Il regime fiscale forfettario tra ampie prerogative, continue modifiche e dubbi applicativi

Vincenzo Busa
06 Febbraio 2020

Dal 1° gennaio 2016 il regime forfettario (di seguito, anche regime) rappresenta l'unico sistema fiscale di vantaggio per le persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni, in possesso di determinati requisiti.
Premessa

Dal 1° gennaio 2016 il regime forfettario (di seguito, anche regime) rappresenta l'unico sistema fiscale di vantaggio per le persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni, in possesso di determinati requisiti.

Le fonti normative del regime sono rinvenibili all'art. 1, commi da 54 a 89, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (finanziaria 2015), le cui previsioni sono state interessate da un'altalena di modifiche apportate dalle seguenti leggi:

  • Legge 28 dicembre 2015, n. 208;
  • Legge 30 dicembre 2018, n. 145;
  • Legge 27 dicembre 2019, n. 160.

Benché il regime in esame abbia sostituito, dal 2016, il c.d. “regime dei minimi”*, i soggetti che nel periodo d'imposta in corso al 31.12.2014 si sono avvalsi di quest'ultimo, possono continuare ad applicarlo fino alla scadenza naturale (di fatto fino al compimento del 35° anno di età, considerato che l'ultimo anno utile, per i contribuenti che hanno inteso avvalersene per 5 anni dall'inizio dell'attività, è scaduto entro il 2018).

*In evidenza:

Si ricorda che il vecchio regime dei c.d. “minimi” (nel 2011 ridenominato “Regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità”), in vigore dal 2008 fino al 2015, era disciplinato

all

'art. 1, commi 96-117 della legge 24.12.2007, n. 244 e succ. mod.). Nell'ultima versione prevedeva:

  • un limite d'accesso, costituito da ricavi/compensi di importo variabile da 25.000 a 50.000 in funzione del codice ATECO di appartenenza;
  • un'imposta sostitutiva al 5 per cento sul reddito d'impresa o lavoro autonomo a determinazione analitica;
  • una proiezione temporale fino al 5° anno dall'inizio dell'attività e comunque fino al compimento del 35° anno di età.

Ancor prima di illustrarne in dettaglio la disciplina, si elencano qui di seguito le prerogative più salienti del regime:

  • determinazione forfettaria del reddito d'impresa/lavoro autonomo, mediante applicazione ai ricavi/compensi riscossi nell'anno, di importo non superiore a 65.000 euro, di un coefficiente di redditività variabile in funzione del codice di attività ATECO di appartenenza;
  • applicazione di un'imposta sostitutiva dell'IRPEF, relative addizionali e dell'IRAP con aliquota flat al 15 per cento (5 per cento nei primi 5 anni di attività);
  • esclusione dell'IVA;
  • riduzione drastica degli adempimenti contabili e formali.

I requisiti caratterizzanti del regime sono stati ripetutamente modificati. In particolare,

A) fino al 2018 i requisiti di accesso (al regime) erano abbastanza stringenti:

  • ricavi non superiori a 25/30 mila euro,
  • compensi corrisposti a terzi di importo non superiore a 5.000 euro,
  • percezione redditi di lavoro dipendente e assimilati di importo non superiore a 30.000 euro,
  • utilizzo beni strumentali ammortizzabili di valore non superiore a 20.000 euro;

B) la Legge di bilancio n. 145/2018, a decorrere dal 1.1.2019, ne ha allargato le maglie, provvedendo a:

  • elevare il limite dei ricavi a 65.000,
  • eliminare numerosi paletti (in particolare, consentendo l'esercizio contestuale di lavoro dipendente senza limiti di reddito, ammettendo la possibilità di erogare compensi a terzi senza limiti di importo, abolendo il limite dei 20.000 euro per i beni strumentali utilizzati),
  • dulcis in fundo, introdurre, a decorrere dal 2020, una flat tax con sostitutiva al 20% a beneficio delle persone con ricavi compresi tra 65.001 e 100.000 euro;

C) l'ultima Legge di bilancio n. 160/2019, nell'abrogare le disposizioni che spingevano la flat tax al limite dei 100.000 euro di ricavi/compensi, ha altresì ridefinito in termini restrittivi l'ambito di applicazione del regime, per effetto del ripristino delle seguenti cause ostative all'accesso:

  • spese sostenute per il personale e lavoro accessorio di importo superiore a 20.000 euro;
  • conseguimento di redditi di lavoro dipendente di importo superiore a 30.000 euro.

Le più recenti misure si applicano dal 1° gennaio 2020 e i nuovi limiti di accesso dovranno essere valutati con riguardo all'anno precedente (2019). Ne consegue che per il periodo d'imposta 2020 non possono accedere né permanere nel regime coloro che nel 2019:

  • hanno sostenuto spese per lavoro dipendente di importo superiore a 20.000 euro;
  • hanno conseguito redditi di lavoro dipendente e assimilati (comprese le pensioni) di importo superiore a 30.000 euro.

Con le aperture previste dalla menzionata legge di bilancio 2019, l'accesso pressocché incondizionato al regime, ove si escluda il limite dei 65.000 euro di ricavi/compensi ed altri meno ricorrenti, ha consentito a circa 2 milioni di contribuenti di avvalersene nel 2019.

Secondo la relazione tecnica alla Legge di bilancio n. 160/2019, fino all'anno 2017 (in base ai dati desunti dalle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2018), 1,4 milioni di persone si erano avvalse del regime forfettario. Tenendo conto delle nuove partite IVA che vi hanno aderito nel 2018 (circa 200.000) e nei primi nove mesi del 2019 (22.000) nonché di quanti, provenendo da un regime ordinario, vi sono transitati nell'ultimo biennio, si può fondatamente ritenere che i forfettari al 31.12.2019 erano non meno di 2 milioni.

È così che una normativa concepita per favorire situazioni marginali di svantaggio, proprie di chi ha perso il posto di lavoro oppure è alla ricerca della prima occupazione o intende svolgere nei ritagli di tempo disponibile un secondo lavoro, ha finito per traghettare nel regime agevolato circa la metà della complessiva platea dei contribuenti.

D'altra parte, non può sottacersi il disagio e il disorientamento di quanti, allettati dalle novità del 2019, avevano magari assunto dei dipendenti e ora, a distanza di meno di un anno, li hanno licenziarli oppure hanno abbandonato l'attività autonoma.

Che il regime, almeno nella versione in vigore fino al 2019, sia particolarmente allettante, si deduce chiaramente dalla relazione tecnica di accompagnamento alla legge di bilancio 2010 laddove, per effetto della stretta imposta dalla manovra del 2020, si stima, da un lato, una minore imposta sostitutiva di 177 milioni e minore IVA per 4,3 milioni, dall'altro, maggiori entrate per 492 milioni a titolo di IRPEF, 34 milioni di addizionali IRPEF e 9 milioni di IRAP.

