specie, di manutenzione impianti, concluso con un professionista da un amministratore, escludendone, in concreto, l'applicazione, in quanto la clausola che prevedeva una penale in caso di recesso anticipato a favore dell'appaltatore, e non anche a favore del committente, era astrattamente vessatoria ex art. 33 Cod. cons., ma, non in concreto, essendo emerso in corsa di causa che era stata oggetto di specifica trattativa).

Anche la clausola inserita in un contratto di assicurazione che attribuiva la possibilità di recedere dal contratto esclusivamente al professionista è stata ritenuta vessatoria.

Partendo dalla premessa che il condominio, quale ente di gestione, è da ritenersi un consumatore non dovendosi avere riguardo alla qualità dell'amministratore rappresentante ma a quella del soggetto rappresentato che è il condominio formato dai condomini, si è affermato che la clausola della polizza “fabbricati” che consente esclusivamente al professionista (nel caso de quo, la compagnia assicuratrice), e non anche al consumatore condominio, di comunicare il recesso debba essere considerata vessatoria ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. g), del Codice del consumo e, conseguentemente, nulla ai sensi del successivo art. 36, determinando, inoltre, la sua automatica integrazione, ad opera del giudice, di eguale facoltà all'assicurato condominio/consumatore e, come ulteriore conseguenza, l'inesigibilità dei premi assicurativi pretesi in conseguenza del recesso (Trib. Genova 14 febbraio 2012).

Si è, invece, ritenuta non vessatoria la clausola che disponga la tacita proroga del contratto nell'ipotesi in cui non venga comunicata disdetta almeno 90 giorni prima della scadenza nel caso di contratto concernente il servizio di pulizia condominiale, peraltro assunto da una ditta individuale di modeste dimensioni, in quanto questo tipo di prestazione è molto differente rispetto a quella tipica dei contratti assicurativi e di somministrazione, nei quali la disdetta del contratto da parte del consumatore non determina per la controparte delle sostanziali modifiche a livello organizzativo (Trib. Milano 25 ottobre 2013, secondo cui, nella specie, il termine di 90 giorni per recedere da un contratto concernente un servizio di pulizia non è apparso eccessivamente anticipato in quanto giustificato con la necessità di dare alla controparte il tempo per potere gestire la propria forza lavoro ed eventualmente impiegarla in altri rapporti).

Clausole vessatorie e regolamento contrattuale di condominio

Il problema dell'abusività delle clausole si è posto anche con riguardo alle clausole contenute nei regolamenti di condominio.

Si è, in proposito, avvertito che la relativa problematica riguarda solo le clausole contenute in regolamenti di condominio cd. esterni, vale a dire predisposti dall'originario costruttore-venditore, accettati o richiamati dai singoli acquirenti delle unità immobiliari facenti parte del condominio.

Perché possa ritenersi, quantomeno in astratto, applicabile la disciplina consumeristica è necessario che tali clausole di natura contrattuale siano state predisposte dal costruttore, o dall'originario unico proprietario dell'edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale da questi svolta e sempre che il condomino acquirente dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva, dovendo rivestire lo status di consumatore, agisca per soddisfare esigenze di natura personale, non legate allo svolgimento di attività, a sua volta, imprenditoriale o professionale(Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016, n. 16321).

Nel regolamento di condominio, redatto dallo stesso costruttore/venditore, possono essere inserite clausole che contengono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai singoli sulle parti comuni o sulle parti di loro esclusiva proprietà ovvero deroghe in favore del medesimo costruttore ai criteri di ripartizione delle spese condominiali ex art. 1123 c.c.

La giurisprudenza ha, in proposito, precisato che “la disciplina delle clausole vessatorie potrebbe risultare pertinente unicamente con riguardo a convenzioni che introducano vincoli di destinazione di natura reale incidenti in via diretta sulla consistenza della proprietà condominiale e della frazione di proprietà esclusiva oggetto dei rispettivi programmi negoziali sinallagmatici di compravendita, determinando contrattualmente le modalità di utilizzazione del bene ceduto; solo questa tipologia di convenzioni condominiali potrebbe, infatti, rientrare nella categoria protetta dei contratti di acquisto di beni a scopo di consumo, realizzando una funzione economica unitaria rispetto alla prestazione di dare assunta dal venditore, nonché strumentale al soddisfacimento delle esigenze di consumo proprie dell'acquirente professionale” (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016, n. 16321).

Con riguardo alle clausole che prevedono un criterio di riparto delle spese condominiali diverso da quello stabilito dall'art. 1123 c.c. non si registra un'uniformità di indirizzo.

