Il licenziamento ingiustificato del dirigente non va impugnato a pena di decadenza
10 Febbraio 2020
Massima
In tema di licenziamento dei dirigenti, i termini di decadenza ed inefficacia dell'impugnazione stabiliti dall'art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32 della l. n.183 del 2010, non si applicano alle ipotesi di ingiustificatezza convenzionale del recesso, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell'indennità supplementare, secondo un'interpretazione doverosamente restrittiva - trattandosi di norme in materia di decadenza - del concetto di “invalidità” di cui all'art. 32, comma 2, l. n. 183 del 2010, da intendere quale vizio suscettibile di determinare la demolizione del negozio e dei suoi effetti solutori, come previsto per le ipotesi sanzionate dall'art. 18, comma 1, St. lav., novellato dalla l. n. 92 del 2012. Il caso
Un dirigente agisce per il riconoscimento dell'“ingiustificatezza” del licenziamento intimatogli dal datore di lavoro e per il pagamento dell'indennità supplementare; il giudice di primo grado rileva l'intervenuta decadenza di cui all'art. 6 della l. 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dall'art. 32, comma 1, della l. 4 novembre 2010, n. 183, non avendo il lavoratore provveduto ad impugnare il recesso nei termini previsti dalla citata norma. L'appello proposto dal dirigente viene accolto dal giudice di secondo grado che dichiara tempestiva l'impugnativa, sul presupposto che l'art. 32, comma 2, della predetta legge (ove è previsto che “Le disposizioni di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento”) ha esteso il regime decadenziale a tutti i casi rientranti nella categoria dell'invalidità del licenziamento, cui rimane estranea la mera “ingiustificatezza”. La Cassazione, confermando la pronuncia del giudice di appello, rigetta il ricorso del datore di lavoro sul punto. La questione
La questione in esame è la seguente: nel rapporto di lavoro dirigenziale, l'azione volta al riconoscimento della “ingiustificatezza” del licenziamento è assoggettata al regime di decadenza di cui all'art. 6 della l. n. 604 del 1966 (che prevede il termine di sessanta giorni per l'impugnativa stragiudiziale del recesso e quello successivo di centottanta giorni per il deposito del ricorso giudiziale nella cancelleria del tribunale), così come sostituito dall'art. 32, comma 1, della l. n. 183 del 2010? Le soluzioni giuridiche
La S.C. dà al quesito risposta negativa, sul centrale rilievo che il termine "invalidità" contenuto nell'art. 32, comma 2, della legge più volte menzionata (nota anche come “Collegato lavoro”), “presuppone che l'atto sia inficiato nella sua validità per un vizio intrinseco derivante dal discostamento dal modello legale o per effetto di una previsione legale che colleghi alla mancanza di requisiti che devono caratterizzare l'atto la conseguenza della invalidità (come per il licenziamento: art. 2119, c.c.)”. In altri termini, “la norma opera solo quando il vizio sia suscettibile di determinare la demolizione del negozio e dei suoi effetti solutori”, sicché “l'espressione "invalidità" deve essere intesa in senso restrittivo, avendo riguardo ai confini della categoria di tale vizio propriamente inteso, in relazione alla rilevata incapacità di un atto privato contrario ad una norma di produrre effetti conformi alla sua funzione economico sociale. La nozione generalmente accolta di invalidità presuppone, pertanto, un atto inidoneo ad acquisire pieno ed inattaccabile valore giuridico”.
L'”ingiustificatezza”, invece, non priva di validità l'atto espulsivo.
Una volta distinta, sul piano lessicale e, quindi, contenutistico, l'"invalidità" dall'"ingiustificatezza", la S.C. esclude che possa, con riguardo al caso in esame, applicarsi la disposizione istitutiva della decadenza in via analogica, avente carattere eccezionale e “da interpretarsi nell'ambito della stretta previsione normativa e non al di là dei casi considerati, diversamente privandosi la previsione specifica della invalidità di ogni portata precettiva”.
La finale conseguenza che si trae dal descritto impianto argomentativo è che “l'ambito di applicabilità oggettiva dell'art. 32, secondo comma, l. n. 183 del 2010, non può che riferirsi alle ipotesi di stretta invalidità (rectius, nullità) menzionate dall'art. 18, comma 1, St. lav., come modificato”.
L'approdo rimane coerente con l'orientamento espresso da Cass. 5 novembre 2015, n. 22627, ove - con riguardo ad una ipotesi di nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio, del dirigente - è stato affermato che “L'art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32 della l. n. 183 del 2010, che prevede il termine di decadenza di sessanta giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, cui deve seguire a pena di inefficacia il deposito del ricorso giurisdizionale nei successivi centottanta giorni, si applica, in forza del comma 2, del citato art. 32, senza che assuma rilievo la categoria legale di appartenenza del lavoratore e, dunque, anche ai dirigenti, dovendosi individuare la ratio della disciplina introdotta dalla l. n. 183 del 2010 nell'esigenza di garantire la speditezza dei processi, attraverso l'introduzione di termini di decadenza ed inefficacia in precedenza non previsti, in aderenza con l'art. 111, Cost., operando un non irragionevole bilanciamento tra la necessità di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa del lavoratore”.