È da ritenere che soprattutto la soglia dei 30.000 euro di lavoro dipendente contribuirà alla fuoriuscita dal regime di un gran numero di soggetti. Secondo l'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, ben 10.000 lavoratori, tra quanti nel 2019 si sono iscritti per la prima volta al regime forfettario (pensionati, over 65 e soggetti di età compresa tra 51 e 65 anni), sarebbero costretti nel 2020 a rinunciare all'attività autonoma.

Non si può certo affermare che gli interventi in tema di regime forfettario siano stati coerenti e responsabili, né che il quadro normativo di riferimento, come si vedrà meglio in seguito, si distingua per chiarezza e univocità degli enunciati.

Le richiamate vicende del regime forfettario confermano come la propensione ad effettuare manovre di bilancio, mettendo mano alle norme tributarie, non abbia soluzione di continuità. Con conseguenti, pesanti effetti di complicazione del sistema, che la macchina amministrativa stenta a gestire. Evidentemente si è convinti che le norme camminino con le proprie gambe, assicurando in automatico gli effetti finanziari stimati, a prescindere dalla capacità degli apparati amministrativi di portarle ad esecuzione.

Al termine di queste considerazioni introduttive, è opportuno accennare brevemente alla compatibilità della franchigia IVA – che è parte integrante delle prerogative del regime - con il diritto comunitario. La norma nazionale che ha elevato il limite dell'“esenzione” a 65.000 euro di volume d'affari, ha introdotto una deroga all'art. 26 della Direttiva n. 2006/112 che, come noto, consente di operare in franchigia d'imposta soltanto ai titolari di partita IVA con volume d'affari fino a 5.000 euro. Da qui la necessità di acquisire l'autorizzazionedel Consiglio dell'Unione Europea, sostanzialmente intervenuta con la decisione di esecuzione UE 2016/1988.

Detta autorizzazione è stata tuttavia disposta fino al 31.12.2019 affinché l'Autorità comunitaria possa “valutare se [la misura autorizzata] resta idonea ed efficace”. Si è quindi in attesa della proroga per gli anni successivi.

Requisiti soggettivo e dimensionale (comma 54, lett. a))

Sono ammesse al regime le persone fisiche esercenti attività d'impresa, arte o professione che, nell'anno precedente, abbiano conseguito ricavi ovvero abbiano percepito compensi di importo non superiore a 65.000 euro.

Ne consegue che il superamento del limite nel 2019 comporterà la fuoriuscita dal regime nel 2020.

I ricavi/compensi dell'anno precedente si determinano con i criteri di computo propri del regime fiscale applicato nel medesimo anno. Ad esempio, il contribuente che nel 2019 era in regime ordinario o semplificato dovrà assumere i relativi ricavi secondo il criterio rispettivamente di competenza o di cassa.

Il limite dei ricavi è calcolato al netto:

  • dei maggiori ricavi/compensi indicati nelle dichiarazioni fiscali in adeguamento agli ISA ai sensi dell'art. 9-bis, comma 9 del D.L. n. 50/2017;
  • del contributo previdenziale (4%) addebitato in fattura al cliente e da riversare all'ordine professionale di appartenenza; al contrario, lo stesso contributo facoltativamente addebitato dai professionisti (senza cassa) iscritti alla gestione separata INPS, in quanto dai medesimi trattenuto, fa cumulo con i compensi concorrenti alla formazione del limite dei ricavi.

È previsto infine che, in caso di inizio dell'attività, il limite di ricavi/compensi debba essere ragguagliato ad anno.

Le cause ostative. Spese di importo superiore a 20.000 euro

Non possono avvalersi del regime i contribuenti che nell'anno precedente hanno sostenuto spese di importo complessivamente superiore a 20.000 euro lordi (non ragguagliato ad anno) per:

  • lavoro dipendente e per collaboratori di cui all'art. 50, comma 1, lett. c) e c-bis) TUIR), ivi comprese le funzioni di revisore, sindaco e amministratore di società;
  • lavoro a progetto nell'ambito di collaborazioni coordinate e continuative (art. 61 segg. D.Lgs. n. 276/2003);
  • utili erogati ad associati in partecipazione con apporto di solo lavoro ex art. 53, comma 2, lett. c) TUIR;
  • remunerare il lavoro dei familiari di cui all'art. 60 citato TUIR;
  • lavoro accessorio ex art. 70 D.Lgs. n. 276/2003, ossia attività lavorativa che dia luogo a compensi di importo non superiore a 5 mila euro, la cui rilevanza ai fini dell'applicazione del limite presuppone ovviamente la concorrenza con una o più delle altre tipologie di spesa prima elencate.

Il riferimento agli utili erogati ad associati in partecipazione, con apporto di solo lavoro, deve ritenersi implicitamente abrogato con l'introduzione dell'art. 53 del decreto attuativo del jobs act 15 giugno 2015, n. 81, secondo cui l'apporto dell'associato non può consistere, neppure in parte, in attività lavorative

Reddito di lavoro dipendente d'importo superiore a 30.000 euro

È di ostacolo all'applicazione del regime l'aver percepito nell'anno precedente redditi di lavoro dipendente e assimilati di cui agli artt. 49 e 50 TUIR, per un importo complessivo superiore a 30.000 euro. Non è previsto il ragguaglio ad anno.

Come anticipato, la causa ostativa in esame, già operativa nel 2018, è stata rimossa nel 2019 e reintrodotta nel 2020. La stessa non opera se il rapporto di lavoro è cessato per qualsiasi causa nell'anno precedente.

In base alle stime riportate nella relazione tecnica alla Legge di Bilancio 2020, la reintroduzione della causa ostativa in esame comporta maggiori entrate (quantificate in 602,4 milioni nel 2021) conseguenti alla fuoriuscita dal forfettario, nell'anno 2020, di 342 mila contribuenti.

Sull'onda della reazione emotiva alla stretta imposta dalla legge di bilancio 2020, è stata presentata al Governo una interrogazione parlamentare volta ad assumere come «precedente» anno di riferimento, ai fini del computo del limite dei 30.000 e quindi della operatività della causa ostativa in esame, l'anno 2020. Per modo che la fuoriuscita dal regime potesse conseguire al superamento del limite nel 2020, anziché nel 2019.

La soluzione invocata dagli Interroganti trae motivo

  • dal disposto dell'art. 3, comma 2, della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), secondo cui «..le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico del contribuente la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dall'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.», nonché
  • dalla circolare n. 9/E/2019 che, riferendosi alla causa di esclusione conseguente al possesso di partecipazioni in società a responsabilità limitata al 31.12.2018 (v. infra par. 3.3), come riformulata dalla legge di bilancio 2019 che è stata pubblicata in G.U. il 31 dicembre 2018, ha scomodato la richiamata disposizione statutaria per concludere che i contribuenti interessati ad accedere o permanere nel regime nel 2019, previa dismissione della partecipazione, ben difficilmente avrebbero potuto farlo entro il 31.12.2018, ossia entro la stessa data di pubblicazione della Legge n. 145 /2018. Di qui la necessità – conclude la circolare – di spostare al 2019 il termine utile alla dismissione delle quote partecipative, per modo che il possesso delle stesse al 31.12.2018 non fosse di ostacolo ad avvalersi del regime forfettario nel 2019.

