Legittimo il licenziamento della lavoratrice per il superamento del periodo di comporto

La Redazione
12 Febbraio 2020

Posta la specialità della disciplina che regola la fattispecie di recesso del datore di lavoro, se pur vero è che quest'ultimo non può recedere unilateralmente prima del superamento del periodo di comporto, è vero anche che, superato tale limite...

Posta la specialità della disciplina che regola la fattispecie di recesso del datore di lavoro, se pur vero è che quest'ultimo non può recedere unilateralmente prima del superamento del periodo di comporto, è vero anche che, superato tale limite, il recesso è legittimo anche senza la necessità della prova del giustificato motivo oggettivo, della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa e della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse.

Il caso. La Corte d'appello, in riforma della decisione del Tribunale, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice dalla società per superamento del periodo di comporto, ritenendo la sua assenza giustificata per sussistenza del nesso di causalità tra infortunio sul lavoro e assenza per malattia. Avverso tale decisione, la società ricorre per cassazione.

Recesso del datore di lavoro. Nell'esaminare il ricorso, la Cassazione ribadisce che la fattispecie di recesso del datore di lavoro in caso di assenze determinate da malattia del lavoratore è assoggettata alle regole di cui all'art. 2110, c.c., le quali, per la loro specialità, prevalgono sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.

Ne discende che, se da un lato il datore di lavoro non può recedere unilateralmente o comunque non può far cessare il rapporto prima del superamento del periodo di comporto predeterminato dalla legge o in via equitativa dal giudice, dall'altro il superamento di tale limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, senza la necessità della prova del giustificato motivo oggettivo, della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa e della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse.

Inoltre, afferma la Corte, la computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro nel periodo di comporto non si verifica nelle ipotesi in cui l'infortunio non solo abbia tratto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni ma anche quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa.

Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel ritenere escluse dal periodo di comporto le assenze conseguenti all'infortunio sul lavoro della lavoratrice, ha valutato solo ed esclusivamente il nesso causale tra la patologia che ha portato all'assenza per malattia e l'infortunio subito, omettendo l'indagine sulla colpa del datore di lavoro che avrebbe dovuto adottare le misure necessarie per evitare l'evento ex art. 2087, c.c.

Pertanto, la Cassazione accoglie il ricorso limitatamente ai primi due motivi e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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