Le ragioni portanti del costrutto si ricavano da due rilievi concorrenti.
Il primo è che l'estensione, ad opera del “Collegato lavoro”, del regime decadenziale alle invalidità “esterne” alla l. n. 604 del 1966, non poteva riferirsi, quanto alla "ingiustificatezza", ai dirigenti, poiché “per questi ultimi non era ancora stata prevista alcuna tutela rafforzata propria di un regime di invalidità, riguardante casi esterni alla l. n. 604 del 1966, che giustificasse il regime decadenziale introdotto, ispirato ad esigenze di certezza e di celerità nella stabilizzazione di conseguenze reintegratorie previste a carico del datore di lavoro”.
Dal che si deduce che, secondo la Corte, il regime di decadenza connesso alla invalidità si giustifica in ragione della possibile operatività del rimedio “reintegratorio” che consegue alla predetta invalidità e non alla ingiustificatezza.
Tale argomentazione, peraltro, potrebbe implicare che il regime decadenziale, essendo correlato all'operatività della tutela reintegratoria, possa in ipotesi non valere neppure per il lavoratore <<non dirigente>> che agisca per il conseguimento della mera tutela indennitaria (e sulla delicata questione si tornerà in chiusura).
Il secondo rilievo è che l'invalidità è solo quella di matrice legale, ossia solo quella derivante da una difformità qualificata dell'atto rispetto al modello legale; con la implicita conseguenza (già evidenziata dal giudice di appello) che l'illegittimità di matrice convenzionale, nella quale rientra l'ingiustificatezza, per essere appunto i relativi presupposti previsti dai contratti collettivi, costituisce un mero inadempimento, ferma restando la validità dell'atto.
Il derivato di tale ricostruzione dovrebbe essere che l'illegittimità, in senso lato, del licenziamento del lavoratore <<non dirigente>>, ossia quella costituita dai casi di nullità e di annullabilità (integrata dal difetto di giusta causa o di giustificato motivo), rientra nel paradigma dell'invalidità, poiché il licenziamento in questione è affetto da vizi contemplati, in vario modo, da previsioni di legge.
Invece l'illegittimità, sempre in senso lato, del licenziamento del dirigente rientra nella categoria dell'invalidità solo in presenza di licenziamento nullo (il quale condivide con il licenziamento del lavoratore <<non dirigente>> anche la tutela reintegratoria c.d. “piena”), ai sensi dell'art. 18, comma 1, St. lav., poiché il recesso meramente ingiustificato – come sopra visto - dà luogo ad una ordinaria ipotesi di inadempimento.
Il problema, tuttavia, potrebbe in concreto complicarsi nelle ipotesi in cui il dirigente agisca in giudizio chiedendo il riconoscimento del difetto di giusta causa al fine di ottenere l'indennità di mancato preavviso.
Qui, infatti, la disciplina del vizio e dell'effetto sanzionatorio è nella legge.
Però, anche in tal caso, il licenziamento dovrebbe reputarsi valido, poiché dalla illegittimità (in senso lato) del recesso non conseguono effetti ripristinatori del rapporto (il che, come si vedrà in chiusura, ripropone la questione della ragionevolezza, o meno, di un termine di decadenza per l'impugnativa del licenziamento da parte del lavoratore "non dirigente" nell'area della tutela indennitaria). Osservazioni
In realtà, la sentenza in commento ha un suo implicito precedente in Cass. 22 febbraio 2019, n. 5372, ove è statuito che “In tema di licenziamento del dirigente, quando l'erogazione delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro presupponga, in base al c.c.n.l. di settore, che il licenziamento non sia giustificato, l'ingiustificatezza può formare oggetto di un accertamento incidentale nel giudizio sulle spettanze economiche, senza necessità di un'autonoma impugnazione del licenziamento; ne consegue che la mancata presentazione o l'intervenuta prescrizione della domanda di annullamento del recesso datoriale non precludono l'esame della domanda relativa alle indennità”.
Dalla sopra riportata affermazione già può ricavarsi il principio di non operatività della decadenza nei casi di impugnativa del licenziamento del dirigente per ingiustificatezza; infatti non sembra ragionevole concepire una barriera preclusiva per una impugnativa che, ai fini della richiesta di indennità supplementare, può essere addirittura omessa.
In buona sostanza, la controversia per il riconoscimento della ingiustificatezza del licenziamento del dirigente non è una vera e propria causa avente ad oggetto il licenziamento, ma concerne mere poste retributive che trovano nel licenziamento viziato solo il necessario ma implicito presupposto.