Il rappresentante del Governo, nella risposta in data 16 gennaio 2020, ha sostanzialmente assentito alla tesi degli interroganti, sia pure riservandosi di dare risposta definitiva a breve. A tutt'oggi la riserva non è stata (né verosimilmente verrà mai) sciolta in senso conforme alle aspettative degli interroganti. Almeno in via interpretativa. Vi è di ostacolo innanzitutto l'esigenza di assicurare al bilancio dello Stato le maggiori entrate stimate dalla relazione tecnica a seguito della fuoriuscita dal regime, già nel 2020, di 342.000 contribuenti. Ma anche la difficoltà di ravvisare nella trama della norma in esame la sopravvenienza di qualche «adempimento a carico del contribuente», diverso e ulteriore rispetto agli ordinari obblighi formali connessi con il passaggio in regime ordinario, che in applicazione del richiamato Statuto, possa e debba trovare applicazione non prima di 60 giorni dalla data di entrata in vigore. Sotto questo aspetto, fors'anche la circolare invocata dai parlamentari interroganti ha proposto un'applicazione estensiva dello Statuto, laddove ha inteso la dismissione delle quote partecipative come «adempimento» fiscale, anziché come opzione governata da logiche essenzialmente economiche ed extra-tributaria.

Ad ogni buon fine, se mai sarà accreditata la tesi auspicata nell'interrogazione, coloro che nel frattempo hanno optato per il regime ordinario potranno rientrare nel forfettario emettendo nota di credito per il recupero dell'IVA esposta in fattura, con possibilità altresì di computare a scomputo della sostitutiva le ritenute d'acconto effettuate sui compensi ai medesimi erogati.

Possesso di partecipazioni societarie

Il regime è altresì inibito qualora, contemporaneamente all'esercizio dell'attività imprenditoriale, artistica o professionale, il contribuente

  • partecipi (nell'anno precedente) a società di persone, ad associazioni professionali o a imprese familiari di cui all'art. 5 del TUIR, oppure
  • abbia il controllo diretto o indiretto di società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitino (nell'anno di applicazione del regime) attività economiche anche indirettamente riconducibili all'attività del soggetto forfettario.

Si tratta di due cause ostative di stampo antielusivo, alternativamente rilevanti ma accomunate dalla volontà del legislatore di contrastare il disegno di frazionare una stessa attività al fine di ridurne artificiosamente la dimensione e guadagnare i presupposti di accesso al regime.

Sotto questo profilo, la norma introduce una sorta di presunzione legale di contiguità o unitarietà dell'attività assoggettata al regime con quella svolta dalle società personali di cui lo stesso contribuente abbia una quota partecipativa.

Con riguardo alle società a responsabilità limitata, invece, il possesso di una qualsiasi partecipazione non basta. La preoccupazione di contrastare artificiosi frazionamenti di attività subentra al ricorrere congiunto di due circostanze:

  • che il soggetto forfettario abbia il controllo diretto o indiretto della società e
  • che l'attività da questa esercitata sia riconducibile direttamente o indirettamente a quella in regime forfettario.

Si pensi ad un ingegnere edile che controlli una s.r.l. attiva nel settore delle opere pubbliche, nei cui confronti emetta fattura.

In questo caso non è sufficiente una quota partecipativa minoritaria e neppure una partecipazione di controllo: occorre che la persona in regime forfettario intrattenga con la società a responsabilità, dalla stessa controllata, determinati rapporti economici che la Circolare n. 9/E del 10 aprile 2019 opportunamente si è fatta carico di esplicitare. Solo al ricorrere di entrambe le condizioni (controllo e riferibilità dell'attività ad un unico centro di interesse economico) il possesso di una partecipazione in s.r.l. rileva come causa ostativa all'applicazione del regime.

Secondo la richiamata circolare, la fattispecie di “attività riconducibile” si realizza qualora:

A) le attività svolte dalla s.r.l. e dal soggetto forfettario siano contemplate nella stessa sezione ATECO;

B) il soggetto forfettario fatturi nei confronti della s.r.l. operazioni che abbiano generato:

  • da un lato, ricavi/compensi concorrenti alla determinazione del reddito assoggettato a imposta sostitutiva;
  • dall'altro, costi deducibili dal reddito della s.r.l.

Resta in tal modo meglio delineata la ratio della norma, la quale, più che la reciprocità dei rapporti in assoluto, intende impedire quelle operazioni che possano trarre vantaggio dall'applicazione del regime forfettario. Ostano pertanto all'applicazione del regime soltanto le operazioni attive dei forfettari, non anche le operazioni fatturate dalla s.r.l. che, in capo al cessionario/committente in regime forfettario, generino componenti negativi indeducibili, peraltro senza possibilità di portare in detrazione la relativa IVA.

Meno si giustifica, in quest'ottica, il rilievo attribuito dalla circolare alla effettiva deducibilità dal reddito della s.r.l. dei costi generati dalle operazioni intercorse con il soggetto forfettario. Non si comprende perché mai, ad esempio, un costo di rappresentanza non (o solo in parte) deducibile dal reddito della s.r.l., benché correlato ad un ricavo assoggettato integralmente al regime forfettario, non debba essere «ricondotto» alla lettera e alla ratio della norma in esame, sì da configurare una obiettiva causa di esclusione.

In ogni caso, va attribuito all'Agenzia delle entrate il merito di aver indicato ai propri uffici una soluzione interpretativa coraggiosa quanto responsabile, che è valsa a razionalizzare la portata della norma in conformità alla ratio che ne ha ispirato l'introduzione. In assenza, il dato testuale della norma, obiettivamente indeterminato ed equivoco, avrebbe potuto indurre gli uffici a soluzioni anche erratiche ed aberranti.

Questo dovrebbe far riflettere sulla funzione insostituibile che, nel sistema tributario, assolvono i documenti di prassi amministrativa. La peculiarità di tale funzione si appalesa soprattutto nelle interpretazioni integrative della norma, spesso necessarie per porre rimedio alle carenze o, più precisamente, alla intrinseca difficoltà di sussumere nelle definizioni generali ed astratte del legislatore tributario, la sconfinata varietà delle fattispecie concrete oggetto di trattazione.

Chiunque abbia una qualche dimestichezza con l'agire amministrativo, sa bene che le questioni tributarie pongono innanzitutto un problema di applicazione immediata, incompatibile con la valutazione giudiziale dei profili di legittimità delle soluzioni. Ciò non esclude peraltro l'utilità del dibattito preventivo (rispetto alla valutazione del giudice) sulla proficuità delle soluzioni adottate che, se disattese in sede giudiziale, finirebbero tuttavia per affievolire l'efficacia dell'azione amministrativa.

