Il codice della crisi di impresa non ha inciso sulla bancarotta fraudolenta
07 Febbraio 2020
È inammissibile il ricorso proposto da un imputato condannato per bancarotta fraudolenta con il quale veniva invocata un'ipotetica abolitio criminis per effetto delle modifiche introdotte dal nuovo codice della crisi di impresa alle norme civilistiche poste a fondamento della fattispecie penale. Lo ha affermato la Suprema Corte con la sentenza n. 4772, depositata il 4 febbraio. La vicenda. Il GIP del Tribunale di Roma applicava all'imputato la pena concordate fra le parti per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 223, comma 2, n. 1 in relazione all'art. 2621 c.c. e 219 l. fall.. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione invocando, a seguito dell'entrata in vigore degli artt. 389 e 390 d.lgs. n. 14/2019 (c.d. codice della crisi d'impresa), l'avvenuta abolitio criminis per mutamento della legge extrapenale posta a fondamento delle norme penali incriminatrici. Il nuovo codice della crisi di impresa. Il Collegio evidenzia in primo luogo che le nuove norme incriminatrici contenute nel codice della crisi d'impresa entreranno in vigore, ai sensi dell'art. 389 del medesimo d.lgs. n. 14/2019, solo decorsi 18 mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e dunque il 15 agosto 2020. Inoltre, «le nuove norme appaiono in perfetta continuità normativa con le precedenti norme contenute nel r.d. 16 marzo 1942 n. 267». |