A fronte di decisioni che hanno escluso la nullità per vessatorietà e violazione del Codice del consumo (Trib. Roma 22 gennaio 2019; Trib. Bergamo 6 giugno 2018; App. Roma 25 luglio 2018) si segnalano pronunce di segno opposto (Trib. Larino 11 ottobre 2017; v., anche, Cass. civ.,sez. II, 23 luglio 2019, n. 19832, che richiamando, in motivazione, forse impropriamente, altra decisione di legittimità - Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016, n. 16321 - sembra ammettere in astratto il controllo di vessatorietà, salvo poi, escluderlo, in concreto nel dichiarare inammissibile la doglianza del ricorrente in quanto correttamente il giudice di merito aveva escluso che la vessatorietà della clausola potesse essere fatta valere nei confronti della società ricorrente dal momento che questa era beneficiaria dell'esonero dalle spese ma non era il soggetto che aveva venduto gli immobili).

In conclusione

La giurisprudenza, sia di merito che di legittimità è, quindi, costantenell'affermare che al condominio, in quanto consumatore, si applica la disciplina di tutela contenuta nel Codice del consumo, a parte una decisione del Collegio di coordinamento dell'ABF (Arbitro Bancario Finanziario, 26 ottobre 2012, n. 3501) che ha, invece, ritenuto che il condominio non possa essere qualificato come consumatore.

Ci si chiede, inoltre, se sia applicabile la disciplina sul codice del consumo nei casi in cui nella compagine condominiale siano presenti anche o solo società o altri enti o anche solo persone fisiche che utilizzano l'immobile, cui accedono le parti condominiali, per scopi professionali.

In proposito, si segnalano due decisioni di merito che si sono poste il problema di analizzare la composizione del condominio per ritenere che sia sempre applicabile la disciplina sul Codice del consumo.

Così si è ritenuto che al contratto concluso con il professionista dall'amministratore del condominio, ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applicano, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, le norme sulla tutela del consumatore, anche in assenza di una prevalenza, fra i condomini, di persone fisiche consumatori, sul presupposto che il condominio, nel momento in cui agisce come tale, ovvero per la gestione dei beni comuni e strumentali a proprietà solitarie, agisce comunque quale soggetto privatistico che persegue fini estranei alla natura imprenditoriale dei suoi componenti; fini che sono semplicemente volti alla fruizione e conservazione delle parti comuni di un fabbricato, in cui la destinazione funzionale delle singole unità che lo compongono non può essere necessariamente identitaria anche della connotazione soggettiva di consumatore (Trib. Massa 26 giugno 2017, in una fattispecie in cui il condominio era un centro commerciale).

In altra fattispecie, si è affrontata l'analisi della composizione del condominio, valutando se fra i condòmini vi fosse compresenza di professionisti e di persone fisiche che agissero al di fuori di attività professionali e se sussistesse prevalenza dell'una o dell'altra categoria, precisando che non sarebbe comunque richiesto un rapporto di prevalenza di persone fisiche quali condòmini, ai fini dell'applicabilità della normativa consumeristica (Trib. Ravenna27 settembre 2017, in un caso in cui lo stabile era occupato integralmente da persone fisiche, salvo due unità occupate da professionisti, per 76/1000 - nella specie le tabelle millesimali prodotte in udienza avevano confermato come la stragrande maggioranza dei condomini, salvo 76/1000, erano persone fisiche - e non era emersa alcuna prova del carattere professionale dei condòmini).

Si è evidenziato, in proposito, che l'applicabilità delle norme a tutela dei consumatori nei rapporti contrattuali in cui il condominio è parte non dovrebbe avvenire in via automatica, ma andrebbe verificata caso per caso.

Che il dibattito sia aperto è confermato dal fatto che la questione è stata rimessa alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Trib. Milano 1 aprile 2019).

Sulla specifica questione se il condominio possa considerarsi consumatore la Corte di Giustizia dell'Unione Europea non si è mai pronunciata, anche se, in più occasioni, ha ritenuto conforme al diritto comunitario la definizione di consumatore del codice del consumo, benché essa escluda la persona giuridica dalla tutela consumeristica.

Guida all'approfondimento

AA.VV., Diritto dei consumi, a cura di Rossi Carleo, Torino, 2015

Barenghi, Diritto dei consumatori, Milano, 2017

Belli, Le clausole vessatorie nel regolamento “contrattuale” di condominio,in Contratti, 2012, 181

Berti, La figura del consumatore e la sua soggettività giuridica, in Resp. civ. e prev., 2018, 1684

Carpinelli, I diritti del condominio come consumatore finale, in www.ilcondominionuovo.it, 2017

Celeste,Compravendite immobiliari tra regolamenti “blindati” dal costruttore e prescrizioni del Codice del consumo, in Immobili & proprietà, 2014, 348

Graziuso, Lo status giuridico di consumatore: caratteristiche e singole accezioni, in www.treccani.it, 2011

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