Certamente non si muovono in questa direzione i ricorrenti tentativi di svalutare l'attività interpretativa fino a negarne la competenza in capo all'Amministrazione, quasi si trattasse di un'autonoma funzione giuridica e non - come in effetti è – il presupposto logico o esercizio implicito di ogni attività amministrativa. Questo spiega come sia stato possibile scomodare finanche la Suprema Corte per sentir dire, con pronuncia scontata, che le circolari non sono vincolanti per il contribuente (Cass. Civ., SS.UU., 9 ottobre 2007, n. 23031).

Tornando all'esegesi della norma, deve ritenersi, sulla base delle indicazioni della circolare, che la sussistenza della causa di esclusione afferente al controllo delle s.r.l. potrà valutarsi solo con riguardo all'anno di applicazione del regime, nel quale soltanto è dato riscontrare la “riconducibilità” dell'attività a quella in regime forfettario. Al contrario, la partecipazione nelle società di persone, in applicazione dei principi regolatori del regime, rileva con riferimento all'anno precedente.

In base al dato testuale della norma, invero, la causa ostativa opera qualora il soggetto forfettario partecipi alle richiamate società “contemporaneamente all'esercizio dell'attività (in regime forfettario)”, senza far menzione della dismissione delle partecipazioni. Risalendo tuttavia alla ratio della disposizione, la Circolare n. 9/E del 2019 perviene alla conclusione che “la causa non operi solo a condizione che il contribuente, nell'anno precedente a quello di applicazione del regime, provveda preventivamente a rimuoverla…”. Con la cessione della quota di partecipazione (nella società di persone o s.r.l.) entro la fine del precedente anno, si esclude in radice la possibilità dei rapporti intersoggettivi alla base delle preoccupazioni del legislatore.

La risoluta conclusione tratta dall'Agenzia delle Entrate ha così inteso valorizzare “l'effetto segregativo ora più accentuato” della ratio legis, in qualche modo prendendo le distanze dalle aperture della precedente circolare n. 10/E del 2016. Si ricorda che quest'ultima, da una parte, aveva ritenuto sufficiente che la partecipazione fosse ceduta «prima dell'inizio della nuova attività» (anziché entro il 31 dicembre dell'anno precedente), ossia prima di tenere un qualche «comportamento concludente» che esprima la volontà di applicare il regime forfettario, normalmente coincidente con l'emissione della prima fattura o documento commerciale in franchigia IVA; dall'altra, aveva inteso ricondurre la funzione della norma alla volontà di impedire che nello stesso periodo d'imposta il soggetto che si avvale del regime potesse risultare anche titolare del reddito di partecipazione societaria; era stata ammessa di conseguenza la possibilità di partecipare ad una società di persone anche contemporaneamente all'esercizio di attività in regime agevolato, purché la partecipazione venisse dismessa prima della chiusura del periodo d'imposta. In tal caso infatti verrebbe meno anche la titolarità del reddito di partecipazione che, come noto, è imputato ai soci presenti nella compagine sociale al termine del periodo d'imposta.

Facendo sintesi delle due circolari, dovrebbe ritenersi non ostativo all'applicazione del regime il possesso di una partecipazione societaria nello stesso periodo d'imposta di applicazione del regime, a condizione che la stessa venga dismessa prima dell'avvio dell'attività soggetta a imposta sostitutiva ovvero dopo la cessazione di quest'ultima, in ogni caso sempre che il possesso della partecipazione non abbia dato luogo a redditi imponibili nel medesimo periodo d'imposta.

Il riferimento atecnico del comma 57 lett. d) alle «società di persone» di cui all'art. 5 del TUIR vale a ricomprendere nella previsione ostativa della norma le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice, le società di persone che svolgono attività non agricole, le società di armamento e le società di fatto. Ai fini che ne occupano, è dubbia la riconducibilità nell'alveo delle società di persone, pure affermata dalla richiamata circolare, delle aziende coniugali cogestite dai coniugi in regime di comunione legale, le quali peraltro sono trattate non all'art. 5, ma nel precedente art. art. 4 del TUIR.

Premesso che il controllo diretto o indiretto della s.r.l. è da valutarsi in conformità alle previsioni dell'art. 2359 c.c., si ricorda che ai fini del controllo indiretto si computano anche i voti spettanti a «persona interposta». A tal fine, il controllo indiretto per interposta persona può essere integrato, secondo la Circolare n. 9/E del 2019, anche da una partecipazione detenuta dal coniuge. L'affermazione può essere condivisa tuttavia solo in ottica antielusiva, evitando generalizzazioni che potrebbero penalizzare fattispecie ispirate da effettive esigenze economiche.

Ritiene altresì la citata circolare che una partecipazione paritetica al 50% realizza in ogni caso un'ipotesi di controllo in quanto espressione di «influenza dominante».

Al riguardo, appare più convincente l'articolata soluzione proposta nella risoluzione n. 376/E del 17/12/2007, secondo cui “la nozione di controllo di cui all'art. 2359 c.c. non esclude in termini assoluti la possibilità che anche in presenza di una partecipazione paritetica alla società (50 per cento ciascuno) sia individuabile una situazione di controllo da parte di uno dei due soci. Infatti, l'ampiezza del concetto di controllo prevista dall'art. 2359 c.c. richiede necessariamente una analisi approfondita del complesso dei rapporti intercorrenti tra i soggetti coinvolti al fine di verificare se uno di essi eserciti sull'altro un'influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.”.

È opportuno evidenziare come la causa in esame (a differenza della seguente) pone l'enfasi su presupposti, quali il possesso di partecipazioni e la presenza di rapporti reciproci che – se si esclude la partecipazione qualificata nelle società a responsabilità limitata - rilevano ex se, indipendentemente dalla loro dimensione quantitativa, di tal ché è sufficiente, ad esempio, detenere anche una minima quota partecipativa in una società di persone ovvero emettere una fattura di importo esiguo su operazione riconducibile all'attività di una s.r.l. controllata affinché si verifichi preclusione o decadenza dal regime.

Attività nei confronti di datore del lavoro

Non possono avvalersi del regime agevolato gli imprenditori individuali, artisti e professionisti che prestano attività in prevalenza nei confronti di:

  1. datori di lavoro con i quali sono in corso o erano intercorsi nei due precedenti periodi d'imposta rapporti di lavoro;
  2. soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai predetti datori di lavoro.

Il riferimento ai “datori di lavoro” fa rientrare nell'ambito di applicazione della norma i rapporti che danno luogo normalmente ai redditi di lavoro dipendente di cui all'art. 49 del TUIR, ma anche quelli produttivi di reddito assimilato al lavoro dipendente elencati al successivo art. 50, a condizione ovviamente che al soggetto erogatore possa attribuirsi la qualifica di “datore di lavoro”. Ciò che si verifica, in particolare, per i compensi erogati a soci lavoratori di cooperative (lett. a)), per quelli a carico di terzi percepiti da lavoratori dipendenti “per incarichi svolti in relazione a tale qualità” (lett. b)) e per i compensi a medici ospedalieri remunerativi di attività libero professionali intramurarie (lett. e)).

