Molestie ai vicini: i divieti ed i limiti di destinazione devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro
12 Febbraio 2020
Con ricorso, la società beta impugnava la delibera nella parte in cui aveva espresso parere contrario all'installazione, sul terrazzo di proprietà di essa ricorrente, di un'antenna per telefonia cellulare dell'altezza di mt. 1,5 con gli impianti connessi. Sia in primo che in secondo grado, i giudici del merito avevano rigettato la domanda. In particolare, la Corte territoriale, dopo aver ricostruito il quadro normativo nella materia in tema di inquinamento elettromagnetico, osservava come dovessero ritenersi legittime le norme dei regolamenti condominiali di natura contrattuale che impongono limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dalla norma generale di cui all'art. 844 c.c. sulla proprietà fondiaria. Alla stregua di tale premessa, la Corte di Appello rilevava che l'art. 7 del regolamento in questione era formulato in modo idoneo a vietare l'attività di installazione di un'antenna di telefonia cellulare, siccome da qualificarsi obiettivamente molesta per la comunità dei condomini. Avverso tale decisione, la società ha proposto ricorso in Cassazione. Nel giudizio di legittimità, la S.C. contesta il ragionamento espresso nel provvedimento impugnato. Difatti, pur non potendosi dubitare che nella previsione di cui all'art. 7 rientravano anche i lastrici solari presenti in condominio di uso esclusivo, il riferimento all'idoneità di quanto potesse "risultare molesto ai vicini" era obiettivamente ampio e generico, poiché sarebbe stato idoneo ad includere qualsiasi attività in grado di produrre molestie più o meno indifferenziate e sarebbe stata sufficiente la mera opposizione della maggioranza condominiale per impedire la fruizione piena del godimento della proprietà esclusiva da parte di uno o più condomini. Del resto, nel caso di specie, l'impianto di telefonia cellulare da installare a cura della ricorrente non era idoneo a determinare effetti insalubri essendo stati osservati i limiti di esposizione e i valori di attenzione di cui all'art. 4, L. n. 36/2001 e al D.P.C.M. 8 luglio 2003, ragion per cui la valutazione di automatica prevalenza dell'asserita tranquillità dei condomini rispetto all'esercizio di un legittimo diritto del singolo condominio di utilizzare la sua proprietà esclusiva si connotava come illegittima, in considerazione della genericità della clausola di cui citato art. 7 del regolamento. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato accolto; per l'effetto, è stato pronunciato il seguente (già noto) principio di diritto: “i divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare ma è necessario che, specialmente in quest'ultimo caso, tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, risultino da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, ovvero non suscettibile di dar luogo a incertezze”. |