Sul versante processuale il meccanismo dovrebbe essere di agevole ricostruzione.
Ove il dirigente voglia agire in giudizio per il solo riconoscimento dell'ingiustificatezza ai fini del conseguimento dell'indennità supplementare non vi sarà necessità di impugnativa del licenziamento (che, ove in ipotesi comunque effettuata, non sarà assoggettata ad alcun termine di decadenza).
Qualora il dirigente agisca in giudizio facendo valere, in via principale, la nullità del licenziamento e, in subordine, la ingiustificatezza, la barriera preclusiva della decadenza vale solo in ordine alla domanda principale; sicché, ove, ad esempio, la decadenza sia compiuta, il giudice dovrà comunque esaminare la domanda proposta in via subordinata.
Un'ultima annotazione.
Dalla ricostruzione sopra evidenziata sembrerebbe implicitamente confermata l'idea che, ove dall'illegittimità del licenziamento non derivino conseguenze ripristinatorie, non sembrano giustificarsi le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e di celerità dei processi che l'istituto della decadenza mira a soddisfare.
In quest'ottica, come già accennato, potrebbe suonare non più ragionevole la previsione della necessaria impugnativa a pena di decadenza del licenziamento del <<non dirigente>> nel regime della tutela indennitaria; rivelandosi, in tal caso, impropria la stessa riconducibilità del licenziamento ingiustificato all'istituto dell'“annullabilità”.
Infatti, nel regime meramente indennitario, cessando comunque il rapporto di lavoro al momento dell'avvenuto recesso, non si producono gli ordinari effetti dell'annullamento, sicché il licenziamento non giustificato integra un mero inadempimento contrattuale.
E allora potrebbe immaginarsi, anche con riguardo al licenziamento del lavoratore "non dirigente", un nuovo scenario nell'ambito del quale potrebbero configurarsi, nell'area della tutela indennitaria, varie opzioni: a) ritenere, in via interpretativa, che la decadenza di cui all'art. 6 della l. n. 604 del 1966 si applichi, secondo l'originario intento del legislatore – avuto riguardo al contesto normativo dell'epoca, dominato dalla sanzione, a fronte del licenziamento illegittimo, della ricostituzione del rapporto nella versione della reintegrazione e della riassunzione –, al solo licenziamento viziato cui consegua la misura ripristinatoria (e quindi giudicare plausibili e non pretestuose azioni dei lavoratori volte al solo conseguimento di indennità monetarie derivanti dall'illegittimità del licenziamento di cui sia chiesto l'accertamento in via incidentale); b) ritenere attualmente irragionevole la previsione di un termine di decadenza per l'impugnativa di un licenziamento illegittimo cui non sia connessa la predetta misura, ed investire, in ipotesi, della questione, la Corte costituzionale.
In tal ipotetico quadro potrebbero rivelarsi sfuggenti situazioni non compiutamente collocabili nel sistema, quali, ad esempio, quella concernente la “facoltà” del giudice, nell'ambito del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, di procedere alla reintegrazione del lavoratore in caso di manifesta insussistenza del fatto (sempre che tale orientamento, rinvenibile in due sentenze – Cass. 2 maggio 2018, n. 10435 e Cass. 31 maggio 2019, n. 2930 – ma contraddetto da altre due – Cass. 14 luglio 2017, n. 17528 e Cass. 13 marzo 2019, n. 7167 –, possa essere mantenuto dalla S.C.). In tale ipotesi il giudice, ai fini del giudizio sull'applicabilità, al caso, della decadenza, si troverebbe a dover prima valutare se possa accordarsi, o meno, la reintegra, così giungendo ad esaminare un profilo di ammissibilità dell'azione in un momento successivo a quello di avvenuto accertamento nel merito dei fatti.
Tuttavia il descritto, immaginario scenario si presterebbe ad alimentare una forzatura al sistema, idonea a metterne in discussione la attuale linearità.
Si pensi, infatti, all'ipotesi del licenziamento illegittimo da cui derivi la tutela reintegratoria (ad esempio, quella dell'art. 18, comma 4, St. lav., conseguente al licenziamento disciplinare illegittimo per insussistenza del fatto contestato) ed il lavoratore, rinunciando alla tutela in questione per essere spirata la decadenza, invochi solo quella indennitaria appartenente ad ipotesi più lieve, ossia quella di cui al quinto comma dello stesso articolo.
Si tratta, in definitiva, di verificare, in futuro, se l'esigenza di preservare la stabilità e la linearità dell'attuale sistema in materia di licenziamento possa conservare la sua centralità, a scapito dei profili di ipotetica irragionevolezza della normativa in tema di decadenza dall'impugnativa del licenziamento da cui derivi la sola tutela indennitaria.
Per riferimenti sul tema, v. L. Di Paola, Accertamento in via incidentale dell'“ingiustificatezza” del licenziamento del dirigente, in il Giuslavorista.it. |