Si considerano “direttamente o indirettamente riconducibili” ai predetti datori di lavori, i soggetti controllanti, controllati o collegati ai sensi dell'art. 2359 c.c.

Come espressamente enunciato alla lett. d-bis del comma 57, questa causa ostativa non si applica con riguardo alle attività di tirocinio obbligatorio e propedeutico all'esercizio di attività artistiche o professionali.

La norma in esame intende contrastare artificiose trasformazioni di attività di lavoro dipendente in attività d lavoro autonomo, al fine di beneficiare dei vantaggi assicurati dal regime. È il caso, ad esempio, di un commercialista che, avendo posto termine ad un rapporto di lavoro alle dipendenze di un altro commercialista, apre una partita IVA ed emette fattura nei confronti dell'ex datore di lavoro.

Non qualsivoglia attività nei confronti del datore di lavoro è tuttavia vietata dalla norma, ma solo quella “prevalente”. È pertanto compatibile con il regime forfettario, nell'esempio riportato, la fatturazione di compensi in misura non superiore al 50 per cento dei compensi complessivamente percepiti dal commercialista nell'arco di un anno.

Anche questa causa potrà valutarsi solo con riferimento all'anno di applicazione del regime, così che, se la causa ricorre nel 2020, la possibilità di avvalersi del regime forfettario nel 2021 sarà preclusa.

La stessa non trova più applicazione qualora il rapporto di lavoro si sia concluso prima dei due periodi d'imposta precedenti l'applicazione del regime.

La Circolare n. 9/E del 2019 aiuta a risolvere in termini condivisibili ed in linea con la ratio della norma alcune questioni sorte in ordine all'applicazione della medesima. È stato così puntualizzato come la causa ostativa in esame non trivi applicazione qualora il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di pensionamento obbligatorio a termini di legge, ancorché il pensionato decida di lavorare in proprio e di fatturare nei confronti dell'ex datore di lavoro. Né si applica nei confronti di revisori o sindaci di società, le cui funzioni, ancorché abbiano generato compensi assimilati al lavoro dipendente ai sensi dell'art. 50, comma 1, lett. c)-bis, del TUIR, non sono riconducibili – a differenze delle funzioni di amministratore - all'attività propria della società revisionata o sindacata, bensì alle competenze istituzionali della professione che il soggetto ha inteso esercitare autonomamente in regime forfettario. Allo stesso modo, il soggetto che continua a svolgere, in costanza dei relativi contratti, attività composita, produttiva sia di redditi di lavoro dipendente sia di reddito di lavoro autonomo, corrisposti dallo stesso committente, ben può avvalersi, ricorrendone gli altri presupposti, del regime forfettario per la trattazione del reddito di lavoro autonomo. È il caso, ad esempio, del personale medico che percepisce dalla ASL compensi sia di lavoro dipendente per un importo non superiore a 30.000 euro (guardia medica) sia di lavoro autonomo con ricavi non superiori a 65.000 euro (prestazioni di medicina generale).

La finalità chiaramente antielusiva, comune alla causa ostativa esaminata al precedente p. 3.3, dischiude ai contribuenti interessati la possibilità di presentare istanza di interpello ai sensi dell'art. 11, comma 2, della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente) per ottenere la disapplicazione della causa ostativa, dando dimostrazione che nel caso specifico “gli effetti elusivi non possono verificarsi”.

Altre fattispecie di esclusione

Non sono altresì ammesse al regime le persone fisiche:

  • che si avvalgono di regimi speciali IVA (agenzie di viaggio, agriturismo, vendita sali e tabacchi, ecc.);
  • non residenti, ad eccezione di residenti in paese UE o SEC, il cui reddito complessivo per almeno il 75% sia prodotto in Italia;

che in via prevalente effettuano cessioni di immobili o mezzi di trasporto nuovi.

Le prerogative del regime. Prerogative ai fini IVA

I soggetti in regime forfettario:

  • non esercitano il diritto-dovere di rivalsa ai sensi dell'art. 18 del d.P.R. n. 633/1972: non addebitano il tributo al cessionario/committente, né espongono l'IVA in fattura, nella quale si limitano a riportare la dicitura “Operazione effettuata ai sensi dell'art. 1, commi da 54 a 89, della Legge n. 190/2014”;
  • non hanno diritto alla detrazione dell'imposta assolta sugli acquisti ex-artt. 19 e segg. del d.P.R. n. 633/1972;
  • per gli acquisti intracomunitari di importo superiore a 10 mila euro (gli acquisti di importo inferiore a 10 mila euro non si considerano “acquisti intracomunitari”. In tal caso l'IVA è assolta nel paese di origine e nessun obbligo è configurabile in capo al soggetto forfettario, neppure di iscrizione al VIES.), sono tenuti ad integrare la fattura e versare l'imposta, in applicazione dell'art. 38, comma 5, lett. c), del D.L. n. 331/1993;
  • per le cessioni intracomunitarie non applicano il tributo, in attuazione dell'art. 41, comma 2-bis del D.L. n. 331/1993;
  • per le prestazioni di servizi ricevute da non residenti, applicano gli artt. 7-ter e segg. del d.P.R. n. 633/1972, in cui si afferma l'obbligo di integrare la fattura e versare l'IVA;
  • per le importazioni e le esportazioni applicano i regimi rispettivamente di imponibilità e non imponibilità dell'IVA previsti dal DPR n. 633/1972, esclusa in ogni caso la facoltà di effettuare acquisti senza applicazione dell'imposta avvalendosi del plafond all'esportazione ai sensi dell'art. 8, primo comma, lett.c), e secondo comma dello stesso d.P.R. n. 633/1972;
  • per le operazioni passive in reverse charge «interno» integrano la fattura e versano il tributo.

In relazione alle operazioni per le quali risultano debitori dell'IVA, i soggetti in regime forfettario integrano la fattura ricevuta con indicazione dell'aliquota e dell'imposta, provvedendo al relativo versamento entro il 16° giorno del mese successivo a quello di effettuazione dell'operazione. Sono altresì tenuti ad iscriversi al VIES (art. 35, comma 2, lett. e-bis del d.P.R. n. 633/1972) e a compilare l'elenco INTRASTAT (art. 50, comma 6, del D.L. n. 331/1993).

Prerogative ai fini IRPEF e IRAP

Il reddito si determina forfettariamente, mediante applicazione ai ricavi/compensi percepiti nel periodo d'imposta di determinati coefficienti di redditività variabili in funzione del codice ATECO di appartenenza. Senza tener conto pertanto di costi/spese effettivamente sostenuti. In particolare, per i commercianti all'ingrosso e al dettaglio l'indice di redditività è del 40%; per i professioni del 78%. Il riferimento è ai ricavi/compensi determinati secondo il criterio di cassa.

Al reddito così determinato si applica quindi un'imposta sostitutiva dell'IRPEF, delle relative addizionali e dell'IRAP, con aliquota flat al 15%.

Ai fini della determinazione del reddito, come si è detto, occorre aver riguardo esclusivamente ai ricavi/proventi percepiti, non anche ad altri componenti di reddito, come, ad esempio, gli ammortamenti, le plusvalenze e minusvalenze (ancorché relative a beni acquistati in regime ordinario), le sopravvenienze attive e passive, i vari costi effettivamente sostenuti, ecc.

In deroga a quanto appena affermato, sono ammessi in deduzione dal reddito e concorrono pertanto alla formazione della base imponibile dell'imposta sostitutiva, i contributi previdenziali che, in applicazione del regime ordinario, sono deducibili dal reddito complessivo.

Il regime forfettario è applicabile anche alle imprese familiari o, più precisamente, al titolare dell'impresa familiare, il quale assoggetterà alle regole del regime l'intero reddito d'impresa, comprensivo della quota parte – non superiore al 49 per cento – che nell'ordinario è imputabile ai collaboratori. Dal reddito così determinato, il titolare dell'impresa può portare in deduzione anche i contributi versati per conto dei collaboratori familiari fiscalmente a carico e, in ogni caso, qualora non abbia esercitato la rivalsa nei loro confronti.

Al titolare dell'impresa familiare non è consentito svolgere altra attività in regime forfettario, verificandosi in quel caso un'ipotesi di frazionamento dell'attività complessiva, rilevante come causa ostativa ai sensi del menzionato art. 1, comma 57, lettera d), della L. n. 190/2014.

Sui ricavi/compensi erogati a soggetto in regime forfettario, il committente con qualifica di sostituto d'imposta non applica le ritenute d'acconto. A tal fine il forfettario è tenuto a farne menzione nella fattura emessa.

ll reddito assoggettato a regime forfettario concorre alla determinazione del reddito utile ai fini del riconoscimento di deduzioni, detrazioni o altri benefici anche non fiscali (ancorché il reddito a determinazione forfettaria non concorra alla determinazione del reddito complessivo annotato al quadro RN della dichiarazione dei redditi).

Resta inteso che, in assenza di altri redditi, stante il particolare meccanismo di applicazione dell'imposta sostitutiva, il soggetto in regime forfettario non avrà modo di far valere oneri per deduzioni (dal reddito complessivo) o detrazioni (dall'IRPEF lorda).

Le nuove partite IVA

Coloro che per intraprendono un'attività imprenditoriale, artistica o professionale, nei primi 5 anni applicano l'imposta sostitutiva con l'aliquota del 5% (anziché 15%), a condizione che:

  • nei tre anni precedenti, non abbiano svolto attività d'impresa, artistica o professionale, neppure in forma associata o familiare;
  • l'attività non sia mera prosecuzione di un'altra svolta in precedenza dagli stessi, sotto forma di lavoro dipendente o autonomo;
  • in caso di prosecuzione di attività svolta da altro soggetto (a seguito, ad esempio, di acquisizione dell'azienda anche per ricambio generazionale), questi non abbia conseguito nel periodo precedente ricavi/compensi di importo superiore a 65.000 euro.

Altre agevolazioni

La Legge di bilancio 2020 (art. 1, commi da 184 a 197), contestualmente alla abrogazione delle norme disciplinanti il super e iper ammortamento (di cui i forfettari non hanno potuto beneficiare), ha istituito, a beneficio anche di imprese, artisti e professionisti in regime forfettario, un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi nella misura del 6% (ad esempio, arredi, personal cumputer, ecc., con esclusione di autovetture e altri mezzi di trasporto, software e beni usati).

Tale credito è utilizzabile in 5 quote annuali di pari importo a decorrere dall'anno successivo a quello di entrata in funzione dei beni.

La semplificazione degli adempimenti. Semplificazioni ai fini IVA

I soggetti in regime forfettario sono esonerati dal versamento e da tutti gli altri adempimenti IVA, fatta eccezione per gli obblighi di:

  • numerazione e conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali;
  • certificazione dei corrispettivi;
  • annotazione in fattura della dicitura menzionata al precedente par. 4.1;
  • assolvimento dell'imposta di bollo su fatture di importo superiore a 77,47 euro, mediante applicazione dell'apposito contrassegno.

I forfettari assolvono l'obbligo di certificare i corrispettivi mediante:

  • registratore telematico (ammesso per le operazioni di cui all'art. 22 del d.P.R. n. 633: commercio al minuto in locali aperti al pubblico, bar e ristoranti, prestazioni di servizi in locali aperti al pubblico, ecc.);
  • fattura elettronica (di cui i forfettari, anche in alternativa al registratore telematico, possono avvalersi, pur non essendone obbligati per motivi connessi peraltro con i limiti dell'autorizzazione comunitaria);
  • fattura cartacea (ammessa in alternativa alla fattura elettronica e al registratore telematico; la stessa è obbligatoria, sempre in alternativa alla fattura elettronica, se richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell'operazione).

Si ricorda che per il 1° semestre 2020 l'art. 12-quinquies del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (c.d “Decreto crescita”) ha previsto una moratoria per la registrazione e trasmissione telematica dei corrispettivi: in luogo del registratore telematico, è consentito utilizzare, ai fini della certificazione dei corrispettivi di cui all'art. 22 del d.P.R. n. 633/1972, come per il passato, lo scontrino o la ricevuta fiscale, a condizione tuttavia che si provveda alla trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri, come sopra certificati, entro il mese successivo, mediante l'apposita procedura web messa a disposizione dall'Agenzia delle entrate.

Con decorrenza 1° luglio 2020, la certificazione telematica dei corrispettivi giornalieri sarà accompagnata dall'obbligo di trasmettere i relativi importi giornalieri entro i 12° giorno successivo.

In caso di omessa trasmissione telematica dei corrispettivi nel termine previsto (entro il mese successo per il primo semestre 2020; entro il 12° giorno, a regime) trovano applicazione le pesanti sanzioni amministrative di cui agli artt. 6, comma 3, e 12, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (pena pecuniaria pari al 100 per cento dell'imposta non documentata, con un minimo di 500 euro; sospensione della licenza/autorizzazione o dell'esercizio dell'attività da tre giorni a un mese in caso di quattro contestazioni nel quinquennio per violazioni in giorni doversi).

Per l'acquisto di un nuovo registratore telematico compete un credito d'imposta pari al 50 per cento del costo, fino all'importo massimo di 250 euro.

Per rimediare all'inconveniente indotto dalla mancata confluenza nella banca dati dell'Anagrafe tributaria delle operazioni attive effettuate dal numero elevatissimo di contribuenti forfettari, al comma 74, articolo unico, della legge di bilancio 2020 è stato previsto un singolare vantaggio a favore dei contribuenti il cui fatturato annuo sia costituito esclusivamente da fatture elettroniche, consistente nella riduzione di un anno del termine per l'accertamento di cui all'art. 43 del d.P.R. n. 600/73 (che andrà a scadere pertanto il 31 dicembre del quarto anno anziché del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione).

La singolarità della disposizione sta nel fatto che la previsione riduttiva è riferita soltanto al settore delle imposte dirette, come si evince dal richiamo dell'art. 43 del d.P.R. n. 600/73 (che disciplina il termine di accertamento ai fini delle imposte sul reddito) e non anche dell'art. 57 del d.P.R. n. 633/72 (che in parallelo dispone per l'IVA). Probabilmente la limitazione è conseguenza di un errore di coordinamento che tuttavia, se non emendato, rende la norma difficilmente applicabile agli accertamenti unificati, ormai sistematicamente effettuati ai fini del controllo congiunto degli adempimenti in materia di Iva e imposte sul reddito.

Semplificazioni ai fini IRPEF e IRAP

Ampie e forse ancora più incisive, in termini di contenimento degli adempimenti e dei correlati costi amministrativi, sono le semplificazioni per il settore dell'imposta sul reddito.

In tal caso, infatti, il regime prevede l'esclusione degli obblighi di;

  • tenuta delle scritture contabili;
  • effettuazione delle ritenute alla fonte, ad eccezione delle ritenute su compensi di lavoro dipendente ex artt. 23 e 24 del d.P.R. n. 600/73.

Permangono soltanto gli obblighi di:

  • conservazione dei documenti ricevuti ed emessi;
  • presentazione della dichiarazione dei redditi;
  • indicazione in dichiarazione dei soggetti cui sono stati corrisposti redditi che, nel regime ordinario, sarebbero stati assoggettati a ritenuta, come ad esempio i redditi di lavoro autonomo corrisposti a professionisti di cui all'art. 24 del d.P.R. n. 600/1973.

In particolare, le disposizioni semplificatorie escludono in capo al soggetto forfettario la qualifica di sostituto d'imposta. Fatta eccezione infatti per l'obbligo della ritenuta d'acconto sui redditi corrisposti ai propri dipendenti, reintrodotto con decorrenza 1° gennaio 2019 dall'art. 6 del “decreto crescita”, essi non operano ritenute sui redditi corrisposti.

Né le subiscono sui compensi/ricavi percepiti, ancorché siano tenuti a menzionare tale circostanza nella fattura (elettronica o cartacea) che hanno l'obbligo di emettere ai fini IVA (v. par..).

In virtù della specialità della norma che ne contempla l'obbligo (art. 25 del D.L. n. 78/2010), è da ritenere che gli istituti di credito, in deroga a quanto appena affermato, continuino ad effettuare la ritenuta dell'8 per cento sulle somme corrisposte tramite bonifico dai loro clienti, a titolo di corrispettivo delle prestazioni di ristrutturazione edilizia o recupero energetico, per le quali si ha diritto a detrazioni fiscali. Ciò indipendentemente dalla circostanza che le somme accreditate siano assoggettate ad imposta ordinaria o sostitutiva da beneficiari. Va da sé che il soggetto in regime forfettario andrà a scomputare detta ritenuta dall'imposta sostitutiva.

Merita menzionare infine il disposto dell'art. 2, secondo comma, lett. b), del D.M. 28 dicembre 2018, che esclude i forfettari dal novero dei soggetti cui si applicano gli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA).

Le agevolazioni contributive

Premesso che il reddito a determinazione forfettaria costituisce base imponibile ai fini contributivi, il comma 77 prevede che su tale reddito i contributi ordinari sono dovuti con una riduzione del 35%.

Il soggetto forfettario titolare di impresa familiare può applicare la riduzione anche sulla quota parte di reddito imputabile (fino al 49%) ai collaboratori, rilevante ai fini dell'obbligo contributivo.

La fruizione dell'agevolazione non è tuttavia automatica né accompagnata da un semplice menzione in dichiarazione. Essa è subordinata ad un vero e proprio onere di preventiva comunicazione all'INPS, da assolvere entro il 28 febbraio di ciascun anno (o contestualmente all'inizio dell'attività) a pena di esclusione del beneficio. Per esemplificare, chi intenda avvalersi del beneficio della riduzione previdenziale per l'anno 2020 è tenuto a farne comunicazione entro il 28 febbraio dello stesso anno, di talché “ove la dichiarazione sia presentata oltre il termine stabilito [in ipotesi il 28 marzo 2020],… l'acceso al regime agevolato può avvenire a decorrere dall'anno successivo, [in ogni caso] presentando la dichiarazione stessa entro il termine stabilito [nell'esempio, entro il 28 marzo 2021]”. In breve, la dichiarazione va presentata tempestivamente e per ciascun anno.

Questo particolare sollecita qualche riflessione critica sulla effettiva volontà di semplificare gli adempimenti con riguardo ad un regime che dovrebbe, invece, rilevare unitariamente sotto tutti i profili, compreso quello che attiene all'obbligo contributivo. Emerge netta la differenza di approccio e trattamento riservata alle agevolazioni tributarie, governate dal principio del «comportamento concludente» rimesso alla responsabilità dei contribuenti interessati e monitorato dagli evoluti sistemi informativi in dotazione del settore, rispetto all'agevolazione contributiva in argomento, subordinata invece ad un aggravio di adempimenti che il contribuente è tenuto ad assolvere anno per anno sfidando procedure informatiche non sempre agevolmente accessibili. La disposizione testimonia altresì di una visione parziale e frammentaria dell'Amministrazione Pubblica in senso lato e dei sottostanti sistemi informativi non sempre dialoganti tra loro.

Formalità di accesso e opzioni

Il regime forfettario rileva come regime naturale per le persone fisiche che, avendone i requisiti, ne applicano le disposizioni mediante comportamenti “concludenti”, ossia ponendo concretamente in essere gli adempimenti caratterizzanti del regime che inequivocabilmente palesano la volontà di avvalersi delle relative disposizioni, come ad esempio l'emissione di fattura in franchigia IVA, con annotazione della dicitura riportata al par. 4.1.

In alternativa, i contribuenti interessati possono in ogni caso optare per il regime ordinario, che risulterà vincolante per un triennio. L'opzione si esercita, anche in questo caso, mediante comportamento “concludente” conforme agli obblighi previsti dal regime ordinario. La comunicazione dell'opzione nella prima dichiarazione annuale, pure prevista, adempie a funzione meramente conoscitiva e non rileva come condizione necessaria per avvalersi del regime ordinario.

È consentito derogare al vincolo triennale a seguito della introduzione di nuove disposizioni modificative del quadro normativo di riferimento, in conformità al disposto dell'art. 1 del d.P.R. n. 442/1997. Applicazione concreta di questa disposizione è stata fatta dall'Agenzia delle entrate con riguardo alle norme recate dalla Legge di bilancio n. 145/2018 che, a decorrere dal 2019, hanno rimosso – come si è visto - alcune cause ostative (prima applicabili) all'applicazione del regime. In considerazione del carattere innovativo di dette disposizioni, che di fatto avevano condizionato le opzioni pregresse del contribuente o, più precisamente, ostacolato l'accesso al regime forfettario, è stato consentito ai contribuenti di rifare le proprie scelte. A voler generalizzare il principio ispiratore della norma di cui al richiamato art. 1, dovrebbe concludersi che il vincolo triennale presuppone una scelta libera e non obbligata, ossia un'opzione che presupponga, secondo il significato proprio del termine, la possibilità di scegliere. Per converso, laddove si sia obbligati a seguire un determinato percorso senza via d'uscita, parlare di opzione è improprio, così come sarebbe ingiustificato precludere l'accesso ad altre strade che dovessero successivamente dischiudersi.

Il regime forfettario cessa a partire dall'anno successivo a quello in cui vengono meno le condizioni.

I soggetti che iniziano l'attività e intendono avvalersi del regime forfettario devono darne comunicazione nel modello AA9/12, pena l'applicazione della sanzione amministrativa da 250.000 a 2.000.000 di euro, senza peraltro compromettere l'adozione del regime, ancorata al comportamento “concludente”.

I contribuenti già in attività, avendone i requisiti, accedono al regime naturale della forfettizzazione mediante comportamento “concludente” senza necessità di effettuare opzione né comunicazione preventiva o successiva all'Agenzia

Passaggio di regime. Aspetti IVA

Il passaggio dal regime ordinario a quello forfettario comporta l'obbligo, relativamente ai beni acquistati e non utilizzati nel regime ordinario, di rettificare la detrazione ex art. 19-bis.2 del d.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che l'IVA a suo tempo detratta deve essere restituita.

Anche nel passaggio al regime ordinario è prevista la rettifica dell'IVA, ma di segno opposto: l'ex-forfettario ha diritto a detrarre l'IVA relativa a quei beni, acquistati e non utilizzati in regime forfettario, che nell'ambito del nuovo regime afferiscono ad operazioni imponibili.

La motivazione sottostante alla rettifica della detrazione si rinviene nel principio per cui il diritto alla detrazione compete in relazione all'acquisto di beni e servizi impiegati nell'effettuazione di operazioni assoggettate al tributo. Di contro, ai contribuenti che, come i soggetti in regime forfettario, effettuano operazioni in franchigia d'IVA, è inibito il diritto a recuperare il tributo assolto sulle operazioni di acquisto.

Nel caso di beni o servizi acquistati in annualità interessata dal regime ordinario, la detrazione della relativa IVA, operata dall'acquirente, è normalmente definitiva, nel presupposto che gli stessi beni o servizi siano impiegati in operazioni imponibili. Presupposto che tuttavia viene meno qualora, al momento del passaggio al forfettario, gli stessi beni non siano stati ancora utilizzati. Di qui la necessità di ripristinare il corretto meccanismo di funzionamento del tributo, provvedendo alla rettifica della detrazione, di fatto operata in assenza del relativo presupposto.

È questo il caso, ad esempio, dei beni-merce acquistati e non venduti in regime ordinario, che entrano a far parte del magazzino gestito in regime forfettario: trattandosi di beni per i quali è stato esercitato il diritto alla detrazione dell'IVA, occorre ora procedere alla rettifica, ossia restituire l'IVA a suo tempo detratta, considerato che detti beni non potranno più concorrere alla formazione di operazioni imponibili.

In sintesi: con l'ingresso nel regime forfettario, la rettifica va effettuata in relazione a beni e servizi non ancora ceduti o non utilizzati. Per i beni ammortizzabili la rettifica va effettuata qualora non siano ancora decorsi 5 anni (10 per i fabbricati) dalla loro entrata in funzione, in proporzione al numero di anni che residuano per arrivare al quinto (decimo per i fabbricati).

Come già detto, la rettifica della detrazione va effettuata anche nel passaggio inverso, dal forfettario all'ordinario, in relazione a beni non utilizzati, avendo presente che in questo caso l'IVA da indetraibile diventa detraibile. Ne consegue la possibilità di chiedere a rimborso o utilizzare in compensazione l'eccedenza detraibile emergente dalla dichiarazione relativa all'ultimo anno di applicazione dell'Iva nei modi ordinari.

Il passaggio al regime forfettario pone anche il problema dell'IVA su operazioni ad esigibilità differita, per le quali il tributo è esigibile al momento del pagamento del corrispettivo, come avviene per le cessioni/prestazioni ad enti pubblici o soggette al regime IVA di cassa (artt. 6, quinto comma, e 32 del D.L. n. 83/2012). Problema che il legislatore ha risolto prescrivendo la rinuncia al differimento dell'esigibilità e, quindi, l'obbligo di applicare le ordinarie regole sull'esigibilità nella dichiarazione relativa all'ultimo anno in cui è stata applicata l'IVA (in regime ordinario).

Aspetti IRPEF e IRAP

Le disposizioni in materia di imposta sul reddito che regolano il passaggio al regime forfettario muovono dalla preoccupazione che il cambio di regime non dia luogo a salti né a duplicazioni d'imposta.

Si afferma pertanto che i componenti positivi o negativi del reddito (o del valore della produzione) la cui tassazione o deduzione sia stata legittimamente rinviata, partecipino alla formazione del reddito (o al valore della produzione) dell'esercizio precedente a quello di applicazione del regime forfettario. È il caso, ad esempio, delle plusvalenze tassabili in 5 esercizi ai sensi dell'art. 86 del TUIR oppure dei numerosi oneri la cui deduzione è spalmata su più esercizi in conformità alle norme fiscali.

Le perdite generate in applicazione del regime ordinario possono essere computate in diminuzione del reddito a determinazione forfettaria, «secondo le regole ordinarie stabilite dal TUIR» rinvenibili all'art. 8 del TUIR che, nella versione modificata dall'art. 1, comma 23, lett. a), n. 1) della L. 30.12.2018, n. 145, ne consente la deduzione negli esercizi successivi senza limiti temporali, ma per un importo non superiore all'80 per cento dei relativi redditi.

A seguito del passaggio al regime ordinario, i ricavi o compensi già tassati in applicazione del regime forfettario, non assumono rilevanza; viceversa i ricavi o compensi non tassati in regime forfettario (perché non riscossi) concorreranno alla formazione del reddito in regime ordinario. Le spese sostenute nel periodo di applicazione del regime ordinario non assumono rilevanza ai fini della formazione del reddito dei periodi successivi.

Nel determinare le plusvalenze/minusvalenze (rilevanti solo nel regime ordinario), relative alla cessione di beni strumentali acquisiti in esercizio precedente a quello di applicazione del regime forfettario, si assume come costo non ammortizzato quello risultante alla fine dell'esercizio precedente a quello di applicazione del regime forfettario; se il bene strumentale è stato acquisito nel corso del regime forfettario, si assume come costo non ammortizzato il prezzo di acquisto.

Sommario